Oggi, sabato 15 novembre, è un anno intero che il cooperante italiano Alberto Trentini si trova in una cella in carcere in Venezuela, senza alcuna accusa formale.
Dodici mesi, trecentosessantacinque giorni esatti da quel 15 novembre 2024, quando, senza spiegazioni credibili da parte del regime di Nicolas Maduro e senza un processo, il quarantaseienne connazionale che lavorava per Humanity & Inclusion è stato portato nella prigione di El Rodeo I, una delle strutture più dure del Paese, tristemente nota per il grande numero di oppositori politici che si trovano al suo interno.
Il silenzio
Alberto Trentini era arrivato in Venezuela per coordinare un progetto a favore delle persone con disabilità. Da allora, un susseguirsi di spaventosi silenzi ha scandito le giornate della sua famiglia e degli amici. Solo tre brevi telefonate e una visita diplomatica tardiva — quella dell’ambasciatore Giovanni de Vito, avvenuta lo scorso settembre — hanno rappresentato pochi minuti di speranza in un susseguirsi di ore, giornate e mesi di isolamento quasi totale.
«Vorrei gridare la mia disperazione e che il mio grido oltrepassasse l’Oceano» aveva detto la madre, Armanda Colusso, a Venezia durante la Mostra del Cinema. Ma quel grido, finora, non sembra essersi trasformato in un’eco diplomatica abbastanza forte da abbattere i muri del carcere venezuelano.
La diplomazia degli ostaggi
Nel linguaggio della diplomazia e del potere, i prigionieri come Trentini non sono solo detenuti, ma spesso vere e proprie pedine geopolitiche. Si parla di “diplomazia degli ostaggi”: l’uso di cittadini stranieri come strumenti di pressione politica. Per ottenere cosa? Non si sa con certezza.
Sono in molti a pensare che la triste vicenda del cooperante italiano si inserisca, suo malgrado, nel più ampio caso legato a Rafael Ramírez, ex ministro venezuelano del Petrolio e oggi oppositore rifugiato in Italia. Nel 2024, la magistratura italiana archiviò le accuse nei confronti di Ramírez. Una decisione che potrebbe non essere andata giù al governo di Caracas. Due mesi dopo, Trentini veniva arrestato.
Potrebbe trattarsi di una triste coincidenza. Oppure no. Probabilmente non lo sapremo mai. Ma il dubbio resta.
Secondo le ONG locali, in Venezuela ci sarebbero quasi 2000 prigionieri politici, la maggior parte dei quali arrestati con accuse vaghe e, spesso, con prove inesistenti.
Organizzazioni come Justicia, Encuentro y Perdón, denunciano condizioni di detenzione disumane: celle sovraffollate, isolamento forzato, violenze e umiliazioni.
“Con tanto silenzio può sparire anche un uomo”
“Nei sei mesi in cui non abbiamo avuto sue notizie eravamo in pensiero, eravamo preoccupatissimi, perché con tanto silenzio può sparire anche un uomo”.
A parlare è ancora Armanda Colusso, la madre di Alberto, ospite di Fabio Fazio a Che Tempo Che Fa. “Quando lui si spostava mandava un messaggio. Io aspetto, come al solito, che mi mandi anche la piantina di dov’è arrivato con Google Maps e invece non è arrivato niente. Ho passato la notte e il giorno, fino alla sera quando ci hanno detto che era stato fermato”. “Nemmeno il nostro console in Venezuela era riuscito ad avere notizie.” “Non avevamo notizie, ma speravamo, e poi nessun contatto. Noi come famiglia non sappiamo cosa ha fatto il nostro governo, come si è mosso in quei primi mesi. Fino a che la nostra avvocata, Alessandra Ballerini, non ha presentato un’interrogazione parlamentare, allora qualcuno si è mosso”.
Finalmente, dopo sei lunghissimi mesi, arrivano le prime due telefonate; veloci ma quanto basta per far sapere che Alberto “sta discretamente bene”.
Unico spiraglio concreto è arrivato solo a settembre, quando — per la prima volta dopo dieci mesi — l’ambasciatore italiano Giovanni de Vito è riuscito a incontrare Trentini in una visita carceraria. Un colloquio breve, ma sufficiente a confermare che era vivo, lucido e in condizioni fisiche accettabili.
Roma – Caracas
I contatti tra Roma e Caracas sembrano restare limitati e oggi, un anno esatto dopo il suo arresto, la promessa che la Premier Giorgia Meloni ha fatto alla famiglia di “percorrere tutte le strade praticabili” non sembra aver portato a nessun risvolto concreto nella faccenda.
Il ministro degli Esteri venezuelano Yván Gil ha dichiarato alla CNN che «c’è un processo in corso, che continuerà» e che i diritti di Trentini «non sono stati violati». Un messaggio che suona come una beffa diplomatica vista la detenzione senza accuse formali o prove e il silenzio che da ormai un anno intero circonda la sua detenzione.
La Farnesina ha nominato Luigi Vignali – Direttore Generale per gli Italiani all’Estero – come inviato speciale in Venezuela, ma la sua missione è stata bloccata dalle autorità locali. Altro schiaffo diplomatico.
Da quello che emerge, in questi mesi Roma avrebbe cercato il dialogo attraverso Eni, sfruttando l’enorme credito che la compagnia energetica italiana ha nei confronti di quella petrolifera venezuelana Pdvsa. Ma anche l’ipotesi di usare la leva economica per ottenere qualcosa in cambio non sembra aver sortito effetti: il regime di Caracas, sempre più vicino a Mosca e Pechino, diffidente verso Bruxelles e sotto la costante pressione di Washington, non appare disposto a concessioni.
Un dovere morale
Un anno di silenzio assordante è troppo.
L’Italia ha il dovere – morale, politico e legale – di far sentire la propria voce, probabilmente più di quanto non abbia fatto finora.
Un cittadino italiano vive nel buio di una cella dall’altra parte del mondo senza che si sappia perché e in quella cella, assieme a lui, è stato rinchiuso anche il valore della giustizia. Ogni giorno che Alberto passa dietro quelle sbarre è un giorno in più di debolezza della diplomazia italiana.
Oggi, un anno dopo quel triste 15 novembre, la domanda che inevitabilmente sorge è una: quanto ancora passerà prima di rivedere Alberto Trentini libero?
Quello che resterà dell’Italia e della sua voce nella difesa dei diritti dei suoi cittadini nel mondo dopo questa vicenda sono questioni che non posson più essere rinviate.
La linea tra il silenzio e l’indifferenza è sottile e, come ci ricorda la sua famiglia, “con così tanto silenzio può sparire anche un uomo”.
20250437

