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    Tregua fragile tra Israele ed Hamas: il nodo sulla restituzione degli ostaggi

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    La firma dell’accordo, avvenuta il 10 ottobre 2025, aveva aperto la strada ad una possibile svolta nel conflitto mediorientale. Ad oggi, però, la situazione nella Striscia di Gaza resta instabile e oscilla tra momenti di apparente calma e attimi di tensione. 

    La tregua, che formalmente è in vigore, è stata messa a dura prova nelle ultime settimane dai numerosi raid che si sono perpetrati sulla Striscia. Infatti, la questione centrale rimane lo scambio di ostaggi, vivi e morti, come base necessaria per il rispetto del testo negoziato e per il completamento delle fasi successive. 

    La restituzione dei corpi

    Questo è il nodo che maggiormente ha alimentato scambi di accuse e sospetti sulla stabilità della tregua. Se nei giorni successivi alla firma, Hamas aveva consegnato i 20 ostaggi ancora in vita, Israele ad oggi afferma che la consegna delle salme, invece, è risultata incompleta, anche sulla base dell’indagine svolta da Tel Aviv in merito agli elenchi di identificazione, giudicati come manipolati. 

    La questione si è infuocata la notte del 29 ottobre, quando Israele ha lanciato una serie di raid che, come riportato dalle autorità israeliane, erano rivolti nei confronti dei comandanti di Hamas, ritenuti responsabili delle violazioni dell’accordo. La Croce Rossa, principale intermediario nella fase di scambio degli ostaggi, ha dichiarato come la situazione nella Striscia sia fragile, a causa dei numerosi morti e feriti registrati nelle ultime notti. 

    Anche lo scambio avvenuto nella notte del 31 ottobre ha destato sospetti in seno alle autorità israeliane, che hanno rifiutato i corpi consegnati da Hamas, perché non corrispondevano ai nominativi degli ostaggi attesi. Dal suo canto Hamas ha tentato di spiegare le difficoltà logistiche nel recupero dei corpi, a causa della devastazione del terreno, accusando Israele di essere responsabile nell’ostacolamento delle operazioni di ricerca.

     “Le Brigate Qassam affermano la disponibilità delle proprie squadre a lavorare al recupero dei corpi dei prigionieri nemici all’interno della Linea Verde, simultaneamente e in tutte le località“, ha dichiarato il braccio armato di Hamas, invitando “i mediatori e il Comitato Internazionale della Croce Rossa a fornire e attrezzare l’equipaggiamento e il personale necessari per lavorare al recupero di tutti i corpi simultaneamente”.

    Il ruolo della diplomazia

    Tel Aviv difende il suo punto, sostenendo la necessità dei raid, definiti come “precision strikes”, per la sopravvivenza e il mantenimento dell’accordo. A livello diplomatico i mediatori – Qatar, Egitto, Stati Uniti e Turchia – sono al lavoro per evitare una ricaduta e far sì che entrambe le parti rispettino gli impegni presi, nella maniera più trasparente possibile. 

    Il ministro degli Esteri dell’Egitto, Badr Abdelatty, ha dichiarato di voler “promuovere una cultura di pace e fornire servizi umanitari e per la salute”, in vista del piano di ricostruzione di Gaza. Gli Stati Uniti hanno nel frattempo offerto ad Hamas un corridoio sicuro, pur di riuscire a preservare il cessate il fuoco. Il piano statunitense, infatti, è quello di liberare il territorio di militanti di Hamas, così da ammorbidire la situazione tra le due parti ed evitare ulteriori attacchi israeliani. 

    In più, lunedì 3 novembre si terrà ad Istanbul un vertice di ministri degli Esteri di paesi musulmani, tra cui Emirati Arabi Uniti, Qatar, Giordania, Pakistan, Indonesia ed Egitto, per discutere della situazione nella Striscia e proporre soluzioni per il mantenimento della stabilità nella zona. In Italia, invece, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, venerdì 7 novembre riceverà il Presidente della Palestina Mahmud Abbas.

    Conclusione

    Le conseguenze umane rimangono comunque drammatiche, senza sostanziali miglioramenti rispetto al periodo precedente rispetto alla firma della tregua. Le organizzazioni internazionali continuano a sottolineare la gravità della crisi sanitaria in atto e parlano di un tessuto sociale e sanitario “a pezzi”.

    L’accordo, dunque, è messo a dura prova da elementi problematici: la restituzione degli ostaggi, le violazioni del cessate il fuoco, la protezione dei civili. Finché questi punti non verranno risolti e messi sotto stretto controllo da procedure stabili e trasparenti, la tregua rimarrà sempre a rischio. La comunità internazionale sarà in grado di insistere a sufficienza per la creazione di meccanismi di verifica e protezione adeguati?

    20250422

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