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    Ucraina: la pace secondo Trump. L’ultima trattativa?

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    “C’è un momento nella vita di ogni nazione in cui tutti devono parlare. Onestamente. Con calma. […] Questo è uno dei momenti più difficili della nostra storia. In questo momento, la pressione sull’Ucraina è tra le più pesanti che abbiamo mai affrontato. Ora l’Ucraina può trovarsi davanti a una scelta molto difficile: o la perdita della dignità, o il rischio di perdere un alleato chiave. 

    punti complicati — ventotto — oppure un inverno estremamente duro, il più duro, e ulteriori rischi. Una vita senza libertà, senza dignità, senza giustizia. E tutto ciò per fidarci di chi ci ha già attaccati due volte”

    Si apre così il discorso che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha rivolto alla popolazione in un video pubblicato sui suoi social dopo la lettura del Piano di Donald Trump per la pace in Ucraina.

    Ma cosa prevede questo piano e quali scenari potrebbe far emergere?

    Siamo davanti all’inizio della fine guerra?

    Prima trapelato e poi ufficializzato, il piano dell’amministrazione Trump per chiudere il conflitto in Ucraina  a molti appare più come uno strumento di pressione. Il piano in ventotto punti presentato è infatti un documento che mette all’angolo Kiev e spacca Bruxelles. L’Ucraina viene messa davanti a un dilemma esistenziale e la geopolitica europea viene ridisegnata.

    Gli Stati Uniti sono stanchi di una guerra che è già costata troppo e che troppo poco è giustificabile in termini di interesse, la Russia osserva compiaciuta. In tutto questo l’Europa resta, ancora una volta, spettatrice priva di capacità strategica.

    È questo il quadro geopolitico nel quale si inserisce il piano, che può essere letto come parte di un disegno strategico più ampio della politica estera americana. Washington sembra infatti intenzionata a concentrare risorse ed energie su un teatro ben diverso, quello indo-pacifico, dove la competizione con Pechino è invece percepita come esistenziale.

    Non si tratta, quindi, solo di un tentativo di chiudere il dossier relativo al conflitto russo-ucraino ma anche di un segnale, che arriva forte e chiaro, alla NATO e ai palazzi di Bruxelles.

    Piano di pace o scelta obbligata?

    I punti presentati più che un piano di pace sembrano essere una scelta obbligata per Kiev che, sempre più in difficoltà sul terreno, riceve un ultimatum da Trump: o la firma entro giovedì prossimo o drastici tagli al supporto militare americano. Tagli che Zelensky non può permettersi in alcun modo.

    Il testo presentato mira a chiudere una guerra complessa con un accordo scritto a Washington e che è indubbiamente favorevole per Mosca.

    La posizione negoziale ucraina è debole e condizionata da fattori strutturali come il declino dell’attenzione globale – che vede il conflitto non più al centro dell’agenda internazionale – e dalla dipendenza totale dal supporto occidentale. La capacità di continuare una guerra senza gli Stati Uniti è infatti limitata tanto nel tempo quanto nelle possibilità operative. 

    Cosa prevede il piano: i punti che fanno discutere

    Il documento completo è formato da ventotto punti tra cui le concessioni territoriali nel Donbas: Kiev dovrebbe riconoscere la perdita di territori superando quella linea rossa che Zelensky ha sempre considerato invalicabile. D’altronde, secondo il presidente americano, l’Ucraina deve mostrare flessibilità, considerando che circa l’80% di quei territori è già, di fatto, sotto il controllo russo e che, continuando la guerra, li perderebbe comunque. 

    Secondo punto altamente divisivo riguarda la modifica della propria Costituzione da parte dell’Ucraina, introducendo l’impegno a non aderire mai alla NATO.

    Una clausola, questa, che ridisegnerebbe l’architettura di sicurezza europea. Rimuovere l’opzione d’ingresso significa infatti imporre una nuova normalità basata su zone di neutralità forzata. 

    La riduzione dell’esercito ucraino è un altro punto cruciale, perché apre il dilemma della sicurezza interna. A questi si aggiunge la richiesta di indire nuove elezioni entro 100 giorni, – un punto questo che lascia perplessi molti analisti, che vedono come pericoloso e poco realistico chiamare alle urne un paese che arriva da anni di bombardamenti e guerra. 

    Uno dei punti più contestati è, però, quello relativo all’amnistia per crimini di guerra. “Le parti – si legge nel documento – riceveranno piena amnistia per le loro azioni durante la guerra e si impegnano a non avanzare richieste future”. 

    Questo non rappresenta una semplice concessione diplomatica, ma un compromesso sulla giustizia e sulla responsabilità storica di un conflitto che ha portato ad oltre un milione di vittime tra morti e feriti e che rischia di creare un precedente: quello di un’eguaglianza ingiusta tra oppressi e oppressori per i futuri conflitti.

    L’Europa: una spettatrice stanca e divisa

    Le capitali europee sono, come all’inizio del conflitto e forse più di allora, divise: da una parte c’è chi vede nel piano una capitolazione per l’Ucraina e chi lo considera l’unica via d’uscita praticabile.

    Come Kiev, anche Bruxelles è condizionata da fattori strutturali esterni che la mettono spalle al muro: l’Europa non riuscirebbe a sostenere ancora per molto una guerra di questa portata e così lunga senza l’aiuto degli Stati Uniti.

    Tutto questo riporta, ancora una volta, alla questione che da anni incombe sui vertici europei: la mancanza concreta di un’autonomia strategica e di sicurezza.

    A oggi non esistono serie alternative di difesa e quelle di cui si discute negli ultimi mesi richiedono tempo e significative risorse sia politiche che finanziarie. Risorse che, fino a ora, gli Stati membri dell’UE non sono stati disposti a mettere in campo.
    Il rischio è duplice: da un lato, lasciare ampio spazio all’influenza russa; dall’altro, accentuare la crisi della leadership europea in politica estera.

    A mancare è, soprattutto, una strategia politica condivisa e coerente con il nuovo scenario globale nel quale viviamo. Tutto questo porta a un paradosso geopolitico, quello secondo cui il futuro dell’ordine europeo viene deciso fuori dall’Europa.

    Sospesi sul filo della pace

    L’Ucraina si trova in bilico tra una pace che non vuole e una guerra che non può più sostenere.
    Il piano di Trump non è solo un testo diplomatico per la fine della guerra ucraina ma anche un segnale amaro per Bruxelles. Il rischio, come la storia purtroppo insegna, è che una pace imposta in questi termini si traduca, nei fatti, in un congelamento del conflitto.

    Kiev è chiamata a decidere se accettare un patto sfavorevole oppure continuare a combattere ma senza garanzie stabili. La vera domanda è dunque se stiamo assistendo alla fine della guerra o all’inizio di un nuovo ordine che arriva dall’alto.

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