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    Il monito di Rutte: l’Europa e la NATO nel mirino?

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    Questa settimana una folata proveniente dall’Est fatta di tensioni e paure, ha attraversato l’Europa trasformando il freddo di dicembre in un gelo improvviso. È quanto successo quando Mark Rutte, segretario generale della NATO, ha lanciato un inquietante avvertimento da Berlino: “siamo il prossimo obiettivo della Russia”.

    Il capo dell’Alleanza Atlantica ha affermato che Mosca sarebbe in grado di attaccare uno Stato membro della NATO entro i prossimi cinque anni, invitando a ripensare la sicurezza collettiva europea e ad aumentare rapidamente spesa e produzione militare.

    L’analisi dell’ex premier olandese va letta però anche all’interno di una cornice geopolitica più ampia, quella in cui l’Europa si trova a fare i conti non solo con una minaccia esterna, ma anche e soprattutto con l’evoluzione del patto atlantico stesso e una Washington – che per decenni è stata garante della sicurezza del continente – sempre più distante.

    L’ecosistema del rischio

    Nel discorso tenuto a Berlino, Mark Rutte ha affermato come gli Stati membri della NATO non possano più essere considerati semplici spettatori del conflitto ucraino, bensì potenziali bersagli. Il Segretario ha infatti sottolineato come la guerra in corso abbia riportato il rischio di conflitto armato sul suolo europeo come non si vedeva dalla Seconda guerra mondiale. 

    Nel corso dell’anno, l’Alleanza Atlantica ha definito obiettivi di spesa molto più ambiziosi del passato: fino al 5% del PIL per la difesa entro il 2035. Questo piano, che paradossalmente potrebbe indirettamente non dispiacere a Mosca, in quanto frammenta l’unità europea, è stato promosso anche dagli USA e dall’amministrazione Trump, sempre più stanca di pagare il prezzo più alto per la difesa collettiva ed europea. 

    Il dilemma della sicurezza

    La critica avanzata nel discorso che ha tanto allarmato non riguarda solo la capacità militare ma anche, e forse soprattutto, la volontà politica. Eppure, tutto questo ci catapulta all’interno di uno dei paradossi più antichi e profondi delle relazioni internazionali: il dilemma della sicurezza

    Ovvero la contraddizione, quasi ironica se non si parlasse della terza guerra mondiale, secondo cui un attore che si sente minacciato aumenta le proprie capacità militari per proteggersi, ma questo rafforzamento difensivo può essere percepito come offensivo proprio da chi ci si voleva difendere. Da qui una spirale che si autoalimenta e che conduce fino al rendere più probabile proprio quel conflitto che si voleva evitare.

    Rafforzarsi per prevenire la guerra potrebbe alimentare la percezione di un conflitto inevitabile e quindi condurre con più facilità a esso.

    L’ombra di un possibile attacco

    “La Russia potrebbe essere in grado di attaccare uno Stato della NATO entro i prossimi cinque anni”. Questo il cuore del messaggio presentato come rischio concreto se non cambiano le priorità strategiche dell’Alleanza.

    A spaventare il Segretario ci sono fattori come l’espansione della capacità militare russa, dall’aumento della produzione di missili alla modernizzazione dei mezzi bellici e le nuove tecnologie militari. In questa ottica, la deterrenza tradizionale potrebbe non essere sufficiente se lasciata ai ritmi attuali.

    La richiesta è quindi quella di rafforzare rapidamente capacità di difesa e spesa militare e nel farlo rivela un nodo strategico più profondo: quello di un’Europa che da anni è chiamata a costruire autonomamente la propria deterrenza.

    Questa dinamica è resa ancora più evidente dal recente documento strategico statunitense, il National Security Strategy, in cui Donald Trump compie una cesura netta e chiude un capitolo della politica estera americana durata oltre settant’anni. L’Europa è ritratta ora come un’area in declino, la quale deve assumersi maggiori responsabilità per la propria difesa.

    Si tratta di un nuovo corollario della Dottrina Monroe del 1823 che dice una cosa chiara: gli Stati Uniti non si considerano più il garante automatico dell’ordine europeo, ma un attore che guarda prima alle proprie priorità.

    Le intenzioni di Mosca

    Si ritiene opportuno fornire una precisazione che sembra quasi assente nel dibattito pubblico: non c’è alcuna evidenza che Mosca voglia davvero scatenare una guerra mondiale con la NATO. Un conflitto diretto sarebbe economicamente devastante, militarmente insostenibile e probabilmente suicida per il Cremlino.

    La Russia, finora, ha sempre privilegiato conflitti limitati, pressione ibrida, destabilizzazione delle periferie strategiche e l’idea di uno scontro totale con l’Occidente appare del tutto irrazionale.

    Questo però non significa che il Segretario della NATO abbia straparlato: il rischio evocato da Mark Rutte non riguarda tanto la “volontà” russa di attaccare, quanto la capacità potenziale e la vulnerabilità europea nel caso in cui il quadro geopolitico dovesse deteriorarsi ulteriormente e/o velocemente. Il punto sostanziale è che, mentre la Russia compie grandi esercitazioni ai confini europei, alza l’asticella della guerra ibrida e aumenta le proprie capacità, l’Alleanza Atlantica e l’Europa in particolare non fanno altrettanto e anzi, restano indietro.

    L’allarme di Rutte come leva interna europea

    Non si tratta solo di un monito tecnico sulle capacità russe: ma un segnale politico forte, un invito a ripensare il ruolo della NATO e, soprattutto, il ruolo dell’Europa nella propria sicurezza. Il segretario nel suo discorso sta comunicando tanto a Mosca quanto a Bruxelles e Washington.

    In un contesto in cui gli Stati Uniti sembrano ridefinire le loro priorità strategiche, la patata bollente torna ancora una volta nelle mani dell’Europa che è chiamata a scegliere: restare dipendente da un’alleanza che potrebbe essere meno stabile di quanto lo è stata per decenni, oppure costruire una maggiore autonomia di deterrenza e proiezione strategica.

    “Chi non percepisce il rischio è parte del problema” ha detto il Segretario NATO che, forse con toni un po’ allarmistici, parla però di realismo strategico. Sarà la NATO, così come la conosciamo, ancora l’asse centrale della sicurezza europea nel prossimo decennio? Le parole di questi giorni e l’atteggiamento stanco e infastidito della Casa Bianca sembrano suggerire la necessità di un nuovo tipo di alleanza: più europea e più autonoma.

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