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    Referendum: l’invito all’astensionismo come arma politica di destra e sinistra

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    Negli ultimi giorni si è parlato molto del modus operandi di alcuni esponenti del Governo che hanno apertamente invitato i cittadini ad astenersi e non andare a votare al referendum dell’8 e 9 giugno. In molti hanno definito questa scelta non etica e scorretta. Vediamo qual è stata la storia dei referendum e come è stata usata questa arma politica dai vari partiti.

    L’astensionismo da Craxi ad oggi

    Già nel 1991, in concomitanza del referendum del 9 giugno riguardante la riduzione delle preferenze da poter esprimere sulla scheda elettorale, Bettino Craxi, leader del Partito Socialista Italiano (PSI), aveva invitato i cittadini ad “andare al mare” e quindi a non recarsi alle urne. Aveva definito quel referendum come “incostiuzionalissimo”, e insieme a lui sostennero questa linea di astensione anche Bossi e una parte della Democrazia Cristiana. 

    Nonostante ciò, il referendum fu un trionfo e andarono a votare 29,6 milioni di cittadini, facendo vincere i sì. Questo dato suggerisce come non sempre l’invito all’astensionismo sia una pratica vincente, dato che talvolta piò portare molta più affluenza alle urne. 

    Questo non fu l’unico caso di invito all’astensionismo: episodi simili si sono ripetuti nel 2003, sia da parte del centrodestra che del centrosinistra, e poi nel 2011, in quest’ultimo caso solo da parte del centrodestra. Al di là del colore politico, l’astensione fu la linea utilizzata dai partiti per opporsi ai referendum abrogativi.

    Perché l’astensione?

    Come disciplina l’art. 75, c. 4 della Costituzione, il referendum abrogativo per essere valido deve raggiungere un quorum del 50% + 1, che corrisponde alla maggioranza degli aventi diritto al voto. Questo fu deciso dall’Assemblea costituente per evitare che la minoranza dei cittadini potesse avere il potere di abrogare una legge votata invece dalla maggioranza di essi, tramite i propri rappresentanti in Parlamento. I partiti utilizzano l’invito all’astensione per evitare che le persone si rechino alle urne e quindi per far sì che il quorum necessario non si raggiunga. 

    L’art. 98 del “Testo unico sulle leggi elettorali”, secondo il d.P.R. 361/1957, afferma che: “[…] chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati o a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o a indurli all’astensione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000”. 

    Questo però non significa che l’invito da parte di alcuni esponenti politici a non andare a votare sia un abuso del loro potere, perché in questo caso si rientra nell’espressione libera del proprio pensiero. Secondo alcuni, però, bisognerebbe mantenere un dovere di correttezza ed evitare di invitare all’astensione, come ricorda il costituzionalista Gaetano Silvestri.

    Le parole di Tajani, La Russa e Magi

    Per quanto riguarda il referendum dell’8 e 9 giugno, il primo ad esporsi è stato il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha affermato: “Non condividiamo la proposta referendaria, quindi invitiamo all’astensione. Noi siamo per un astensionismo politico” […] “Non c’è nessun obbligo di andare a votare”. Tajani ha ripreso proprio le parole di Giorgio Napolitano che disse: “Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria”. 

    Anche La Russa e Salvini hanno confermato questa posizione affermando che l’astensionismo per loro non è disimpegno, ma una “posizione prevista a livello costituzionale”. 

    L’opposizione, invece, pare totalmente contraria a questa scelta politica, come afferma Magi, segretario di +Europa: “L’invito a non votare è vergognoso e illiberale”. Schlein, Conte, Bonelli e Fratoianni saranno presenti in piazza il 19 maggio per partecipare all’iniziativa della CGIL, perché “Contrastare la deriva dell’astensionismo è un imperativo morale a cui la politica non può e non deve sottrarsi”.

    Conclusioni

    Nonostante le critiche mosse dal centrosinistra, la pratica dell’astensionismo è stata sperimentata da tutti gli esponenti politici almeno una volta. L’invito all’astensionismo, come detto prima, è una mossa strategica che ricalca il problema della poca affluenza alle urne, un’annosità che grava sulle spalle del nostro Paese da svariati anni. 

    È possibile che abbia un effetto contrario come successe con Craxi? Ma soprattutto, nel caso della seconda carica dello Stato, è etico che La Russa spinga in maniera così decisa verso l’astensionismo? Che sia etico o meno, ai sensi dell’art. 48 della Costituzione, il voto è definito come dovere civico e non giuridico, come lo era precedentemente nel già citato “Testo unico sulle leggi elettorali”, dunque il cittadino può decidere se e quando esercitarlo. Se gli effetti voluti dal centrodestra si realizzeranno o meno lo scopriremo solo al termine del referendum.

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