“Ci sono paure che sono di tutti e altre soltanto di alcuni, impenetrabili per chi non le vive.” Ad un anno dalla scomparsa di Michela Murgia, le sue parole suonano più potenti che mai. Murgia ha dimostrato quanto potere abbiano le idee: esse non conoscono corruzione, paura, ombre. Sono idee che si fanno coscienza, quindi azione, perciò movimento: solo così hanno la forza di restare, durare, scavalcare la morte. È così che Michela Murgia è rimasta e rimarrà: attraverso il coraggio dei suoi pensieri, lo sguardo con cui ha osservato il mondo, le lotte per renderlo un posto accogliente, consapevole, gentile. Un anno senza di lei, ma non senza quello che ci ha lasciato. Michela Murgia è venuta a mancare il 10 agosto 2023, all’età di 51 anni. È stata una scrittrice, un’attivista, una intellettuale, ma – soprattutto – una voce libera. Ha lottato strenuamente per i diritti civili, per le donne, le famiglie omogenitoriali, per il fine vita: qualsiasi cosa potesse dare dignità a ogni singola persona era di suo interesse. Nicola La Gioia, scrittore e amico di Murgia, nel ricordarla su Instagram dopo la sua morte, ha detto “Michela era una donna molto veloce in un paese lentissimo“. Così, fra le tante battaglie che ha portato avanti, ricordiamo per un momento le sue parole e il monologo che parla di donne, catcalling, paura e violenza. Più nello specifico, un genere di paura che, nostro malgrado, è d’esperienza quotidiana. Ancora oggi infatti, specie di fronte a scabrosi casi di cronaca, le donne si ritrovano al centro di un dibattito che finisce per addossare su di esse la colpa di comportamenti violenti, abusi e attenzioni inopportune da parte degli uomini. Le donne devono stare attente a come si vestono, valutare bene il percorso che faranno quando camminano per la strada da sole, specialmente la sera. Devono restare sempre lucide, presenti a sé stesse per non essere facile preda del lupo di turno. Problemi, tutti questi, che gli uomini non devono porsi, paure che non essi conoscono. Fischi, battute sessiste, allusioni sessuali, domande invadenti, insulti offensivi, suoni di clacson, inseguimenti per strada o in macchina. Sono l’insieme di molestie di strada, ribattezzate in inglese con il termine catcalling; in italiano ‘pappagallismo’. Fenomeno che, secondo Treccani, rimanda al comportamento proprio di chi, in modo insistente e grossolano, importuna le donne per la via (i cosiddetti “pappagalli della strada”). In ogni caso, la sostanza non cambia: si tratta di una molestia a sfondo sessuale, perpetrata ai danni di donne e ragazze, da parte di passanti di sesso maschile di tutte le età.
Le origini del termine
Risale alla metà del XVII secolo: era il nome di un fischietto, o di un altro strumento simile, che emetteva suoni striduli sgradevoli, usato a teatro per esprimere disapprovazione se lo spettacolo o gli attori non erano di proprio gradimento. In precedenza ‘catcall” nel suo significato letterale descriveva miagolamenti fastidiosi, specialmente notturni (call, difatti, è anche il verso di un animale), ma già nel celebre dizionario della lingua inglese di Samuel Johnson del 1755 la definizione di catcall non faceva più alcun riferimento ai gatti. È dunque un errore ritenere che, all’origine del catcalling, ci siano i miagolii oppure i suoni fatti dalle persone per chiamare i gatti. Questo perché, un simile comportamento, solitamente viene emesso in contesti pubblici da parte di sconosciuti (strade, parchi, mezzi di trasporto). E’ altresì possibile trovare anche alcuni sinonimi: ad esempio, ‘street harassment‘, letteralmente molestia di strada, o ‘stranger harassment‘, molestia da parte di sconosciuti”.
Come è regolamentato e quando diventa reato?
Secondo l’ordinamento giuridico italiano questo tipo di comportamento può diventare un reato punibile penalmente solamente quando diventa stalking, ossia una forma di molestia ripetuta che crea nel destinatario un senso di paura. Il reato di stalking è previsto dall’articolo 612 bis del codice penale italiano. Perché il catcalling possa essere elevato a stalking, deve dunque essere ripetuto e deve causare un serio disagio nella vita quotidiana della persona che ne è vittima. Ed invero, ove tali molestie vengano reiterate, cagionando un grave stato di ansia o di paura, nonché un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto, finanche tali da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita, potrebbe configurarsi il reato di stalking.
Il fenomeno del catcalling, sempre più in espansione, impone però un’ulteriore riflessione. Tale condotta potrebbe essere inquadrata e ricondotta all’interno dell’articolo 660 codice penale. La norma citata recita: “chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516”. Il reato in parola punisce e disciplina condotte riconducibili al catcalling. Per petulanza si intende un atteggiamento di insistenza fastidiosa, arrogante invadenza, intromissione inopportuna e continua; il disturbo e la molestia devono essere indirizzati verso persone determinate e non quindi verso la collettività. Il bene tutelato in questione risulta essere l’ordine pubblico. Ne discende che il reato di molestie o disturbo alle persone risulterebbe integrato allor quando un soggetto, in luogo pubblico, è destinatario di molestie verbali consistenti anche in complimenti indesiderati, gesti, strombazzi, fischi, inseguimenti, avance sessuali. Qualora il catcalling dovesse sfociare in palpeggiamenti o condotte similari, allora potrebbe scattare il reato di violenza sessuale, punito dall’articolo 609-bis del Codice Penale.
In Francia il catcalling è reato e consiste “nell’imporre a una persona osservazioni o comportamenti di natura sessuale o sessista che ledano la dignità di tale persona in ragione del loro carattere degradante o umiliante, o che creino situazioni intimidatorie, ostili o offensive”. Si decise qui di punire la molestia di strada con un apposito reato, poiché in base ad uno studio l’83% delle donne francesi erano state vittime per strada di apprezzamenti pesanti o di intimidazioni. In Portogallo, Belgio e Paesi Bassi il catcalling è un reato, punito con multe o pene detentive. In virtù di ciò la Cassazione, già nel 2007, con sentenza n°19438, ha ritenuto riconducibili alla fattispecie in esame anche la condotta di continuo ed insistente corteggiamento, che risulti non gradito alla persona destinataria, in quanto tale comportamento costituisce una molestia o un disturbo notevole per la trivialità e l’invasione nell’altrui sfera privata.
A fronte di un malcontento sociale sempre più forte e della presenza di diritti indisponibili fondamentali, il legislatore dovrebbe regolamentare la fattispecie in esame, tenendo conto non soltanto delle molestie perpetrate alle donne, ma delle varie forme di discriminazioni verbali che si consumano in strada.
Le paure non sono uguali per tutti
“Siamo orientati a pensare che le paure, alla fine, siano uguali per tutti. Io non lo credo. Sulla paura comune è possibile superare le differenze ideologiche e innestare un discorso politico. Ci sono paure che sono soltanto di alcuni e che sono impenetrabili per chi non ha quella paura. L’incomprensione che si genera dall’incontro fra due paure diverse è veramente incolmabile”.
Nel catcalling l’approccio è rivolto alla donna in quanto oggetto sessuale e non in quanto persona. Spesso questa tendenza nasconde le dinamiche di potere asimmetrico uomo – donna, motivo per cui diviene una vera e propria manifestazione della violenza di genere e della mascolinità tossica. È perciò lontano lontano dall’essere una semplice espressione goliardica o una modalità di apprezzamento tutto sommato accettabile: rientra a tutti gli effetti tra le forme di violenza psicologica nei confronti delle donne. Il catcalling deve quindi essere considerato una vera e propria molestia, che avviene per lo più in luoghi pubblici.
Nel 2014 l’associazione non governativa Hollaback, insieme alla Cornell University, ha condotto uno studio sul fenomeno del catcalling che ha interessato 22 Paesi e oltre 16.000 donne. Tra i molti dati emersi, possiamo indicarne due esemplificativi: nel 79% dei casi, le vittime hanno subìto questo tipo di molestia prima dei 17 anni, e il 69% delle donne intervistate ha affermato di essere stata seguita da un singolo uomo, o da un gruppo di uomini, entro i 40 anni. E almeno una volta nella propria vita. In simili circostanze ad essere compromessi sono il senso di libertà e di sicurezza, come del resto accade sempre ai danni delle vittime di violenza psicologica.
La connotazione intrinsecamente violenta del catcalling risiede nella totale mancanza di consenso da parte di chi lo subisce. Capita ancora, purtroppo, che la donna subisca anche del victim blaming: colpevolizzata perché ritenuta, del tutto o in parte, responsabile della molestia ricevuta. Si tratta di quel meccanismo che, davanti a un episodio di violenza di genere, porta le persone ad attribuire la colpa dell’accaduto alla vittima. E conseguentemente a pensare: ‘Se l’è cercata’, arrivando così a scagionare, almeno in parte, il solo e unico responsabile del reato. Gli stereotipi di genere, così come gli antichi retaggi culturali di stampo maschilista, portano a puntare il dito contro la donna che, da vittima, passa così per colpevole.

