La Conferenza delle Parti è l’incontro annuale dei Paesi che hanno ratificato la United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC). La Convenzione è un trattato ambientale internazionale firmato durante il Summit della Terra, tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992.
Quest’anno l’Azerbaijan si è aggiudicato la Presidenza della ventinovesima edizione, ospitata presso la capitale Baku, il più grande scalo portuale di tutto il Paese. L’agenda è fitta e serrata: prende avvio l’11 novembre con la Cerimonia di apertura e giungerà a termine il 22 novembre con le attesissime Final Negotiations, ma il ciclo di negoziati procede con estremo rilento e nonostante i disastri ambientali sembrino ormai inarrestabili, le promesse sulla riduzione delle emissioni, assunte nelle edizioni precedenti, vengono infrante: alcuni Stati sembrano addirittura fare dietrofront, e non è passata inosservata l’assenza di importanti leader politici.
GENESI DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA AMBIENTALE
Nel 1972, dopo diverse sollecitazioni della Svezia, viene organizzata la prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente, detta anche Conferenza di Stoccolma, in seno alla quale viene adottato l’UNEP: il programma per l’ambiente delle Nazioni Unite che segna la genesi della cooperazione internazionale in materia ambientale. Dopo Stoccolma, l’attenzione pubblica per le questioni oggetto della Conferenza è in ascesa: non si contano le manifestazioni, le proteste, i sit-in per il clima, tra cui l’Earth Day del 1990, in grado di coinvolgere gli attivisti di 140 Paesi.
Anche la politica riesce a dare alcune risposte strutturate alla consapevolezza crescente, organizzando diverse conferenze internazionali e giungendo persino ad un primo accordo nel 1987, il Protocollo di Montreal, in attuazione della Convenzione di Vienna e a favore della protezione dell’ozono stratosferico.
Nel 1988 l’UNEP istituisce l’IPCC, un gruppo scientifico intergovernativo con l’obiettivo fondamentale di coadiuvare i governi nella selezione di soluzioni ideali allo sviluppo delle politiche ambientali. Secondo quanto disposto dalla Risoluzione UNGA 43/53, l’IPCC avrebbe dovuto inoltre predisporre uno studio sull’impatto sociale ed economico del cambiamento climatico, evidenziando le potenziali strategie di risposta e gli elementi da includere in una possibile futura convenzione internazionale sul clima. È stato proprio il Primo rapporto di Valutazione del panel, pubblicato nel 1990, a orientare i lavori della Conferenza di Rio De Janeiro del 1992 e condurre alla sottoscrizione della Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo, meritevole di aver enucleato il concetto di sviluppo sostenibile ed elaborato i ventisette principi, diritti e responsabilità delle Nazioni per la sua salvaguardia.
L’ambiente diventa una materia trasversale, strettamente connessa allo sviluppo economico e finanziario. Viene ribadita l’importanza della cooperazione internazionale in materia ed è suggerita una proporzionale ripartizione delle responsabilità: il principio ventisette della Dichiarazione sancisce solennemente che “Gli Stati e le persone collaboreranno in buona fede e in uno spirito di cooperazione per l’attuazione dei principi stabiliti in questa Dichiarazione e per l’ulteriore evoluzione delle leggi internazionali nel campo dello sviluppo sostenibile”. Il principio sette riconosce che i Paesi sviluppati hanno particolari responsabilità nel raggiungimento dello sviluppo sostenibile per il peso imposto dalle loro società sull’ambiente globale e per le conoscenze tecnologiche e le risorse finanziarie di cui dispongono.
Il risultato più importante raggiunto a Rio, tuttavia, è la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. L’UNFCCC nasce dal lavoro dei rappresentanti di oltre 150 Stati con lo scopo di “stabilizzare le concentrazioni di gas a effetto serra nell’atmosfera a un livello che prevenga qualsiasi pericolosa interferenza antropica sul sistema climatico”1. La firma del trattato comporta quindi, il riconoscimento internazionale del fenomeno del cambiamento climatico e la promessa di un impegno per contrastarlo. Ad oggi sono 198 i Paesi aderenti e le COP nascono proprio in forza di questo accordo. Le Conferenze delle Parti sono gli organi decisionali principali dei trattati, composti dai Paesi che hanno ratificato una convenzione e che, pertanto, sono considerati “parti” di essa. Sebbene esistano diverse Convenzioni delle Nazioni Unite che includono una COP, comunemente il termine si riferisce a quelle organizzate nell’ambito della UNFCCC. Nel 1995 si è tenuta la prima COP a Berlino sotto la guida dell’allora sconosciuto e neoeletto ministro dell’ambiente Angela Merkel. Nel tempo le Conferenze hanno riscosso un importante successo mediatico e oggi attirano un numero cospicuo di partecipanti.
IL MONITO DEI DISSIDENTI: “LE COP NON SONO PIÙ IN GRADO DI RAGGIUNGERE L’OBIETTIVO PER CUI SONO STATE CREATE”
Non è tutto oro quel che luccica: le Conferenze sono state anche oggetto di accesi attacchi. Si ricorderanno gli episodi della COP26 di Glasgow, nel 2021, quando oltre centomila persone, attivisti e non, hanno attirato l’attenzione di tutto il mondo sulle strade scozzesi con proteste pacifiche e inscenando il banchetto del degrado climatico. All’epoca si chiedeva ciò che oggi sembra inevitabile pretendere: accordi reali e interventi immediati.
Le contestazioni non sono venute meno nemmeno nelle ultime due edizioni, svoltesi in Paesi notoriamente repressivi e le cui economie dipendono fortemente dall’estrazione delle fonti fossili. L’edizione di Sharm el Sheikh, in particolar modo, ha suscitato lo sdegno del mondo ambientalista poiché si era concluso con uno scarso impegno per la decarbonizzazione e la produzione di un documento povero di obiettivi.
Anche a Baku non mancano le levate di scudi, e ad aver sollevato ancor di più il vento della protesta è stata la lettera aperta, rivolta ai membri delle Nazioni Unite da parte di leader, scienziati, e attivisti che mettono in guardia nei confronti dell’inadeguatezza raggiunta dal forum di Baku. Secondo i firmatari, l’attuale diplomazia climatica non riuscirà a limitare il riscaldamento globale “ben al di sotto dei 2°C” rispetto ai livelli preindustriali.
Tra i firmatari emergono figure diplomatiche di rilievo che in passato hanno rivestito un ruolo cruciale nelle Conferenze: spiccano i nomi di Ban Ki-moon, ex segretario generale dell’ONU, Christiana Figueres, ex segretaria esecutiva della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, proprio l’accordo che a Rio impegnò a lottare per contenere il riscaldamento globale, e Mary Robinson, ex presidente dell’Irlanda ed ex alta commissaria ONU per i diritti umani.
Al punto sette della lettera si chiede inoltre che la rappresentanza all’interno delle Conferenze sia più equa e che i lobbisti dei combustibili fossili non superino in numero i rappresentanti scientifici, indigeni e delle nazioni vulnerabili al clima2. La richiesta dei dissidenti giungerebbe a seguito della massiccia adesione, a Baku, degli esponenti accreditati dalle industrie fossili che, secondo il report dell’ONG Kick Big Polluters Out, sono presenti in numero pari a 1773, addirittura superiore rispetto ai componenti delle delegazioni dei dieci Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico3, appena 1033.
Le proteste sono esplose dopo l’intervento di apertura del padrone di casa, il premier Ilham Aliyev, che ha definito il petrolio ed il gas “un dono di Dio” al pari di altre risorse naturali e ha chiamato ipocrite le Nazioni occidentali che criticano l’Azerbaijan di essere un petro-stato inquinante, ma che allo stesso tempo beneficiano delle risorse fossili azere. Il presidente Aliyev, pur dichiarandosi sostenitore della transizione verde, ha preferito non menzionare l’obiettivo del progressivo abbandono della dipendenza da fonti fossili entro il 2050, concordato nella precedente COP28 con l’accordo storico di Dubai.
Anzi, il Climate Action Tracker, un progetto scientifico indipendente che monitora le azioni governative in materia di clima e le misura rispetto all’obiettivo concordato a livello globale dell’Accordo di Parigi del 2015, composto da scienziati ed esperti indipendenti in materia ambientale, afferma che: “L’economia dell’Azerbaijan dipende dalla produzione di combustibili fossili e il governo prevede di aumentarne l’estrazione di gas fossile di oltre il 30% nel prossimo decennio” e definisce l’azione per il clima dell’Azerbaijan “criticamente insufficiente”.
THERE IS NO PLANET B
Questi fatti minano non solo la credibilità dello Stato ospitante, ma dell’intero evento che rischierebbe di essere considerato l’ennesima adunata dell’ambientalismo di facciata. E mentre le trattative subiscono una fase di stallo, l’orologio climatico ci ricorda sempre più spesso che abbiamo bisogno di soluzioni concrete e ambiziose perché non esiste un pianeta B – per ora – in cui rifugiarsi.