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    Il governo vuole mandare militari italiani a Gaza

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    Storicamente il nostro paese ha sempre avuto un canale di comunicazione privilegiato in Medioriente, con la nostra capacità di mediazione ricopriamo un ruolo fondamentale per tutto l’occidente. Fin dalla prima repubblica, Roma ha dialogato con tutte le forze, ufficiali on non, presenti nel bacino che va dal Mediterraneo orientale al Golfo. Questo fattore ci ha così offerto un posto ai tavoli internazionali che si occupano delle tematiche nella regione. Un esempio è la missione ONU denominata UNIFIL, la quale si occupa di mantenere la presenza militare del governo di Beirut anche nel sud del Libano, dove domina il movimento terrorista Hezbollah. Non è un caso che gli ultimi quattro comandanti di questa missione provenivano proprio dal Belpaese, a cui si devono aggiungere 1300 soldati e centinaia di mezzi terrestri, aerei e navali italiani. Un altro esempio è la missione MIBIL, sempre delle Nazioni Unite,che si occupa di addestrare l’esercito libanese. Venne costituita nel 2013 a seguito della crisi siriana e da allora la presenza italiana è molto importante. Di certo non si può dimenticare lo sforzo diplomatico che l’Italia svolge nei confronti dei due attori regionali più importanti: Israele, a cui il nostro governo ha assicurato sostegno, e l’Iran, che con la nuova presidenza moderata di Pezeshkian ha trovato in Roma un interlocutore strategico.

    Italia: pro o contro Israele?

    Di certo il nostro paese si trova nella posizione di poter influenzare il giudizio e le azioni occidentali nell’area. Infatti, al nostro tradizionale ruolo di mediatore, dimostrato dalla volontà degli Stati Uniti di affidare ai Carabinieri l’addestramento di una forza di difesa dell’Autorità Nazionale Palestinese, si deve aggiungere la presidenza del G7, il gruppo dei “grandi” della Terra. In realtà la posizione espressa dal Ministro degli Affari Esteri Tajani risulta al quanto ripetitiva, e forse anche un po’ “vuota”. L’Italia è alleata di Israele, a cui non si può «tirare uno schiaffo morale» riconoscendo lo stato di Palestina, almeno non fin quando Hamas avrà il controllo della Striscia di Gaza. Ciò che conta però, è la volontà di convincere Netanyahu a una de-escalation, anche nell’area del Libano, per evitare che il conflitto possa allargarsi su scala regionale. Anche qui, torna utile il ruolo di interlocutore con l’Iran che, di certo, cambierebbe le carte in tavola con un suo eventuale coinvolgimento diretto in guerra. In realtà, sia per Tajani che per Meloni questa è una situazione molto spinosa. Non solo devono confrontarsi con i loro omologhi alleati che, come nel caso del neopremier Starmer nel Regno Unito, possono rapidamente cambiare opinione in materia. Ma devono anche vedersela con un’opinione pubblica nazionale che difficilmente riesce ad allinearsi con le loro posizioni ufficiali. Per quanto in Italia ci sia una presenza filo-israeliana, sia a destra che a sinistra, essa risulta molto esigua rispetto a chi decide di portare avanti la causa palestinese, contando sia chi sostiene l’idea dei due popoli due stati sia chi invece è convinto dell’illegittimità dell’esistenza di Israele. A questo punto la posizione pro Tel-Aviv del governo pare risultare da questioni internazionali. Non a caso, nonostante alcuni tentennamenti Dem e Labour, il mondo anglosassone sembra essere fedele allo Stato Ebraico. Ciò si può notare anche dalla campagna elettorale del repubblicano Trump che, con l’aiuto delle IA, dipinge la sua avversaria Harris come una comunista nemica di Israele. Per onestà intellettuale è giusto precisare che Kamala Harris, per quanto abbia condannato la violenza dell’esercito di Netanyahu e dato il suo supporto al popolo palestinese, rimane una ferrea sostenitrice della teoria dei due popoli due stati. 

    Gli italiani aiuteranno a costruire lo stato di Palestina

    Ciò che però il governo italiano, nelle vesti di guida del G7, porta di nuovo sul piatto è un piano per la ricostruzione della Palestina post-bellica. Infatti, a quanto si può leggere sul sito della Farnesina, Antonio Tajani proporrà a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite di inviare i caschi blu in Palestina per la costruzione di un vero e proprio stato arabo. Ovviamente, il vicepremier non ha mancato di fare gli interessi nazionali, proponendo anche l’invio di soldati italiani nell’area. Ciò potrebbe aumentare l’influenza che ha Roma nella regione e far risultare il nostro paese non solo come pura e semplice diplomazia ma come una forza militare capace di intervenire concretamente nei teatri di guerra.

    L’incognita Salvini

    Mentre Meloni e Tajani, Fratelli d’Italia e Forza Italia, assumono una postura internazionale, l’altro vicepremier e leader del terzo partito di governo, Matteo Salvini, sembra voler metter in difficoltà i suoi alleati. Sono mesi infatti che il leader del Carroccio sta attentando alla strategia estera del governo. Da Gaza all’Iran, la Lega sembra essere completamente contraria alle opinioni della Premier e del Ministro degli Esteri. Era novembre dello scorso anno quando, da una piazza milanese organizzata a favore di Tel Aviv, Salvini sosteneva l’innocenza di Netanyahu e la criminalità dell’Iran. Di certo, Giorgia Meloni non deve esserne troppo contenta. Tutti noi sappiamo del tentativo di Fratelli d’Italia di ripulire la propria immagine all’estero: da missino a conservatore, da nazionalista ad americanista. Eppure, il governo sembra star combattendo non tanto con l’opposizione socialista e liberale, che comunque non riesce a trovare una quadra sulla questione di Gaza, ma soprattutto con la sua stessa vicepresidenza.

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