A sei giorni dalla videoconferenza convocata straordinariamente dall’Alta rappresentante per la politica estera, Kaja Kallas, i ventisette ministri degli esteri dell’Unione europea hanno sfruttato il Consiglio Affari dell’Unione europea per discutere il posizionamento da assumere rispetto alla crisi mediorientale, alla luce del recente attacco statunitense e dell’appoggio russo alla causa del popolo iraniano.
La reazione agli attacchi statunitensi
Tra i tanti temi in agenda, il conflitto russo-ucraino, la Cina e la sicurezza europea, la Libia e la Georgia. Con poca sorpresa, la scena è stata però interamente occupata dai recenti attacchi statunitensi in Iran, accolti con rammarico, sulla scorta di quanto dichiarato dal ministro degli esteri italiano, Antonio Tajani, che ha parlato di blitz che “erano nell’aria”.
Posto il fatto che Bruxelles potrà esplicitare meglio le proprie prerogative soltanto a conclusione del “Consiglio di Sicurezza sugli effetti dell’escalation in Medio Oriente sull’Europa”, indetto dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen per mercoledì 25 giugno, nel Vecchio Continente le spaccature esistono, e sono anche abbastanza evidenti. Mentre il ministro degli esteri francese, Jean Noel Barrot, al suo arrivo a Bruxelles, parlando a nome comunitario, si è detto pronto a “respingere ogni tentativo di organizzare un cambio di regime” in Iran “con la forza”, il ministro degli esteri tedesco, Johann Wadephul, ha riferito di attenersi “a quanto dichiarato ufficialmente dal vicepresidente JD Vance, ovvero che il cambio di regime in Iran non è l’obiettivo degli Stati Uniti”.
Poco dopo, sempre la Germania di Friedrich Merz ha fatto sapere che non vi è “alcuna ragione di criticare” l’attacco ai siti nucleari iraniani. Con ogni probabilità, le ragioni vanno evidenziate nel delicato equilibrio di pesi e contrappesi che, da anni, regola i rapporti dell’Unione e dei singoli Paesi con gli Stati Uniti.
La posizione europea
A fare da sfondo, la carta della diplomazia avanzata dalla stessa Kallas, che ha ricordato l’impegno dei ventisette Paesi membri volto ad evitare un ulteriore allargamento del conflitto; di qui la necessità di una risposta coesa da parte dell’Unione, così da facilitare il ritorno di Tehran al tavolo delle trattative. Al tempo stesso, il ripristino dei negoziati – utili per evitare che Tehran arrivi a possedere un’arma nucleare – non può fare a meno di una prospettiva di lungo periodo, tale da combaciare gli interessi multilaterali nella regione con la capacità di autodeterminazione del popolo iraniano.
Questi i caposaldi che, secondo Kallas, dovrebbero saldare il posizionamento europeo, tenendo a mente un margine d’azione di discrezionalità europea: in assenza di progressi sostanziali sugli obblighi nucleari, la reintroduzione delle sanzioni su Tehran, dando quindi seguito al meccanismo di snapback, la cui entrata in vigore è prevista per il mese di ottobre.
La posizione italiana
Il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, poco prima di prendere parte al Consiglio, ha avuto colloqui telefonici con i ministro degli esteri di Tehran e Tel Aviv. Da parte italiana, mantenendo ferma l’importanza della sussistenza di canali di dialogo, è stata auspicata una rinnovata negoziazione tra Stati Uniti e Iran.
Prospettive comuni
L’obiettivo emerso pare essere quello di restaurare la cooperazione avvertita durante i colloqui tenutesi a Ginevra tra i ministri degli esteri di Iran, Francia, Germania e Gran Bretagna. Questa la sede in cui, secondo Kallas, Tehran era parsa “aperta” a future discussioni sul proprio programma nucleare, oltre che “questioni di sicurezza più ampie che preoccupano l’Europa”. Allo stato, la posta in gioca pare elevata: la possibile chiusura dello stretto di Hormuz – giudicata da Kallas “estremamente pericolosa” – comporterebbe ripercussioni negative sull’intero mercato petrolifero mondiale.
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