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    Un anno di decreto Caivano. Lo Stato tortura i minori detenuti?  

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    Non avevamo mai visto nulla di simile. Nonostante la nostra lunga esperienza nel monitoraggio delle carceri italiane, è la prima volta che troviamo un sistema minorile così carico di problemi e denso di nubi. La nostra preoccupazione cresce di giorno in giorno. Non riusciamo a immaginare come potrà finire questa storia”. Inizia così il dossier dalla ONLUS Antigone sulla drammatica condizione delle carceri minorili. Un esordio che lascia ben intendere quali siano gli effetti del securitarismo meloniano sulla già fragile condizione degli adolescenti privati della libertà personale. 

    Gli IPM (Istituti Penali per Minori) e, di conseguenza, i giovani reclusi, stanno sperimentando una realtà che non trova precedenti. Tutto ha origine dal celebre Decreto Caivano, l’ennesimo provvedimento del Governo Meloni concepito per inasprire le pene e “affrontare” le dilaganti problematiche giovanili che affliggono il territorio partenopeo. Alle richieste di aiuto di una terra in difficoltà, la destra ha risposto con il pugno duro. Una strategia che, come vedremo, finisce per produrre effetti opposti a quelli desiderati.

    Criminalità minorile: problema reale o minaccia percepita? 

    Partiamo dai dati: Contrariamente a quanto riportato dai fatti di cronaca e nonostante l’enfatizzazione di alcune serie TV e di acronimi come “baby gang” legati alla cronaca locale, utilizzati spesso per attirare click o aumentare lo share nei programmi in prime time, la criminalità minorile, soprattutto nel recente periodo (2023, prima dell’applicazione del decreto Caivano), è in diminuzione rispetto agli anni precedenti. 

    I minori denunciati e/o arrestati sono diminuiti del 4,15% rispetto al medesimo dato del 2022. Analizzando i numeri sulla nazionalità, emerge che i minori italiani denunciati e/o arrestati sono diminuiti del 2,19%, mentre i minori stranieri registrano una riduzione del 5,93%. Già da questi dati possiamo porci un primo importante quesito: il provvedimento del governo risponde realmente a esigenze di sicurezza oppure è stato introdotto principalmente per ragioni mediatiche e per accomodare la percezione dell’opinione pubblica? La risposta, naturalmente, spetta alla sensibilità e alla coscienza di chi legge. Tuttavia, è lecito interrogarsi su quanto il populismo penale possa aggravare la condizione psicofisica dei minori reclusi, specialmente in un Paese civile, democratico e dove lo stato di diritto dovrebbe ancora contare qualcosa.

    Analizzando l’andamento degli arresti dal 2010 al 2023, si nota come il trend, pur caratterizzato da oscillazioni, mantenga una certa costanza nei suoi sbalzi e picchi. Si sono registrati periodi con un numero maggiore di arresti alternati ad altri con valori inferiori, pressoché con la stessa frequenza e regolarità. Tuttavia, nell’ultimo periodo, sembrava emergere un miglioramento generale. È stato però il decreto a riportare l’attenzione mediatica su ciò che accadeva – e tuttora accade – in alcune aree del nostro Paese, come nel caso del comune di Caivano, nella Città Metropolitana di Napoli. Nessuno nega le difficoltà che questa terra affronta quotidianamente, ma attenendosi ai dati – come è corretto fare – la percezione di un pericolo imminente risulterebbe sensibilmente diversa.

    Anche le tipologie di reati compiuti dai minori sono cambiate nel tempo. In passato, risultavano più frequenti risse e percosse, mentre oggi tali fenomeni registrano un calo significativo. Al contrario, sono in aumento i reati contro il patrimonio, che rappresentano il 52,2% del totale dei reati commessi da detenuti negli Istituti Penali per Minorenni (IPM) nel corso del 2024. Tra questi, il 61,9% riguarda individui stranieri. A scanso di equivoci, va precisato che la popolazione carceraria non italiana all’interno degli istituti per minori rappresenta il 46,7% dei presenti, un dato in netto calo rispetto al 51,2% registrato a metà gennaio. Anche la popolazione femminile all’interno delle carceri è soggetta ad alterazioni: attualmente rappresenta il 4,6% dei 569 detenuti totali. Tra questi, il 61% è effettivamente minorenne. È importante ricordare, infatti, che negli istituti per minori possono essere presenti giovani tra i 18 e i 25 anni, sebbene abbiano commesso il reato quando erano ancora minorenni e abbiano raggiunto la maggiore età successivamente. Infine, un dato significativo riguarda le condanne definitive: solo il 65,7% della popolazione detenuta ne possiede una. Questo valore spiega il numero di ingressi registrati nell’ultimo anno per l’applicazione di misure cautelari.

    IPM e sovraffollamento 

    Subito prima della crisi sanitaria causata dal SARS-CoV-2, negli Istituti Penali per Minorenni (IPM) si contavano 382 detenuti (dato 2019). Nel momento in cui il governo Meloni si è insediato, precisamente a ottobre 2022, le carceri minorili ospitavano 392 persone, un dato perfettamente in linea con le cifre del periodo pre e post pandemico. La situazione, tuttavia, inizia a mutare nell’ultimo anno, quando gli effetti del Decreto Caivano iniziano a manifestarsi concretamente. 

    Al 15 settembre 2024, si registrano 569 ragazzi e ragazze detenuti negli IPM, e già da febbraio dello stesso anno il dato supera stabilmente le 500 presenze, oscillando tra le 560 e le 580 nei mesi più recenti. Si tratta di numeri, come evidenziato da Antigone, senza precedenti nella storia degli istituti minorili italiani. Con queste cifre possiamo affermare, per la prima volta, che anche le carceri minorili sono sottoposte al problema del sovraffollamento, proprio come quelle per adulti. 

    Gli IPM, che dispongono di una capienza regolamentare di 516 posti, ospitano attualmente 569 detenuti (dato di metà settembre 2024 tratto dal dossier), registrando un tasso di affollamento pari al 110%. Dei 17 IPM presenti sul territorio nazionale, 12 risultano sovraffollati, con il caso emblematico di un istituto, quello di Treviso, che raggiunge un tasso di sovraffollamento del 183,3%. I restanti 5 hanno raggiunto la loro capienza massima (100%).

    Lo Stato tortura i minori? 

    Sarebbe quindi corretto affermare che il sovraffollamento carcerario rappresenta un atto di tortura? E, se così fosse, il governo Meloni sta creando le condizioni affinché i minori siano sottoposti a tali condizioni? La definizione – giuridica e non – di tortura è in realtà più complessa di quanto sembri. Attraverso la legge n. 848 del 4 agosto 1955, l’Italia ha ratificato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), entrata ufficialmente in vigore il 26 ottobre 1955. L’articolo 3 della suddetta Convenzione sancisce il divieto di sottoporre un individuo a qualsiasi forma di tortura: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.” 

    Il concetto di tortura, così come quello di trattamenti inumani o degradanti, non è stato inizialmente approfondito nei trattati internazionali, nemmeno in quelli volti alla tutela dei diritti umani. Comunque, tali principi trovano spazio nella Costituzione Italiana, seppur senza un riferimento esplicito alla tortura: l’articolo 13, infatti, stabilisce che “La libertà personale è inviolabile” e che “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”; l’articolo 27, invece, al comma 3, aggiunge che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Entrambi gli articoli tracciano linee guida generali che richiamano implicitamente il divieto di tortura e di trattamenti degradanti, pur senza citarli esplicitamente. 

    Tuttavia, vi è un caso significativo in cui la giurisprudenza internazionale si è espressa sul sovraffollamento carcerario italiano: il processo “Torreggiani e altri contro Italia“. In questa situazione, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato il nostro Paese, definendo il sovraffollamento carcerario un trattamento inumano e degradante. La condanna si basava su diverse problematiche: la mancanza di spazi adeguati, le pessime condizioni igienico-sanitarie e le limitazioni eccessive che hanno compromesso la salute psicofisica delle persone recluse.

    Alcune delle nostre carceri minorili, quindi, sono soggette alle problematiche qui citate? Sì. Nell’IPM di Treviso, ad esempio, “sono state aggiunte brandine e in alcuni casi anche materassi per terra. Sono state predisposte brandine da campeggio anche nelle celle da tre posti dell’IPM Ferrante Aporti di Torino, dove alcune sezioni sono tuttora inagibili. In condizioni molto critiche versa anche l’IPM di Milano in cui ai problemi strutturali che ormai da anni caratterizzano l’istituto si sommano alcuni danni recenti. Nelle zone comuni della palazzina che ospita i reclusi minorenni dell’IPM di Roma manca la luce da tre settimane. Mancano anche i frigoriferi; per ovviare a tale problema spesso i ragazzi riempiono il lavandino d’acqua, vi ripongono cibo o bevande, per farli rimanere freddi”. Una situazione che, attraverso le criticità spinte dal sovraffollamento, può solo peggiorare.  

    Conclusioni

    Non molto tempo fa, presso il carcere minorile Beccaria di Milano, alcuni giovani detenuti hanno denunciato episodi di tortura, lesioni, maltrattamenti, tentata violenza sessuale e persino la redazione di falsi rapporti di servizio volti a coprire le brutalità degli agenti penitenziari. Lontani dalle lenti indiscrete delle telecamere di sicurezza, questi ultimi non esitavano a sfogare le proprie frustrazioni su minori indifesi.

    Ciò che ogni cittadino consapevole dovrebbe chiedersi, alla luce delle condizioni degli Istituti Penali per Minorenni (IPM) e dei recenti fatti di cronaca, è: è davvero questo ciò che auspichiamo per la rieducazione di giovani poco più che bambini? È accettabile che uno Stato democratico, liberale e guidato da un Governo che si definisce cattolico, riservi un simile trattamento ai minori reclusi? 

    Sarebbe davvero così complesso investire in istruzione, attività sportive, nella cultura e in un adeguato supporto sociale? Investire, quindi, in tutte quelle misure di prevenzione. Forse sì. Ed è proprio per questo che il centrodestra, ancora una volta, ha scelto la strada più semplice ma profondamente disumana: punire!

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