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    Ai giovani mancano punti di riferimento

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    A due settimane dalla strage familiare avvenuta a Paderno Dugnano, sono ancora molti gli interrogativi al vaglio delle autorità giudiziarie: come si articola il disagio di cui parla il 17enne? Era possibile intervenire preventivamente? Tenendo ben saldo l’auspicio della sana e completa maturazione dei più giovani, è questo il momento giusto per riflettere sulle criticità che stanno marchiando a fuoco un’intera generazione.

    Vita liquida

    Se mai un giorno dovessimo descrivere il mondo di oggi, con buona probabilità useremmo il sostantivo ‘crisi’. Crisi economica, certo, ma non solo: crisi delle relazioni, delle speranze collettive, delle istituzioni. Un vero e proprio disagio esistenziale che pare soffocare sul nascere molte giovani vite. Quella che stiamo vivendo, del resto, è un’epoca incerta, post-ideologica, iper-individuale: basti pensare che intendiamo la vita come una lista di task da portare a termine nei modi e nei tempi prestabiliti. Viviamo perennemente incollati ad uno schermo ma non sappiamo granché di chi ci sta attorno. Riteniamo proprietà quali quantità e qualità interscambiabili tra loro. Rifiutiamo l’assunzione di responsabilità a lungo termine ma accettiamo di buon grado tante piccole date di scadenza. Cerchiamo con ogni mezzo possibile di riempire i buchi presenti nell’agenda, illudendoci che la densità di quest’ultima possa allontanare l’introspezione. Non abbiamo nemmeno più il tempo di porci interrogativi degni di questo nome: cerchiamo soluzioni fast-food, pronte all’uso; le stesse che introiettiamo passivamente. Siamo come estranei a noi stessi, in balia del susseguirsi imprevedibile degli eventi.

    Gli studi scientifici paiono confermare la desolazione di questo scenario: è infatti la sociologia di Zygmunt Bauman a parlare di modernità liquida; un effimero regno di mezzo i cui confini sono tutt’ora in via di definizione. In esso le grandi narrazioni – socialismo, comunismo, liberalismo –  sono state soppiantate dallo storytelling quale arte d’intrattenimento di massa, la volatilità degli indici finanziari ha confinato al dimenticatoio la solidità dei valori collettivi, così la linearità dei percorsi è sempre più un lontano ricordo. La frenesia della nostra esistenza collima con l’approvazione sociale di cui andiamo disperatamente alla ricerca. Con la stessa semplicità con cui accumuliamo artefatti di cui non conosciamo esattamente il valore d’uso, riteniamo altrettanto semplice ‘comprare’ gli affetti di cui ci circondiamo. Laddove la nostra presenza non può essere assicurata, a fare da contrappeso interviene quello che è, in realtà, soltanto un palliativo: il denaro, o meglio, la pura materialità degli oggetti. 

    Quella che concorriamo a definire è una società ‘malata’, densa di solitudine. Solitudine che, molto ingenuamente, tentiamo di scacciare cedendo parte della nostra dignità ad una o più vetrine digitali sulle quali poi andare in scena. Ed è così che la superficialità viene ceduta alle relazioni sociali: ci limitiamo alla superficie di quel complesso prisma che è la psiche umana. Facciamo zapping tra sentimenti e timori, calpestando le sensibilità altrui. Carichi di impegni, corriamo una folle corsa contro il tempo, venendo meno a ciò che ci identifica come essere umani: il dialogo e l’ascolto. 

    Ad aggravare la situazione subentra il fatto che i ‘collanti’ un tempo comuni – partiti politici, presupposti ideologici, credi religiosi, associazioni sociali – hanno notevolmente affievolito la propria pregnanza. Ma non solo: sono sempre più incapaci di indicare una via da seguire. Forse perché, traslando dallo stato solido allo stato liquido, questi ultimi hanno perso il contatto con la realtà e, per di più, non hanno saputo cogliere appieno il mutamento sociale tutt’oggi in atto. 

    Le nuove generazioni

    A farne le spese sono i giovani, confusi e disorientati tanto nel pubblico quanto nel privato. E se il futuro non è più una certezza, quanto menzionato poc’anzi non può che essere aggravato; l’odierna quotidianità – quella nuda e cruda, ben distante dagli sfarzosi e luccicanti eccessi digitali – pare esacerbare questo destino. Di esempi in questo senso potremmo probabilmente riempire decine di pagine. 

    Anzitutto, vale la pena menzionare il tasso di inattività: secondo i dati ISTAT, a giugno 2024 circa 5,8 milioni di italiani di età compresa tra i 15 e i 34 anni possono essere contraddistinti come NEET, ossia giovani che non studiano e non lavorano (4.336.000 nella fascia d’età 15 – 24 anni; 1.466.000 nella fascia d’età 25 – 34 anni). L’Italia si conferma così i tra i Paesi dell’Unione in cui tali percentuali raggiungono livelli molto elevati. Le motivazioni dell’inattività vanno ricercate nello scollamento tra cittadini e istituzioni, università e mondo civile e, non da ultimo, genitori e figli. 

    Sono molte le occasioni in cui, complice un mondo sempre più complesso e la mancanza di un codice comune tramite cui intendersi, le nuove generazioni allontanano e, talvolta, rifiutano il dialogo con la famiglia d’origine. Non a caso, secondo i dati forniti dall’Osservatorio Con i Bambini, promosso da Openpolis, il 54% degli adolescenti pensa che gli adulti non li capiscano. Sotto questo punto di vista, appare più profittevole tentare un confronto tra coetanei, ad armi pari e privo di giudizi capitali. Segue da qui una situazione paradossale: nel pieno del proprie forze, all’apice dello sviluppo cognitivo, ci si sente terribilmente soli e ignorati persino all’interno delle mura famigliari. Non stupisce, quindi, l’incremento dell’isolamento sociale. Lo stesso isolamento che, a catena, determina l’aumento degli accessi al pronto soccorso per DCA (+10%), dei casi di giovani ‘hikikomori’ (65.967) e del tasso di abbandono scolastico (13,1% tra i giovani maschi). A queste percentuali va poi aggiunto il capitolo riguardante il peggioramento della salute mentale. L’indice di salute mentale, il cui valore è compreso tra zero e cento, ha recentemente toccato soglia 71. Nonostante ciò, il benessere psicologico viene tutt’oggi equiparato ad un lusso nelle mani di pochi

    Non va meglio sul fronte dell’abuso delle sostanze stupefacenti: è questo il campo in cui la latitanza della famiglia emerge con più nitidezza. Nel 2023 quasi 960.000 giovani tra i 15 e i 19 anni, pari al 39% della popolazione studentesca, hanno consumato almeno una volta nella loro vita una sostanza psicoattiva; la sostanza più comune è la cannabis. Vi è inoltre scarsa consapevolezza delle conseguenze dannose correlate al consumo di droga. 

    E la scuola? Intesa come azienda guidata da principi quali velocità ed efficienza, quest’ultima non considera più la persona nella sua interezza: riduce il valore di ognuno ad un numero tanto inutile quanto dannoso. Come se non bastasse, vanta il record di diplomare migliaia di ragazzi disorientati sul proprio futuro. Reprime sogni e ambizioni, ma alimenta complessi di inferiorità e ansie da prestazione.  Insomma, fa acqua da tutte le parti

    Giovani e adulti a confronto

    Fatto questo quadro, è importante sottolineare lo scarto tra la pubblicazione di rilevazioni statistiche e l’estirpazione delle cause profonde che minano la linearità dei percorsi di inserimento sociale e professionale. Molto spesso, infatti, ci si confronta con le difficoltà vissute dai più giovani soltanto di riflesso: per sentito dire o, peggio ancora, attraverso l’impiego di stereotipi, triti e ritriti da decenni.

    In aggiunta, quello che deve davvero preoccupare è la mancanza di punti di riferimento solidi, autorevoli e credibili: una sorta di bussola che sappia guidare con cura e dedizione, ma anche intervenire laddove necessario. Compito, quest’ultimo, fino a poco tempo fa esercitato dalle istituzioni. Le stesse istituzioni verso cui, oggi, si prova tutto fuorché fiducia.

    Ciò di cui i giovani sono affamati, più di ogni altra cosa, è l’esempio da parte di adulti coraggiosi. E ogni esempio, per essere davvero tale, necessita anzitutto di coerenza”. A tal proposito, esiste un aspetto troppo spesso ignorato e sottovalutato: persino il più abile corridore, a furia di stare accanto allo zoppo, impara anch’egli a zoppicare. È possibile pretendere rispetto e considerazione se queste, alla prova dei fatti, non sono reciproche tra due interlocutori? Ha senso rimproverare l’inciviltà quando quest’ultima viene perpetuata proprio da chi dovrebbe mostrare la retta via? 

    La speranza è che i presenti interrogativi possano spronare una profonda revisione dei valori odierni e dei “modelli a cui le nuove generazioni si rifanno a causa di adulti che, per primi, hanno perso se stessi, o che forse non si sono mai trovati”. 

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