“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.” Così recita l’articolo 21 della nostra Costituzione. Tale norma può essere definita come una norma aperta, una sorta di contenitore nel quale confluiscono quelle situazioni che, seppur non espressamente previste, possono comunque rientrare nella tutela della norma costituzionale. Infatti, l’articolo 21 riconosce il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero non solo con la parola e lo scritto, ma anche con ogni altro mezzo di diffusione.
La libertà di manifestazione del pensiero è una pietra angolare della democrazia e di uno Stato di diritto, così come affermato più volte dalla Corte Costituzionale. Infatti, come dichiarato dalla Consulta: “è tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, una di quelle che meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com’è del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale.” Quindi, il diritto di cui all’articolo 21 è forse “il diritto più alto dei diritti primari e fondamentali sanciti dalla Costituzione” – parafrasando quanto affermato dalla Consulta nella sentenza n. 168 del 1971. Allo stesso modo anche l’articolo 17, che recita: “ I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.” Uno strumento chiave dunque, per la difesa dei diritti umani.
La libertà di poter dire: “io ci sono”
Manifestare vuol dire mettere in mostra alle proprie idee, per l’appunto mostrare ciò che sia ha nell’animo, far sentire la propria voce. Viene spontaneo, allora, riflettere sullo stile delle manifestazioni. Quante volte riescono a rispecchiare le nostre idee e quante volte, invece, finiscono per essere generalizzanti e poco chiare nel messaggio da esporre? Manifestare dovrebbe essere una dimostrazione pubblica di ciò che custodiamo nella nostra interiorità, espressione della consapevolezza che si ha di un determinato tema.
Leggendo la realtà intorno a noi, la situazione pandemica ha fatto da amplificatore per diverse questioni, soprattutto per quanto riguarda le mancanze del sistema d’istruzione italiano. Percepiamo che alla base di queste nuove proteste ci sia un’effettiva volontà di attuare un cambiamento. Allora, l’impegno che dovremmo prenderci è quello di lasciarci coinvolgere nel momento in cui supportiamo una protesta, evitando di cadere nel luogo comune della protesta mossa solo per perdere del tempo.
Manifestare è anche frutto dell’esigenza di essere ascoltati: dovremmo sempre chiederci se la dimostrazione palese di ciò non derivi, forse, dall’assenza di una fase di ascolto realmente attenta alle esigenze concrete. Una manifestazione “urlata” o caratterizzata da metodi particolarmente imponenti, in questo senso, può essere dovuta a una certa inefficacia degli strumenti che dovrebbero incentivare al dialogo. Allo stesso tempo, il dialogo è qualcosa a cui non dovremmo mai rinunciare: per quanto le opinioni altrui possano essere distanti dalle nostre, il solo ascoltarle e lasciare che queste ci
mettano in discussione è qualcosa che, certamente, ci farà crescere e, perché no, ci restituirà anche maggiore consapevolezza.
Restrizioni alla libertà di riunione
Si deve presumere che una manifestazione pacifica sia legittima e non costituisca una minaccia per l’ordine pubblico. Tuttavia, le restrizioni possono essere imposte se il divieto previsto dalla legge è volto a proteggere un interesse pubblico (ad esempio, l’ordine pubblico o la sicurezza) o i diritti e le libertà di altre persone, e se viene rispettato il principio di proporzionalità. Pertanto, un divieto può essere imposto solo come ultima risorsa di fronte a una minaccia eccezionale, dopo aver valutato altre forme di restrizione che garantiscano l’ordine pubblico e l’esercizio del diritto di manifestare.
Il divieto deve essere motivato in termini chiari dalle autorità per evitare un’indebita discrezionalità. In pratica, tuttavia, alcune norme apparentemente innocue contribuiscono notevolmente a limitare la libertà di manifestare senza alcun motivo reale. Il diritto internazionale obbliga gli Stati non solo ad astenersi da interferire illecitamente con la libertà di riunione pacifica, ma anche a facilitare attivamente l’esercizio di questo diritto. Questo include l’adozione di misure volte a garantire la sicurezza delle persone che partecipano alle manifestazioni e alle attività di volontariato. Secondo gli ex Relatori Speciali delle Nazioni Unite sul diritto di riunione e associazione pacifica e sulle esecuzioni sommarie o arbitrarie, Maina Kiai e Christof Heyns, “la capacità di riunirsi e di agire collettivamente è fondamentale per lo sviluppo democratico, economico, sociale e personale, per l’espressione di idee e per la promozione di una cittadinanza impegnata”.
Importante limite previsto non dalla Costituzione, ma dal Codice Penale, è costituito dal reato di diffamazione (art. 595), il quale si sostanzia qualora il soggetto offende la reputazione altrui comunicando con più persone (ne sono sufficienti anche soltanto due), e in assenza del soggetto la cui reputazione viene lesa. Inoltre, è prevista anche una circostanza aggravante, e cioè un aumento di pena, nel caso in cui la diffamazione avvenga con il mezzo della stampa. Diritto di cronaca e libertà di manifestazione del pensiero vanno sì di pari passo, ma spesso entrambi si vengono a scontrare con la reputazione delle persone.
La democrazia è in crisi?
A dieci mesi dalla sua presentazione in Consiglio dei ministri, il disegno di legge sulla Sicurezza è stato approvato alla Camera lo scorso 18 settembre. Il provvedimento ha ottenuto 162 voti favorevoli, 91 contrari e 3 astensioni. Tuttavia, la strada verso il Senato si prospetta complessa.
“Il disegno di legge è un condensato di propaganda e populismo istituzionale. Una ulteriore conferma di quanto questo governo, tutto, compattamente, pensa in tema di sicurezza, declinato solo come azione repressiva dei conflitti sociali e come politica punitiva, di giustizia e carcere.” È quanto dichiarano le segretarie confederali della Cgil Daniela Barbaresi e Lara Ghiglione. All’interno ci sono norme che, secondo l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), hanno il “potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto.”
È un disegno di legge che si muove in due direzioni: l’introduzione di nuovi reati e l’inasprimento delle pene. Il progetto di legge prevede, tra l’altro, un insieme di misure, fattispecie di reato e aggravanti che puniscono la protesta e limitano la libertà di manifestare. Ci chiediamo quindi se sia giusto continuare a guardare alla sicurezza solo in termini repressivi e punitivi delle lotte sociali, inasprendo le pene, introducendo nuovi reati e comprimendo gli spazi di democrazia del nostro paese. Le leggi dovrebbero tutelare i diritti, non il potere. Devono promuovere la giustizia sociale, non le disuguaglianze e le discriminazioni.
Per concludere, occorre fare un richiamo alla politica affinché esca dai tatticismi, dai giochi di potere, dalla logica del consenso, riduca le distanze sociali e si lasci guidare dai bisogni delle persone. Nessun decreto, nessuna norma può mettere il bavaglio ad espressioni di libertà, sacrosante in democrazia, in un tempo in cui rischiamo di essere schiacciati dal cinismo e dall’indifferenza.