Se negli ultimi mesi vi è capitato di leggere notizie sulla campagna elettorale negli Stati Uniti avrete sicuramente notato che uno dei temi più gettonati è stata l’immigrazione. Per certi versi la corsa elettorale tra Kamala Harris è Donald Trump è sembrata più una corsa per convincere gli elettori su chi avesse le idee più severe in materia migratoria.
Nulla di nuovo in fondo: dalla sua discesa in campo nel 2016, Donald Trump ha saputo imporsi come portavoce della lotta all’immigrazione illegale, riuscendo a persuadere l’elettorato americano. Nel 2024 Harris non ha avuto altra scelta che rincorrerlo. Quest’anno il Tycoon è tornato a vincere anche grazie alla retorica sugli immigrati irregolari. Cosa dobbiamo aspettarci dal 47esimo presidente degli Stati Uniti?
L’immigrazione negli Stati Uniti oggi
Si sa: gli Stati Uniti sono da sempre terra di immigrazione. Sin dagli albori dell’Unione l’arrivo ogni anno di nuove persone da tutti i continenti, attratte dalla promessa del ‘sogno americano’, ha costituito la forza di questo Paese. Tuttavia, negli ultimi dieci anni, la politica e l’opinione pubblica statunitensi sono state interessate da una dinamica sempre più polarizzata sul tema. Se fino a dieci anni fa sia Democratici che Repubblicani erano sostanzialmente d’accordo sull’importanza dell’immigrazione, oggi questi ultimi sono decisamente scivolati a destra.
Come si spiega questo cambiamento? Una delle ragioni è da attribuire proprio all’ingresso in politica di Donald Trump, che ha fatto della lotta all’immigrazione uno dei suoi cavalli di battaglia. Già durante la sua prima campagna elettorale il Tycoon si distinse per la sua narrativa populista anti-immigrazione, con soventi toni xenofobi, e l’obiettivo di costruire un muro al confine con il Messico.
Una volta eletto, Trump adottò effettivamente una politica di tolleranza zero nei confronti degli immigrati illegali. Furono adottate frequentemente pratiche come arresti, rimpatri coatti (1,5 milioni di persone interessate) e separazione di famiglie con minori. Se paragonati ai numeri della presidenza Biden, gli ingressi illegali negli USA furono tutto sommato contenuti dal 2017 al 2021, ma superiori per esempio a quelli dell’amministrazione Obama. La costruzione del famoso muro al confine con il Messico diede invece risultati sotto le aspettative.
L’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca ha segnato un deciso cambio di rotta in ambito di politiche migratorie. Una politica sicuramente più open border, cooperazione con i Paesi dell’America centrale e cessazione di pratiche come la separazione delle famiglie.
Tuttavia non possono essere ignorate le criticità delle politiche migratorie dell’amministrazione uscente. Nonostante il recente tentativo di frenare gli ingressi, dal 2021 più di 10 milioni di persone sono entrate illegalmente negli Stati Uniti. Questi numeri hanno suscitato allarme nell’opinione pubblica americana, tanto che l’immigrazione è stato uno dei temi più importanti in campagna elettorale.
Trump ha saputo trasformare le preoccupazioni degli americani in capitale politico, incentrando la sua campagna elettorale sul contrasto all’immigrazione illegale. Una strategia che, nonostante le critiche accese, ha avuto successo anche stavolta.
Mass deportation: l’agenda Trump
Uno dei cavalli di battaglia di Trump in campagna elettorale è stata la promessa di avviare ‘la più grande mass deportation nella storia degli Stati Uniti’ nei confronti degli immigrati illegali. Si faccia attenzione al significato di deportation, la quale non sta a significare ‘deportazione’ ma è l’equivalente del nostro ‘rimpatrio’. Il futuro presidente ha quindi l’obiettivo di espellere quante più persone residenti illegalmente negli States.
Se durante il suo first term il presidente dedicò molte energie alla costruzione del muro al confine con il Messico, sfrutterà verosimilmente il suo secondo mandato per smantellare le politiche di Biden, per inasprire le leggi federali e rimpatriare (o incarcerare) gli immigrati irregolari. In merito al suo piano di mass deportation, il Tycoon si è detto pronto a dispiegare la Guardia Nazionale in ausilio allo U.S. Custom and Border Protection. Più complesso sarebbe l’utilizzo dell’esercito: esso non può essere dispiegato per far rispettare la legge (Law Enforcement) a meno che la misura non venga autorizzata dal Congresso. Tuttavia, il presidente potrebbe dichiarare lo stato di emergenza nazionale e ricorrere all’Insurrection Act del 1807, il quale prevede che l’esercito possa essere mobilitato in caso di emergenza. In passato, diversi presidenti hanno fatto ricorso a questa legge (per motivi diversi), tra cui Lincoln, Eisenhower e Kennedy.
Inoltre con tutta probabilità Trump emanerà degli ordini esecutivi per riportare la politica Remain in Mexico – la quale prevedeva l’obbligo per il migrante di rimanere in Messico durante la lavorazione della propria procedura di immigrazione – sopprimere le misure di protezione umanitaria istituite dal presidente Biden, applicare restrizioni per la richiesta di asilo e per rendere obbligatoria la detenzione per i migranti illegali.
Merita attenzione la nomina di Tom Homan allo U.S. Immigration and customs enforcement (ICE), l’agenzia del Dipartimento di Sicurezza Interna (DHS) che si occupa proprio del contrasto all’immigazione illegale. Il futuro capo dell’agenzia si era già distinto in un dibattito con la deputata democratica Alexandria Ocasio Cortez nel 2019, in cui affermava che al tempo avrebbe raccomandato misure di ‘tolleranza zero’, tra cui la separazione delle famiglie, all’allora segretario del Dipartimento di Sicurezza Interna. Ad egli spetterà quella che viene definita in gergo la carica di border czar, colui che dovrebbe occuparsi della sicurezza al confine.
Secondo l’American Community Survey (ACS), i rimpatri potrebbero colpire fino a 11 milioni di persone, con importanti ricadute negative sull’economia statunitense. L’agenda Trump ha inevitabilmente attirato feroci critiche da parte dei Democratici e di associazioni del settore.
Ius soli a rischio?
In una recente intervista al programma Meet the press di NBC Trump è tornato ad esprimere i suoi dubbi in merito allo Ius soli, il principio che regola alcuni aspetti dell’acquisizione della cittadinanza negli Stati Uniti. In base al principio della birthright citizenship, il XIV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti prevede che chiunque nasca in territorio statunitense acquisisca automaticamente la cittadinanza americana.
Sin dagli albori della sua carriera politica, Trump ha criticato tale sistema, poiché a detta sua favorirebbe l’immigrazione illegale e incentiverebbe il ‘turismo di nascita’, ossia i viaggi di madri dall’estero solo per dare alla luce i figli in territorio statunitense, approfittando di questo sistema per fargli ottenere il passaporto e dunque dei privilegi ad esso connessi.
Tuttavia è pressoché impossibile che Trump riesca a riformare il sistema. La birthright citizenship è sancita a livello costituzionale, e una modifica alla costituzione richiederebbe prima di tutto la maggioranza qualificata in congresso e successivamente la ratifica da parte dei ¾ degli Stati.
Trump ha comunque espresso la volontà di tutelare i dreamers, i bambini entrati illegalmente con i genitori negli Stati Uniti ma successivamente cresciuti nel Paese. Il Tycoon si è detto pronto a lavorare con i democratici per garantire i diritti di questa categoria.