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    Sanità pubblica e disparità territoriali

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    L’articolo 32 della Costituzione stabilisce che la salute è un diritto fondamentale. Da qui il fatto che il legislatore ha il dovere di garantire l’accesso alle cure a tutti i cittadini, nonché a coloro che si trovano nel nostro Paese, senza alcuna distinzione. Tuttavia, gli ultimi dati rivelano quanto sia difficile accedere alle cure pubbliche e gratuite, specialmente per le persone economicamente svantaggiate.

    La situazione attuale

    Circa 4 milioni di italiani rinunciano alle cure – incluse quelle per malattie oncologiche, croniche e cardiovascolari – a causa della lunghezza delle liste d’attesa nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e dei costi elevati delle cure private. A mero titolo esemplificativo, basti citare il fatto che in Lombardia l’attesa per un intervento di rimozione della cataratta è di un anno e mezzo passando per mezzo del SSN; il medesimo intervento può essere effettuato molto più agevolmente in una settimana pagando 800 euro (ad occhio) in un presidio privato. Per un intervento alla prostata, invece, l’attesa può arrivare fino a due anni, mentre 10.000 euro permettono di risolvere il problema in poche settimane.

    La situazione non migliora nel resto del Paese: in Sicilia una visita fisiatrica per un trauma alla caviglia richiede 14 mesi; nel Lazio l’attesa per una visita ginecologica e un’ecografia si dilata fino a metà 2025. In Marche e Puglia, anche in caso di esami urgenti, e molti pazienti sono costretti a ricorrere al settore privato. In Piemonte, infine, per ecografie e mammografie si è costretti ad attendere oltre 400 giorni.

    Un’indagine svolta sui tempi di attesa per sei prestazioni sanitarie in Italia evidenzia gravi difficoltà nel rispettare le tempistiche previste. Alcune regioni riportano buoni risultati, mentre altre rispettano le tempistiche solo in percentuali molto basse. Per esempio, l’ASL di Pescara ha buone performance per le visite urgenti ma scarsi risultati per le ecografie addominali. In Umbria, solo un terzo dei cittadini riesce a prenotare un’ecografia addominale entro 10 giorni; per contro, i tempi per le visite oncologiche sono decisamente migliori. In Puglia, l’ASL di Bari evidenzia gravi carenze nelle visite pneumologiche e cardiologiche.

    Tante negatività, ma anche qualche dato positivo: nel 2023 l’ASL Roma 4 ha aumentato del 25% la percentuale di pazienti che ottengono una visita cardiologica in tempi brevi. E poi ancora: a Bari il 53% dei pazienti è riuscita ad accedere alla mammografia in tempi utili; nell’AUSL Emilia Romagna il 55% dei pazienti ha avuto accesso alle visite pneumologiche. Tuttavia, l’ASL Ligure 3 ha conosciuto un aumento drastico – toccata quota 427 giorni – per una visita cardiologica. A completare il quadro l’ASL di Viterbo, che ha ridotto significativamente le visite pneumologiche in classe B, e l’AUSL di Parma, che invece ha visto una diminuzione del 12% nel rispetto dei tempi per le visite cardiologiche.

    Mancanza di personale sanitario

    I lunghi tempi di attesa non sono solo una questione di inefficienza, ma anche di carenza di personale sanitario. In Italia mancano circa 20.000 medici e 30.000 infermieri. Situazione , quest’ultima, dovuta anche ad un’ondata di un forte esodo verso l’estero. Nel 2023, infatti, 10.000 medici hanno lasciato l’Italia alla ricerca di migliori condizioni contrattuali e stipendi più appaganti. I medici italiani guadagnano mediamente tra 50.000 e 60.000 euro all’anno, mentre gli specialisti possono arrivare a 100.000 euro. In confronto, i medici nel Regno Unito guadagnano tra 58.000 e 81.000 euro, in Francia tra 60.000 e 120.000 euro e in Germania tra 70.000 e 130.000 euro.

    La carenza di personale sanitario varia notevolmente a seconda delle regioni: ad Asti, ad esempio, c’è un pediatra ogni 1.813 bambini, contro una media nazionale di circa 1.000 e una normativa che prevede un pediatra ogni 800 bambini. A Caltanissetta è presente un ginecologo ogni 40.565 donne, rispetto alla media italiana di uno ogni 4.132. A Bolzano c’è un cardiologo ogni 224.706 abitanti, mentre a Pisa uno ogni 3.147. Nonostante l’esistenza dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) – introdotti nel 1992 e coprenti prevenzione collettiva, assistenza distrettuale e ospedaliera – l’obiettivo di garantire un’assistenza uniforme su tutto il territorio nazionale non è stato raggiunto. Le disuguaglianze continuano a essere gravi e diffuse.

    Investimenti e riforme

    Fatto questo quadro, l’impressione dilagante è che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che prevede 20 miliardi per la sanità, non sia stato distribuito equamente, concentrandosi soprattutto nelle aree metropolitane e lasciando scoperte le aree interne del Paese. A questo proposito va detto che, su 1.431 case di comunità, solo 508 sono destinate alle aree più periferiche, lasciando cinque milioni di italiani senza adeguati presidi sanitari. Inoltre, 13 comuni in Valle d’Aosta e 36 nell’entroterra ligure risultano ad oggi privi di servizi territoriali programmati. Complessivamente, 654.883 persone in aree periferiche di Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Marche non avranno quindi ospedali di comunità. Più che evidente, quindi, una preoccupante desertificazione sanitaria nel Nord.

    Infine, la riforma del numero chiuso a medicina, in discussione al Senato (prima firmataria Susanna Camusso, ex segretaria della CGIL), potrebbe aggravare la carenza di medici, con il rischio di lasciare spazio a clientele. In sintesi, la sanità italiana ha urgente bisogno di grandi investimenti e riforme per evitare che il più grande patrimonio pubblico del nostro Paese possa presto scomparire.

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