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    Corsa all’Artico: partita aperta tra le grandi potenze

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    La politica adottata dalla presidenza Trump nei confronti della Groenlandia e delle sue risorse ha riportato l’attenzione di tutto il mondo sulle potenzialità strategiche dell’Artico, suscitando reazioni da parte delle controparti interessate alla zona, in primis la Russia.

    Trump e la Groenlandia

    Le prime reazioni alle pesanti affermazioni di Trump relativamente alla Groenlandia sono arrivate, come ovvio, dalla Danimarca e dalla Russia. Trump aveva già provato nel 2019, durante il suo primo mandato alla Casa Bianca, ad acquistare la Groenlandia; all’epoca sembrava solo una delle tante “sparate” del tycoon, ma un ritorno così pesante sulla questione certamente non può non avere alcun significato. Trump ha definito la proprietà americana della Groenlandia come “una necessità assoluta” per la sicurezza nazionale americana. Ha anche ribadito la questione in una chiamata, non proprio cordiale, con la premier danese Mette Fredriksen. Dopo un primo muro, da parte della Danimarca c’è stata un’apertura nella gestione comune delle risorse, ma il sopraggiunto inasprimento dei toni da parte del tycoon ha prodotto una nuova chiusura danese. 

    La reazione russa alle dichiarazioni di Trump

    Reazioni molto dure, oltre che dall’Europa, sono giunte anche dalla Russia, sino all’apertura sull’Ucraina di una settimana fa, probabile merce di scambio, come si vedrà più avanti. Molto duramente si è espresso l’ambasciatore russo in Norvegia, Nikolai Korchunov: il diplomatico russo ha sottolineato come tali affermazioni porteranno solo ad un inasprimento dei rapporti, osservando poi come le dichiarazioni esplicite del Presidente americano siano semplicemente l’ultimo passo in avanti degli USA verso la Groenlandia, poiché ormai da diversi anni Washington avrebbe aumentato la propria presenza in quella zona in chiave anticinese. 

    Le mire espansionistiche USA in Groenlandia sono, infatti, iniziate, anche concretamente, nel 2019: solo per fare un esempio basti pensare che agli inizi del 2020 gli USA hanno inaugurato una nuova sede consolare presso Nuuk e contemporaneamente hanno annunciato ampi programmi scientifici e di investimento. Anche Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha voluto rincarare la dose: “L’Artico è una regione che rientra nei nostri interessi strategici e nazionali”. La Russia è però caduta in un rigoroso silenzio dopo che gli USA hanno aperto alle trattative sulla “spartizione” dell’Ucraina e dei suoi giacimenti; per questo motivo, il placet russo sulla Groenlandia potrebbe considerarsi come una potenziale moneta di scambio per l’Ucraina. 

    La corsa all’Artico

    Naturalmente non solo Russia e USA sono interessate all’Artico. La Russia, a causa dell’isolamento internazionale subito a seguito della guerra, si è dovuta avvicinare molto alla Cina e con questa ha condiviso le sue strategie per l’Artico. Concretamente la cooperazione tra Cina e Russia ha preso avvio nello Yamal, «ove la russa Rusitan e la cinese China Communications and Construction Company hanno firmato un accordo di partenariato per lo sviluppo di un progetto di estrazione di materiali che serviranno, fra le altre cose, per costruire un nuovo gasdotto». Tale progetto risulta di vitale importanza, sia per la Cina che per la Russia, dal momento che da qui partirà il gasdotto che, passando per la Mongolia, giungerà sino alla Cina. 

    L’Europa e l’Artico

    Per quanto concerne l’Europa, non ci si dilungherà molto sulla questione, avendo già trattato tale tema in un precedente articolo. Di conseguenza, ci si limiterà solo a riportare i tre punti cardine del documento per la strategia artica approvato dalla Commissione Europea il 13 ottobre 2021:

    • contribuire al mantenimento del dialogo e della cooperazione cambiando il panorama geopolitico, mantenendo così l’Artico sicuro e stabile. Va, inoltre, aumentata e promossa la cooperazione regionale in previsione strategica delle sfide emergenti in materia di sicurezza;

    • affrontare le sfide ecologiche, sociali, economiche e politiche che si presentano come conseguenze del cambiamento climatico. È, inoltre, necessaria un’azione forte per contrastare il cambiamento climatico ed il degrado ambientale in atto presso la regione artica, cambiamento, questo, che rende più pericolosa tutta la zona. È, inoltre, necessario un accordo legislativo che vada a regolarizzare lo sfruttamento di black carbon, dovuto al rapido scongelamento del permafrost;

    • favorire lo sviluppo inclusivo e sostenibile delle regioni artiche, il beneficio degli abitanti e dei posteri, date le esigenze dei nativi (uomini, donne e giovani) e, in futuro, creare posti di lavoro derivanti direttamente dall’utilizzo di energie rinnovabili. 

    Come si evince chiaramente da questi tre punti, il piano europeo risulta realmente strategico e non si limita a tenere conto solo del mero sfruttamento delle risorse, ma punta a uno sviluppo condiviso, alla cooperazione internazionale, alla crescita sociale ed economica delle popolazioni autoctone; insomma questa è una strategia per “benpensanti”. C’è però ora da chiedersi, anche in maniera brutale, se tali strategie europee possano essere realmente competitive con comportamenti e strategie da “squali” come quelle statunitensi, russe e cinesi. 

    L’Italia e l’Artico

    Quando si parla delle relazioni italiane con l’Artico, va detto che queste sono sempre da circoscrivere all’interno delle strategie del macrocosmo europeo. Ciò detto, l’Italia ha sempre avuto relazioni privilegiate: queste ebbero inizio con le prime spedizioni artiche agli inizi del Novecento; basti pensare al leggendario Umberto Nobile, oppure alle spedizioni condotte dal marchigiano Silvio Zavatti, il quale ha fondato anche un centro di ricerca all’avanguardia, ad oggi ancora operativo, l’Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti”. 

    In tempi più recenti, sicuramente da menzionare è l’Osservatorio Artico fondato da Leonardo Parigi. Per quanto concerne, invece, la parte più meramente istituzionale, va detto che l’Italia dal 2013 è membro osservatore del Consiglio Artico, il forum per la promozione della cooperazione, del coordinamento e dell’interazione fra gli Stati artici (i cinque Stati costieri artici sono Russia, Stati Uniti, Canada, Danimarca attraverso la Groenlandia, e Norvegia). La strategia italiana per l’Artico ha avuto però inizio solo a partire dal 14 giugno del 2016 con la delibera della Commissione Affari esteri. 

    Il presente documento, pienamente in linea con le strategie europee, ha posto particolare attenzione sulla cooperazione internazionale e sullo sviluppo e la crescita delle popolazioni autoctone. Quest’ultima enfasi è comprovata e sostenuta anche da un ulteriore documento, pubblicato dal MAECI nel 2015 ed aggiornato l’anno successivo, ‘Verso Una Strategia Italiana Per l’Artico – Linee-Guida Nazionali’. Da tale documento ha poi preso avvio un’indagine conoscitiva per l’Artico. Questa è stata inaugurata con l’audizione del Sottosegretario agli affari esteri e alla cooperazione internazionale (24 gennaio 2017) che ha riferito sulle attività e sullo sviluppo del Consiglio Artico, nonché sulla storica presenza italiana nell’area, precedente dell’attuale, che consiste nella base di ricerca scientifica Dirigibile Italia nelle isole Svalbard e in una crescente presenza di imprese italiane. 

    L’ambasciatore italiano ad Oslo, nella seduta del 15 febbraio 2017, ha sottolineato l’ottimo rapporto tra il Parlamento italiano e la Conferenza dei Parlamentari della Regione Artica (CPAR), un organismo che raccoglie membri designati dai Parlamenti degli otto Stati membri del Consiglio Artico. Insomma, l’Italia, grazie anche ai tanti centri di ricerca non istituzionali, gode di ottimi rapporti con le regioni artiche.

    Conclusioni

    L’Europa e l’Italia godono di ottimi rapporti con i Paesi artici e, negli anni, hanno saputo costruire strategie inclusive basate sulla cooperazione, la preservazione e crescita degli autoctoni e dei loro territori. Totalmente diverso è l’approccio di USA, Russia e Cina. È, dunque, opportuno chiedersi se tali strategie europee possano essere realmente competitive con comportamenti e strategie da “squali” come quelle statunitensi, russe e cinesi.

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