È oggi nostra ospite Antonella Soldo, candidata con la lista “Stati Uniti d’Europa” nella circoscrizione Nord-est. Esperta di advocacy e di politiche pubbliche stupefacenti, è membro del Consiglio generale dell’Associazione Luca Coscioni, nonché coordinatrice dell’Associazione Meglio Legale. A seguire alcune domande per comprendere meglio “l’Europa che vorrebbe”.
A pochissimi giorni dal voto, pare che la componente europea, vale a dire cosa si intende o meno fare concretamente per migliorare l’Unione, sia praticamente assente, se non per piccole e poco incisive – mediaticamente parlando – parentesi. In questo senso, la lista Stati Uniti d’Europa costituisce certamente un’anomalia. Quali sono le opportunità ottenibili per mezzo di questa visione comune ed unitaria?
Non c’è sfida globale dei nostri tempi che i singoli paesi europei, tantomeno l’Italia, possano affrontare da soli. Pensiamo al cambiamento climatico o alla gestione delle migrazioni, alle crisi sanitarie o all’indipendenza energetica, per non parlare dei conflitti che tornano ad affacciarsi ai nostri confini. Per ognuna di queste emergenze c’è una sola risposta: l’Europa deve parlare con una sola voce, quella degli Stati Uniti d’Europa.
Tanti dubbi, pochi invece i punti fermi a campagna elettorale ancora in corso: tra questi, la sostanziale emarginazione subita, nel dibattito pubblico, dai vari programmi elettorali a fronte dell’imponente personalizzazione. Una domanda sorge allora spontanea: siamo sicuri che gli elettori abbiano ben chiaro cosa andranno effettivamente a votare il prossimo otto e nove giugno?
I partiti politici in Italia hanno completamente rinunciato ad entrare nel merito delle questioni europee. Basti pensare al Presidente del Consiglio che riduce tutto al suo nome, sapendo che se eletta non andrà nemmeno in Europa. Purtroppo come lei, molti altri leader politici intendono queste elezioni come un modo per contarsi e non per contare. L’assenza di un vero dibattito sull’Unione Europea è un problema che riscontriamo ad ogni elezione. Per questo motivo, Emma Bonino ha deciso di lanciare la lista “Stati Uniti d’Europa” perché già nel nome c’è l’intero programma di chi di Europa ne vuole di più.
Altra componente sorprendentemente poco toccata è l’istruzione, settore pubblico per il quale, secondo i dati Eurostat 2022, l’Italia spende soltanto il 4,1% del proprio PIL. In che modo Stati Uniti d’Europa intende investire sulla formazione delle giovani generazioni?
Siamo un paese ricco di giovani talenti ma povero di opportunità. Ogni anno assistiamo indifferenti al triste dato dell’Istat sulla crescita dell’emigrazione dei cervelli in fuga che preferiscono investire il proprio futuro all’estero piuttosto che in Italia. Vogliamo che per ogni euro speso in sicurezza, un euro sia speso in cultura, solo così possiamo invertire questo trend, mostrando ai giovani laureati che esistono possibilità di crescita anche nel nostro Paese.
Dei ventisette Stati dell’Unione, nove di questi – Italia compresa – non hanno firmato la dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore della comunità LGBTQIA+. Quanto questo mancato accordo, dal suo punto di vista, peserà negativamente sulle già preannunciate elevate percentuali di astensionismo, soprattutto giovanile?
La dichiarazione europea sui diritti LGBTQIA+ è la dimostrazione che spesso è proprio l’Europa a renderci migliori. Questo è un dato che i giovani percepiscono, non è un caso che i cittadini che si sentono più europei si trovino nelle fasce più giovani. Anche perché la legislatura europea spesso affronta temi che i parlamenti nazionali non hanno il coraggio di affrontare: contrastare i cambiamenti climatici, aumentare le libertà sociali e civili di ogni cittadino. Non so quanto questo possa pesare sull’astensionismo, ma avrei una domanda per chi non vuole andare a votare: in quale Europa vorreste vivere? Quella di Orban e Meloni con meno diritti oppure in un’Europa dove i tuoi diritti devono valere in ogni paese europeo, senza nessuna discriminazione?
Nei giorni scorsi il giornalista Enrico Mentana si è fatto paladino dell’eventuale confronto televisivo tra tutti i leader politici sulla propria emittente, LA7. Una proposta, questa, che difficilmente vedrà luce. L’impressione pare quella di voler privare gli elettori di un’occasione importante sotto il profilo dialogico, dunque pienamente democratico. Qual è la sua opinione a riguardo?
L’occasione importante sarebbe stata quella di dare ai cittadini la possibilità di ascoltare dei confronti tra tutte le forze in campo, non solo tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Credo, come il direttore Mentana, che si tratti di un’occasione sprecata.
Altrettanto recente è l’emendamento al ddl sicurezza in esame alla Camera: questo vieterebbe la coltivazione e la vendita delle infiorescenze, anche di cannabis a basso contenuto di Thc, per usi diversi da quelli indicati nella legge stessa, ossia espressamente aziendali. Prevista quindi una sostanziale parificazione tra cannabis light e non light. Crede che una simile misura, se approvata, possa costituire ulteriore terreno fertile alla gestione di stampo criminale – mafiosa da tempo dilagante nell’ambito?
Le do un dato. Da quando la cannabis light è diventata legale sono nate migliaia di imprese portate avanti da giovani imprenditori con un indotto di 150 milioni di euro, tutti soldi sottratti al mercato nero delle mafie. La scelta di proibirla è ideologica, pregiudiziale e puramente propagandistica, a discapito di un settore che può crescere alla luce del sole. La Germania, da pochissimo, ha scelto la via della legalizzazione mentre l’Italia guarda, anche qui, all’Ungheria di Orban che addirittura la vieta per i pazienti.
Molto discussa è anche quella rinominata come “teleMeloni”: analizzando meglio il tema, si scopre che il servizio televisivo pubblico è sempre stato lottizzato da tutti i Governi – di qualsiasi colore politico – passati per Palazzo Chigi e che, dunque, chi postula il contrario sta semplicemente evitando di guardare in faccia la realtà. È forse giunto il tempo di una governance indipendente e neutrale?
Lo stato di benessere di una democrazia si misura anche dal pluralismo di idee e dalla libertà di espressione. Meloni sbaglia quindi ad utilizzare la scusa del “si è sempre fatto così” per fare ancora peggio. I casi di Roberto Saviano e Antonio Scurati ne sono l’esempio. Quella per una RAI indipendente dai partiti è una nostra battaglia storica. Le faccio un esempio: mentre raccoglievamo quasi due milioni di firme per i referendum su eutanasia e cannabis, con un’altissima partecipazione dei cittadini, non abbiamo avuto nemmeno un minuto nel prime time per un dibattito serio e aperto.