Martedì 24 giugno, in un messaggio alla nazione, il presidente iraniano Pezeshkian ha decretato la fine della guerra “dei 12 giorni” tra Israele e Iran. Precedentemente, il presidente Donald Trump, dopo i bombardamenti in alcune centrali iraniane, ha riferito il raggiungimento di un accordo per il cessate il fuoco. Vediamo qual è la condizione attuale del programma nucleare iraniano e le prospettive del suo ripristino.
Programma nucleare iraniano
Il programma nucleare iraniano nasce nel 1957 con lo Scià Reza Pahlavi, in seno al progetto americano “Atoms for peace” lanciato per contrastare l’influenza sovietica. Agli inizi degli anni 2000, sono stati scoperti due siti nucleari segreti, Natanz e Arak; successivamente, a seguito delle ingenti sanzioni economiche, nel 2015 è stato firmato l’accordo JCPOA, con cui Teheran accettò una riduzione del 98% del proprio uranio arricchito e lo smantellamento di 2/3 delle sue centrifughe, in cambio dell’eliminazione delle sanzioni. I problemi sono poi sorti nel 2018, quando – in concomitanza all’amministrazione Trump – l’accordo siglato nel 2015 è saltato e l’Iran ha cominciato ad arricchire il suo uranio.
Le strutture iraniane
Ad oggi, le strutture presenti in Iran legate al nucleare sono varie. Di queste fanno parte la centrale per la produzione di energia nucleare ad uso civile, a Bushehr, e gli impianti di arricchimento dell’uranio di Natanz e Fordow. In più, esistono due centri di ricerca a Teheran ed Arak e un centro per la lavorazione dell’uranio ad Isfahan.
Gli attacchi
In un primo momento, con l’operazione “Rising Lion”, Israele ha attaccato le aree di Natanz, Teheran e Isfahan, provocando danni solo in superficie, senza andare ad intaccare effettivamente gli impianti strategici situati in profondità. Dopodiché, gli Stati Uniti, con l’operazione “Martello di mezzanotte”, hanno sferrato degli attacchi sui siti di Fordow, Natanz e Isfahan, da sempre, soprattutto il primo, obiettivi della strategia statunitense.
Da qui iniziano le prime contraddizioni: la CIA e il suo direttore Ratcliffe e lo stesso Trump hanno definito gli impianti “completamente distrutti”, tramite una “operazione militare di spettacolare successo”, che non permetterà all’Iran di poter ricostruire il proprio programma, se non tra decenni. Dall’altra parte, la valutazione dell’intelligence statunitense (DIA- Defense Intelligence Agency) ha smentito la versione dei fatti del presidente Trump: “sarebbe troppo presto per commentare ciò che potrebbe o non potrebbe essere rimasto”, ha affermato il generale Dan Caine in relazione a Fordow. Infatti, secondo fonti ufficiali, i raid non avrebbero distrutto componenti cruciali del programma nucleare, anche se quest’ultimo sarà comunque rallentato di circa sei mesi. Dunque, i depositi di uranio non sarebbero stati distrutti e le centrifughe risulterebbero in gran parte intatte.
In più, sempre secondo il rapporto dell’intelligence, Teheran avrebbe spostato 400 chilogrammi di uranio arricchito prima del raid, non solo per proteggerlo ma anche per evitare un disastro nucleare. A testimonianza di ciò, vi sono alcune immagini satellitari che mostrano un’attività insolita di camion, vicino all’impianto di Fordow, alcuni giorni prima del bombardamento.
La posizione dell’AIEA
Anche la stessa AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ha segnalato che “al momento non sono stati segnalati aumenti dei livelli di radiazioni all’esterno dei siti”. La Casa Bianca ha subito reagito alle informazioni trapelate dall’agenzia di intelligence, classificandole come completamente sbagliate, accusandola anche di aver divulgato informazioni volte a danneggiare lo stesso presidente Trump.
Conclusioni
La CNN ha portato avanti delle indagini satellitari con cui sono stati documentati i danni causati dagli attacchi aerei statunitensi sull’impianto di Fordow; le immagini in questione riprendono sei crateri, causati dall’uso di bombe di profondità “bunker buster”. L’emittente Al Jazeera ha poi riferito che gli accessi ai tunnel sotterranei dell’impianto sono stati completamente ostruiti.
D’altro canto, il portavoce dell’Agenzia statale iraniana per l’energia atomica, Kamalvandi, ha affermato: “certo, abbiamo subito danni, ma questa non è la prima volta che l’industria subisce danni”. Solo in seguito ad ulteriori indagini sul campo riusciremo a capire l’entità dei danni provocati dagli attacchi statunitensi. Ad oggi vi sono pareri contrastanti sul ripristino effettivo del programma nucleare iraniano: mentre per le forze statunitensi e israeliane questa eventualità è improbabile, Teheran non è dello stesso pensiero, assicurando un ritardo di solo alcuni mesi.
Per quanto riguarda l’uranio arricchito, gli unici che potrebbero dare risposte sulla sua distruzione o meno sono gli ispettori dell’AIEA. Nel frattempo, il 25 giugno, il parlamento iraniano ha votato a favore della sospensione della cooperazione con l’Agenzia stessa.
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