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    Bilancio di fine anno: tra obiettivi mancati e propositi futuri

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    I giorni immediatamente precedenti la fine dell’anno civile sono giorni di bilancio e inevitabilmente si fanno i conti delle cose portate a termine e di ciò che rimane sospeso. Queste ore sembrano scorrere lente, come fossero un tempo di mezzo, e di cose in sospeso si rischia di lasciarne parecchie: assunzioni di responsabilità, promesse incompiute, impegni rimandati in attesa di tempi migliori, cambiamenti annunciati e poi procrastinati, incontri vissuti a metà. 

    Mai come quest’anno ci siamo scontrati con una verità così ineluttabile: non scegliamo le nostre origini, né il colore della pelle. Non decidiamo se nascere in una parte del mondo piuttosto che in un’altra, in un’area sicura del globo o in terre che affrontano la devastazione delle guerre, la tragedia delle inondazioni, dei cicloni, delle tempeste. Non decidiamo se nascere poveri o ricchi, all’interno di una famiglia capace di garantirci istruzione, formazione e cura o nella totale mancanza di possibilità. Non decidiamo neppure le circostanze socioeconomiche che ci accolgono alla nascita, né la forma di stato e di governo che ci ospiterà.  

    Ci siamo scontrati con la constatazione di essere anche e soprattutto la somma delle scelte che non facciamo, viviamo sospinti dallo sfondo che ci ha generato e forse, almeno in questi ultimi freddi giorni di dicembre, converrebbe domandarsi cosa è accaduto nel 2024 nel resto del mondo, cosa accade a chi abita teatri di guerra o le zone colpite dai fenomeni più estremi, luoghi che per il frutto di diverse circostanze avremmo potuto vivere.  

    2024: IL MARTEDÍ NERO PER L’AMBIENTE 

    Il 23 dicembre il WWF ha pubblicato il suo annuale bilancio in materia di natura e sostenibilità e anche questo anno appena trascorso si è chiuso negativamente per il globo. 

    A quello del WWF deve essere aggiunto il rapporto dell’Organizzazione metereologica mondiale (il WMO), secondo la quale il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato a livello globale, con il riscaldamento che ha raggiunto un aumento diffuso di 1,5° C e una lunga serie di temperature medie mensili eccezionalmente elevate, confermando una tendenza che va consolidandosi negli ultimi anni.

    Non è la prima volta che la WMO lancia un allarme rosso sullo stato del clima, ma questa volta punta il dito contro l’enorme incremento del ritmo del cambiamento climatico in una sola generazione, accelerato dall’aumento dei livelli di gas serra nell’atmosfera e ritenendo il decennio 2015-2024 il peggiore mai registrato.

    Il Segretario delle Nazioni Unite Guterres avvisa: “La catastrofe climatica sta colpendo la salute, ampliando le disuguaglianze, danneggiando lo sviluppo sostenibile e scuotendo le fondamenta della pace. I più colpiti sono i vulnerabili”. 

    Ed è proprio questo il punto: il cambiamento climatico non è un fenomeno confinato ai ghiacciai, ai corsi d’acqua e alle foreste, ma è in grado di mutare anche gli assetti geopolitici, già estremamente fragili, e sarà in grado di esacerbare situazioni già tremendamente precarie, basti pensare alla capacità che i fenomeni naturali estremi hanno nell’influenzare i flussi migratori o nella destinazione dei fondi emergenziali.

    Tuttavia, fin quando la materia ambientale e la sostenibilità verranno considerati ambiti non primari e urgenti nelle agende politiche dei Governi, non verranno assunte azioni sufficientemente risolutive e soprattutto fin quando si resterà ciechi di fronte l’importanza del fenomeno, si rischierà di trovarsi impreparati quando ad essere colpita sarà la nostra piccola porzione di pianeta. 

    LA CRISI HA COLPITO L’INTERO GLOBO 

    Nel 2024 la crisi climatica si è manifestata in ogni angolo della Terra e il World Weather Attribution in collaborazione con Climate Central, organizzazione senza scopo di lucro americana costituita da scienziati politicamente neutrali, ha elaborato un report che mostra quali siano stati gli eventi più significativi e i risultati degli studi di attribuzione. Il rapporto mostra come le temperature record raggiunte quest’anno abbiano provocato eventi in grado di provocare milioni di sfollati e migliaia di vittime, segnalando oltre 26 macro-fenomeni estremi in tutto il globo: inondazioni devastanti si sono verificate in India, Afghanistan, Brasile, poi anche in Spagna. Nella valle di Katmandu si è verificata la più grande inondazione degli ultimi decenni. In Amazzonia, polmone verde e più estesa foresta tropicale del pianeta, sono stati registrati oltre 30.000 roghi, più del doppio della media degli anni passati, portando ad una massiccia perdita di foresta tropicale e biodiversità ivi abitante, oltre che all’intervento della Corte Suprema brasiliana, la quale ha sollecitato il Governo brasiliano a spiegare un contingente militare maggiore per contrastare l’emergenza. Una terra, assieme alla regione umida del Pantanal, già devastata anche da gravi problemi di desertificazione e siccità. 

    Si consideri inoltre che la perdita di una così ingente entità forestale rende anche più arduo il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine fissati nell’Accordo di Parigi. 

    Le anomalie termiche hanno inoltre influito sull’evaporazione da suolo, laghi e bacini che, ha contribuito a una importante riduzione della disponibilità idrica in nazioni come la Siria e l’Iraq. In Italia, oltre al problema delle alte temperature, si aggiunga la scarsità nevosa delle ultime stagioni invernali, motivo per il quale durante i mesi estivi, e non solo, sono stati dichiarati stati di emergenza da siccità in regioni insolite al problema come quelle dell’Appennino centrale. 

    E poi ancora i mari e l’aria oceanica più caldi hanno alimentato tempeste più distruttive, come l’uragano Helene e il tifone Gaemi. Singoli studi di attribuzione hanno inoltre mostrato come queste tempeste abbiano venti più forti e lascino cadere una quantità maggiore di pioggia e come il cambiamento climatico abbia aumentato l’intensità della maggior parte degli uragani atlantici tra il 2019 e il 2024 – dei 38 uragani analizzati, 30 avevano una velocità del vento di una categoria superiore sulla scala Saffir-Simpson rispetto a quella che avrebbero avuto senza il riscaldamento causato dall’uomo.

    GLI OBIETTIVI MANCATI

    L’elenco potrebbe continuare oltre, ma ciò che lascia davvero sgomenti è che a livello politico sia stato fatto molto poco nonostante la forza devastante degli eventi. Sul fronte della cooperazione internazionale, la Cop29 di Baku si è chiusa con risultati deludenti tanto che alcune delegazioni hanno abbandonato il tavolo delle trattative prima della loro chiusura ufficiale. I fondi promessi dai paesi ricchi, principali responsabili del cambiamento climatico, per i paesi in via di sviluppo ai fini del finanziamento della transizione energetica e lo sviluppo non sono stati incrementati come si sperava, ma sono rimasti bloccati a 300 miliardi l’anno fino al 2035. I Paesi occidentali hanno chiesto una nuova lista del paesi responsabili, co-obbligati al finanziamento del fondo per la transizione, ritenendo che anche la Cina, Singapore e altri Paesi OPEC del Golfo dovessero contribuire, ma la Cina ha pronunciato un sonoro no; pertanto, il versamento di contributi finanziari da parte di questi sarà solo su base volontaria. La progressiva dipendenza dal combustibile fossile, come affermato a Dubai nella COP28, sparisce come obiettivo dai testi conclusivi, retrocedendo ad astratta aspirazione, ma non avrebbe dovuto stupirci, considerando che il Paese che ha ospitato la Conferenza, l’Azerbaijan, fonda il 90% del suo export su petrolio e gas naturale. 

    Deludenti si sono rivelate anche le trattative sui fondi per la tutela della biodiversità nella COP16 di Cali, in Colombia e l’accordo sul contrasto alla dispersione delle plastiche, arenato a causa dei contrasti tra le varie delegazioni. Tutto è stato rinviato al 2025 e un appuntamento importante sarà sicuramente la prossima COP30 a Belém, in Brasile. 

    Sul fronte della politica internazionale invece, il Green New Deal, il piano da 2mila miliardi, promesso dal presidente americano Biden all’inizio del suo mandato, non è stato attuato, mentre il suo prossimo successore Donald Trump ha già annunciato che ritirerà gli Stati Uniti dagli accordi sul clima. 

    L’Unione Europea ha rinviato di un anno l’applicazione del Regolamento sulla deforestazione,  mentre il Green Deal perde slancio e obiettivi per le proteste accese degli agricoltori che hanno infiammato le piazze europee chiedendo una transizione economicamente più sostenibile, la legge sul monitoraggio dei suoli che prevede la bonifica dei terreni inquinati è stata messa da parte e la legge sui pesticidi, che prevedeva anche la riduzione dei gas serra in agricoltura, è stata invece ritirata direttamente dalla presidente della Commissione Europea Von Der Leyen. 

    Insomma, l’anno cruciale per la diplomazia ambientale ha lasciato pochi risultati incisivi e tante decisioni in sospeso. 

    QUALCHE BUONA NOTIZIA

    Per guardare con un po’ di ottimismo al 2025 è importante anche considerare cosa di buono è accaduto nel 2024 per l’ambiente e quanto sia stata importante la cultura di sensibilizzazione ambientale delle giovani generazioni e non solo. 

    Un gruppo di studenti universitari ha lanciato l’idea di ricorrere alla Corte Internazionale di giustizia de L’Aja per chiedere una definizione delle responsabilità ambientali dei singoli paesi, idea raccolta da una coalizione di nazioni che ha poi effettivamente adito la Corte, presso la quale il 2 dicembre scorso è iniziata la fase dibattimentale del processo, in cui la Corte deciderà con parere consultivo in merito a quali misure i governi nazionali sono obbligati ad adottare per proteggere il clima e sulle possibili conseguenze giuridiche di una loro inazione. 

    Grazie alla proposta di legge DD avanzata anche da giovani attivisti militanti in gruppi come Direct Action Everywhere e Compassionate Bay, la città di Berkley in California ha proibito la presenza di allevamenti intensivi sul proprio territorio, ed è la prima città negli Stati Uniti a compiere un simile passo e ci auspichiamo sia trainante nell’imitazione di un modello encomiabile. 

    Intanto, nelle Azzorre viene approvata con larga maggioranza la legge che dà fondamento alla più grande area marina protetta d’Europa e dell’Oceano Atlantico Settentrionale, la legge è frutto di un lungo processo negoziale fatto di numerosi incontri con i rappresentanti di vari settori, tra cui l’industria della pesca, il trasporto marittimo, gli operatori del turismo marittimo e le ONG ambientaliste.

    In Colombia cala la deforestazione primaria da colture di coca grazie alla nuova politica del Presidente Gustavo Petro, in grado di premiare il turismo sostenibile e contrastare il fenomeno del narcotraffico, oltreché dando importanza al ruolo delle comunità autoctone nel controllo del territorio. 

    LA RIVOLUZIONE DEI PICCOLI PASSI

    Questi sono esempi encomiabili di piccole rivoluzioni green in grado di avere un grande impatto sul clima e il pianeta, esempi che nel lungo termine possono condurre a risultati importanti se condivisi e imitati. 

    Ci auguriamo che l’anno che verrà sia in grado di farci tornare a ben sperare per il clima, sia l’anno dei cambiamenti difficili e di processi partecipativi reali in grado di invertire il climate clock e assicurare un futuro possibile a coloro che seguiranno.

    Il 2025 sarà anche l’anno del Giubileo della Speranza, un Giubileo “politico” secondo alcuni, poiché Papa Francesco nel messaggio inaugurale ha chiesto a tutti, cattolici e non, di entrare in una nuova vita, prestando attenzione agli ultimi, i poveri, gli emarginati e prendendoci cura, attraverso piccoli e costanti comportamenti sostenibili, della nostra casa terrena.

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