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    C’era una volta il diritto all’istruzione

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    Diritto all’istruzione, all’educazione o allo studio. Comunque lo si chiami, rappresenta un principio basilare della democrazia. Consacrato come diritto umano dalla Dichiarazione universale del 1948, in Italia è protetto dalla Costituzione. Secondo l’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (UDHR), è un diritto umano fondamentale per ciascun individuo. Alla base di questo riconoscimento, vi è la profonda convinzione dell’educazione come potente strumento di empowerment per bambini e adulti, soprattutto di coloro che provengono da ambienti più poveri. Il diritto all’istruzione svolge dunque un ruolo cruciale nella riduzione della povertà; promuove la democrazia, la pace, la tolleranza e crescita economica.


    Negli articoli che lo riguardano, si parla spesso di “educazione primaria e secondaria”, di “istruzione gratuita”, oppure ancora di “formazione tecnica”. Tutti elementi che collimano con un unico punto fermo: il diritto all’istruzione coincide con la possibilità di svilupparsi culturalmente. In questa accezione, le parole ‘istruzione’, ‘educazione’ e ‘scuola’ smettono di fare a pugni tra loro. Il diritto all’istruzione è senza dubbio un diritto sociale perché impone al potere pubblico di garantire a tutti l’accesso a un adeguato sistema scolastico. Allo stesso tempo, però, si configura anche come diritto di libertà: riconosce a ciascuno la possibilità di formarsi proprie convinzioni, impedendo l’indottrinamento di stampo totalitario.

    L’educazione che il diritto all’istruzione tutela deve essere: gratuita (almeno quella di base, cioè primaria), obbligatoria (sempre, quantomeno quella di base), non discriminatoria e di qualità.

    Cosa dice la Costituzione

    Diritto all’istruzione e diritto allo studio, contenuti essenziali dell’articolo 34, trovano affermazione nel nostro ordinamento con l’Assemblea costituente. Sarà solo con l’affermazione dell’uguaglianza in senso sostanziale e con il conseguente obbligo, per la Repubblica, di rimozione degli ostacoli al completo sviluppo della persona e dei suoi diritti, che diverrà possibile enucleare le libertà positive, quali libertà di impostazione sociale di un soggetto di orientare il proprio volere senza determinazioni altrui.

    Va dunque subito registrato un fondamentale legame tra l’affermazione dell’uguaglianza sostanziale e il diritto citato in apertura: tratto essenziale della complessiva organizzazione del sistema dell’istruzione. L’affermazione, sicuramente rivoluzionaria rispetto al passato, dette origine ad una diverbio dottrinale tra quanti la ritenevano meramente programmatica e quanti, invece, rivendicavano la sua configurazione come diritto soggettivo alle prestazioni del sistema scolastico, in attuazione del principio di uguaglianza sostanziale. Una interpretazione evolutiva e sistematica della Costituzione porta a ritenere preferibile quest’ultima tesi: questo perché l’accesso al sistema scolastico quale diritto soggettivo si desume almeno da altre due norme costituzionali. L’articolo 33, 2°comma, che fa carico alla Repubblica di “istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi“, e l’articolo 34, 3° e 4° comma, che garantisce ai meritevoli di “raggiungere i gradi più alti degli studi” attraverso l’erogazione di “borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze“.


    L’obbligo posto a carico della Repubblica di promuovere lo sviluppo della cultura comporta due precisi comportamenti: agevolare con azioni positive la conoscenza e la ricerca, evitando intromissioni nella fase generativa, qualunque sia il settore culturale – umanistico, scientifico, tecnico, tecnologico. Inoltre, creare su tutto il territorio nazionale una fitta rete di suole di ogni ordine e grado – statali e non statali – accessibili a tutti i cittadini per elevarne il livello di conoscenze e competenze.

    L’istruzione come lotta nel mondo

    Im ogni parte del pianeta, le donne hanno dovuto lottare – e purtroppo tutt’oggi lottano, per ottenere il diritto all’istruzione. Basti ricordare la vicenda di Malala – vincitrice del premio Nobel per la Pace nel 2014 – e la sua coraggiosa lotta per garantire alle bambine di studiare in tutti quei territori dove il fondamentalismo ed il terrorismo islamico non permettono al genere femminile di accedere all’istruzione. Il Nobel che le è stato assegnato è un riconoscimento per tutte quelle bambine che, ogni giorno, percorrono a piedi chilometri e chilometri per raggiungere piccole scuole sparse fra deserti di sabbia, di fango e di roccia.
    Per quanto riguarda il continente africano dobbiamo poi ricordare l’impegno di un’altra Nobel, Rita Levi Montalcini, e della sua Fondazione: quest’ultima permette alle ragazze africane di studiare. La grande scienziata aveva intuito, più di un ventennio fa, come l’accesso all’istruzione rappresenti un volano di progresso per l’intera società. Ma, soprattutto, il fatto che sussista un nesso inscindibile tra istruzione di genere e sviluppo socio-economico dei Paesi africani.

    Nel 1926 il regime fascista iniziò ad ostacolare l’istruzione femminile: le donne furono escluse dall’insegnamento di materie quali italiano, latino, greco, storia filosofia nei licei. Nel 1929 il governo di Mussolini aumentò mediamente del 40% l’importo delle tasse scolastiche per le studentesse che frequentavano la scuola media e l’università. Le donne però non demorsero: la scolarità femminile aumentò costantemente durante gli anni Trenta fino a raggiungere nell’anno accademico 1990/91 un dato importante: il numero delle laureate superò quello dei laureati. Fu proprio italiana la prima donna laureata al mondo, Elena Cornaro Piscopia, nata a Venezia nel 1646. Elena non riuscì a laurearsi in Teologia, come avrebbe desiderato, a causa dell’opposizione del cardinale Gregorio Barbarigo ma nel 1678 si laureò in Filosofia all’Università di Padova. In Francia le donne furono ammesse all’università nel 1863; il primo Ateneo ad accoglierle fu quello di Lione, mentre a Parigi la prima iscrizione femminile fu accettata nel 1867. Nello stesso anno si aprirono le porte delle università anche in Svizzera.

    L’istruzione per le ragazze è, però, qualcosa che va oltre il semplice accesso alla scuola: ha a che fare con la sicurezza e la tutela della loro incolumità fisica, nonché il sostegno nelle carriere che scelgono di seguire – comprese quelle in cui sono troppo spesso sotto rappresentate – perché abbiano a tutti gli effetti gli stessi diritti e le stesse possibilità degli uomini. Nonostante l’educazione delle ragazze sia fondamentale per lo sviluppo delle stesse e per il progresso delle società e delle economie, le disparità di genere nell’istruzione persistono.

    Il valore sociale della cultura

    L’istruzione è il catalizzatore che alimenta il progresso e trasforma le società. Investire nell’istruzione significa investire nel futuro, creando individui più consapevoli, capaci di affrontare le sfide del mondo contemporaneo. In un’epoca in cui la conoscenza è potere, l’istruzione rimane il perno su cui ruota il destino delle generazioni presenti e future.

    Nel tessuto intricato della società contemporanea, l’istruzione emerge come il pilastro fondamentale su cui si erge il progresso individuale e collettivo. L’importanza di un sistema educativo robusto va oltre il semplice apprendimento di nozioni teoriche; si riflette nel plasmare il futuro, alimentare l’innovazione abbattere le barriere sociali ed economiche. L’istruzione, difatti, è l’arma in grado di renderci liberi: è la principale fonte di ricchezza che libera i nostri pensieri dai muri edificati dall’ignoranza. Da una buona e ricca educazione nascono donne e uomini consapevoli, che possono partecipare a pieno titolo alla vita sociale, politica e culturale del proprio Paese, ma anche collaborare al bene comune tutelando al contempo il proprio.

    L’istruzione è, citando Nelson Mandela, “l’arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo”.

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