Dopo 18 mesi, lo scorso 13 febbraio, il Parlamento riunito in seduta comune ha eletto quattro giudici della Corte Costituzionale. La disputa sull’elezione dei nuovi giudici era iniziata nel novembre 2023, quando era terminato il mandato di Silvia Sciarra. Poco dopo, erano scaduti anche i mandati di Augusto Barbera, Giulio Prosperetti e Franco Modugno.
Di conseguenza, dalla fine del 2023 la Corte Costituzionale ha operato senza il numero completo dei suoi componenti, che in condizioni ordinarie sono quindici. Tuttavia, il limite minimo per poter deliberare è undici giudici.
Chi sono i giudici eletti
La scelta del Parlamento è ricaduta su Alessandra Sandulli, Roberto Cassinelli, Francesco Saverio Marini e Massimo Luciani.
Alessandra Sandulli è figlia d’arte: suo padre, Aldo, ricoprì il ruolo di Presidente della Corte Costituzionale tra il 1968 e il 1969. Napoletana, 68 anni, è professoressa di diritto amministrativo all’Università di Roma Tre, nonché avvocato. Ha diretto diverse riviste scientifiche ed è stata presidente dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo (AIPDA). È inoltre l’unica donna tra i quattro nuovi giudici che completano il plenum della Consulta.
Massimo Luciani, avvocato e docente emerito di istituzioni di diritto pubblico alla Sapienza, ha 72 anni. Tra il 2015 e il 2018 ha guidato l’Associazione Italiana dei Costituzionalisti. È accademico dei Lincei e attualmente presiede la Commissione bioetica.
Roberto Cassinelli, avvocato ed ex parlamentare, è stato esponente di Forza Italia fin dal 1994, passando poi nel Popolo della Libertà per rientrare successivamente nel partito di origine. Durante la sua esperienza parlamentare ha maturato una lunga carriera nella Commissione Giustizia. Tra le sue principali iniziative si annoverano la riforma dell’ordinamento forense (approvata nonostante il parere contrario del governo Monti), la legge che ha ufficializzato l’Inno di Mameli e diverse proposte normative riguardanti il web.
Francesco Saverio Marini, avvocato cassazionista, è professore di istituzioni di diritto pubblico all’Università di Tor Vergata. Anche per lui la Consulta rappresenta un legame familiare: suo padre, Annibale Marini, ne fu presidente dal 2005 al 2006.
Come si eleggono i giudici della Corte costituzionale
L’articolo 135 della Costituzione stabilisce che “la Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa.”
Tale composizione mista è finalizzata a garantire l’equilibrio, l’autorevolezza e l’indipendenza della Corte, coniugando l’elevata preparazione tecnico-giuridica con una necessaria sensibilità istituzionale. La nomina da parte del Presidente della Repubblica costituisce un atto formalmente e sostanzialmente presidenziale, in quanto rientra nell’esclusiva prerogativa del Capo dello Stato.
L’elezione parlamentare avviene a scrutinio segreto e richiede la maggioranza dei due terzi dei componenti dell’assemblea. Qualora nei primi tre scrutini non si raggiunga tale soglia, a partire dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti. Il quorum elevato è volto a garantire un’ampia convergenza politica, assicurando alla Corte un assetto pluralistico e rispettoso delle diverse sensibilità istituzionali.
Il processo di designazione
Per quanto concerne la designazione da parte delle supreme magistrature, i giudici vengono scelti tra magistrati, anche in quiescenza, appartenenti alle giurisdizioni superiori ordinaria e amministrativa, tra professori ordinari universitari in materie giuridiche e tra avvocati con almeno venti anni di esercizio della professione forense. Una volta nominati, i giudici costituzionali sono tenuti a sospendere qualsiasi incarico incompatibile con la funzione, inclusa l’appartenenza al Parlamento o a un Consiglio regionale, l’esercizio della professione forense e ogni altra carica o ufficio individuati dalla legge.
Con riferimento alla nozione di “suprema magistratura”, il dibattito dottrinale ha chiarito che il soggetto designato deve possedere sia requisiti formali (essere magistrato) sia requisiti sostanziali (svolgere effettivamente funzioni giurisdizionali).
I giudici costituzionali restano in carica per nove anni, senza possibilità di rielezione. Tale durata è finalizzata a garantire l’indipendenza, la stabilità e la continuità giurisprudenziale della Corte. La previsione di un mandato lungo esclude possibili pressioni politiche, mentre il divieto di rielezione impedisce condizionamenti esterni. Il meccanismo di ricambio graduale assicura un equilibrio tra innovazione e coerenza nell’interpretazione della Costituzione.
Criticità nell’elezione dei giudici costituzionali
L’elezione dello scorso 13 febbraio solleva alcune considerazioni in merito alla segretezza del voto parlamentare e alla necessità di garantire l’indipendenza dell’organo di garanzia deputato a tutelare la conformità delle leggi alla Costituzione.
In primo luogo, occorre ricordare che la designazione di una quota dei giudici da parte del Parlamento risponde all’esigenza di evitare che la Corte costituzionale si configuri come un organo eccessivamente distante dal titolare della sovranità popolare. Durante i lavori dell’Assemblea Costituente, Togliatti evidenziò il rischio di un organo dotato del potere di sindacare la legittimità delle leggi senza una diretta legittimazione democratica. La scelta di attribuire al Parlamento una quota di nomina dei giudici costituzionali è stata pertanto dettata dalla necessità di bilanciare il principio di indipendenza della Corte con il requisito della rappresentatività istituzionale.
Un primo elemento critico emerso dall’elezione dei quattro giudici riguarda l’assenza di una figura con specifiche competenze penalistiche. Attualmente, l’unico membro della Corte con una solida formazione in diritto penale è il professor Viganò, circostanza che potrebbe pregiudicare l’equilibrio e l’autorevolezza dell’organo. La Corte costituzionale è chiamata a garantire un approccio multidisciplinare, affinché le proprie decisioni siano adeguatamente ponderate alla luce delle diverse branche del diritto. La mancata presenza di esperti in diritto penale potrebbe incidere negativamente sulla qualità delle decisioni in materia di legittimità costituzionale delle norme penali, un settore particolarmente sensibile per il suo impatto sui diritti fondamentali della persona.
Il rapporto con il Governo
Ulteriori perplessità sorgono in relazione all’elezione del professor Marini, attuale Consigliere giuridico della Presidente del Consiglio dei Ministri e autore del disegno di legge sul premierato, una riforma costituzionale che potrebbe avere effetti diretti sia sulla Consulta sia sulla figura del Presidente della Repubblica. La nomina di un giurista con un ruolo istituzionale così vicino all’esecutivo solleva interrogativi sulla piena indipendenza della Corte costituzionale.
L’ingresso di un soggetto direttamente coinvolto nell’elaborazione di riforme costituzionali potrebbe compromettere la percezione di terzietà e imparzialità dell’organo, soprattutto in una fase in cui sono in discussione numerose proposte di revisione costituzionale. La storia istituzionale dimostra come anche una singola figura, se collocata in una posizione strategica, possa esercitare un’influenza rilevante sugli equilibri decisionali.
Segretezza del voto
Un’ulteriore questione attiene alla procedura di voto segreto per l’elezione dei giudici costituzionali da parte del Parlamento. L’elezione simultanea di quattro membri della Consulta consente ai partiti di esercitare un controllo indiretto sui voti espressi, attraverso la predisposizione di schemi di indicazione dei candidati, con il fine di individuare eventuali franchi tiratori. Tale prassi, ormai consolidata, pone un problema di libertà del voto parlamentare, in quanto rischia di trasformare un’elezione fondata su criteri di indipendenza e competenza in una mera conta politica.
In un simile contesto, il processo di selezione dei giudici costituzionali potrebbe risultare compromesso, con il pericolo che prevalgano logiche di appartenenza partitica piuttosto che un’effettiva valutazione dei requisiti professionali e dell’elevato profilo istituzionale richiesto per l’incarico. Questa dinamica espone la Corte costituzionale al rischio di una politicizzazione eccessiva, minando il principio di autonomia che deve caratterizzare l’organo di garanzia. La Consulta, infatti, deve mantenere un equilibrio tra le diverse sensibilità giuridiche e istituzionali, evitando interferenze e condizionamenti da parte della maggioranza politica contingente.
Sarebbe necessario avviare una riflessione approfondita sulle modalità di elezione dei giudici costituzionali, ma soprattutto sulla capacità dei partiti politici di assolvere ancora pienamente alla loro funzione nell’ambito della nostra forma di governo. La vera criticità risiede nell’evoluzione del ruolo dei partiti, la cui trasformazione ha determinato una progressiva alterazione degli equilibri del sistema politico, con inevitabili ripercussioni anche sugli organi di garanzia.
Autonomia della Corte e ruolo dei partiti
In questo contesto, occorre considerare che il prossimo Presidente della Repubblica non apparterrà più alla classe dirigente della Prima Repubblica, caratterizzata da un consolidato senso delle istituzioni, ma sarà espressione di una generazione politica formatasi tra gli anni ’80 e ’90, la stessa che ha contribuito all’attuale involuzione del sistema senza che vi fosse una revisione formale della Carta costituzionale.
Con specifico riferimento alla Corte costituzionale, sarebbe opportuno introdurre meccanismi idonei a prevenire il passaggio diretto da ruoli di governo o funzioni strettamente connesse all’attività dell’esecutivo alla carica di giudice costituzionale, così da preservare la piena indipendenza dell’organo di garanzia e scongiurare il rischio di indebite influenze. La tutela dell’autonomia della Consulta è infatti essenziale per garantire l’imparzialità del sindacato di legittimità costituzionale e la salvaguardia dei principi fondamentali dell’ordinamento.
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