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    I delitti “Ludwig”

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    Tra il 1977 e il 1984, in Italia, vengono compiuti raccapriccianti delitti. Dieci di questi, particolarmente cruenti, portano la firma della stessa persona, o meglio dello stesso duo: “Ludwig”. Questa settimana, a quarant’anni di distanza, Wolfang Abel, uno dei due uomini catturati e incriminati come gli esecutori dei crimini, è morto.

    Abel era nato nel 1959 a Monaco di Baviera, città dalla quale i genitori si erano trasferiti per recarsi a Negrar, vicino Verona. Proprio nell’ospedale di Negrar sarebbe morto pochi giorni fa, dopo tre anni di coma, dovuti a una brutta caduta risalente al 2021, dalla quale non è stato più in grado di riprendersi.

    Chi erano i “Ludwig”?

    Wolfang Abel e Marco Furlan, entrambi provenienti da famiglie della Verona bene, all’apparenza innocui e tranquilli, conosciutisi sui banchi di scuola, si avvicinarono soprattutto a causa di un’ossessione in comune: “la devianza“. Non a caso, le loro vittime accertate sono tutte accusate dello stesso peccato, “la subnormalità”: prostitute, omosessuali, senzatetto, preti, giovani in cerca di divertimento… queste le vittime del duo omicida. La matrice di tutti i delitti? Quella neonazista, confermata nelle rivendicazioni di ciascun reato, sempre accompagnate dallo stemma dell’aquila, classico simbolo della Germania nazista.

    La lunga carrellata di omicidi

    Tutto inizia nel caldo agosto del 1977, a Verona. La prima vittima è Guerrino Spinelli, un senzatetto che aveva trovato dimora temporanea in una Fiat 126 incendiata, mentre l’uomo dormiva, da quattro bottiglie molotov lanciate da Abel e Furlan. Le due vittime successive muoiono accoltellate: la prima, un prete omosessuale, a Padova nel 1978, la seconda sempre a dicembre, ma dell’anno successivo.

    Ed è a novembre del 1980 che arriva la rivendicazione, mandata alla redazione veneziana del Gazzettino, nonché autentificata da particolari non conosciuti al pubblico generale. Al termine della lettera GOTT MIT UNS” – letteralmente “Dio con noi” – motto originalmente teutonico, adottato negli anni Trenta dal regime nazista hitleriano e presente sulle fibbie delle SS. Il mese dopo fu poi il turno di una prostituta, Alica Maria Baretta, uccisa a colpi di ascia e martello a Vicenza. A maggio del 1981, i due incendiarono una torretta abbandonata a Verona, rifugio per tossicodipendenti e per persone senza fissa dimora, ammazzando nel fatto un diciassettenne.

    Abel e Furlan vennero assolti, pur avendo rivendicato il rogo di San Giorgio con una lettera mandata alla Repubblica, in cui gli autori del fatto inneggiavano al nazismo, firmandosi sempre con “GOTT MIT UNS”. All’incendio ebbero seguito altri tre omicidi, tutti e tre perpetrati nei confronti di preti.

    Per i loro ultimi due crimini, Wolfang Abel e Marco Furlan pensarono un po’ più in grande: prima l’incendio del 1983 al cinema a luci rosse “Eros” di Milano, dove morirono sei persone; poi un secondo incendio, a Monaco di Baviera, in una discoteca. Questa volta, una sola vittima: una cameriera di origini italiane. Il delitto di Monaco fu dichiaratamente attuato dal duo Ludwig perché Abel e Furlan ritenevano le discoteche luoghi poco pudichi e centri di atti non consoni.

    Ma come furono catturati?

    Il 4 marzo 1984 i due ventenni, armati di taniche di benzina, cercarono di incendiare la discoteca “Melamara” di Castiglione delle Stiviere. Le vittime sarebbero state circa cinquecento se nel febbraio dell’anno precedente non fossero morte una sessantina di persone a Torino, in un incendio accidentale scoppiato nel Cinema Statuto. Dopo questo avvenimento, tutti i locali pubblici italiani erano stati costretti a munirsi di rivestimenti ignifughi. Infatti, la sera del 4 marzo il pavimento del “Melamara” iniziò sì a bruciare, ma tanto lentamente da permettere a un addetto della sicurezza di evitare la propagazione delle fiamme. Abel e Furlan, evitando un linciaggio pubblico, furono arrestati fuori dalla discoteca.

    Con l’incendio del “Melamara” si chiuse il capitolo di violenza omicida della coppia di ragazzi, ma ebbe inizio il lungo paragrafo giudiziario, terminato quattro anni dopo con la condanna definitiva del duo prima al carcere e poi agli arresti domiciliari, terminati poco meno di dieci anni fa. 

    In tutti i casi di violenza che hanno contraddistinto l’opera di Abel e Furlan, non vi sono stati tratti comuni ad aver aiutato particolarmente gli inquirenti, ad eccezione del tipo di armi utilizzato. Mai armi da fuoco. Sempre armi tali da lasciare intendere quanto fosse perversa l’opera dei due serial killer: poco distaccata e sadica, oltre che epurativa nel caso del fuoco.

    La risposta a questa serie di omicidi fu clamorosa, e non solo a causa dello sgomento e  dell’orrore causati. Negli anni Novanta, un gruppo di fanatici di estrema destra organizzarono un pestaggio di massa a Firenze e vari attacchi bomba, riprendendo la sigla Ludwig. Oggi, eventi simili, con tali moventi ideologici dovrebbero sembrare impossibili al grande pubblico, ma purtroppo non è esattamente così.

    In un mondo come il nostro, in cui determinate categorie di esseri umani vengono tutt’oggi marginalizzate, discriminate, violentate e uccise, la risonanza di delitti come quelli del duo Ludwig è più forte che mai, e non solo in Italia: le matrici ideologiche che spinsero i due ragazzi veneti a uccidere sono le stesse che oggigiorno vengono rispolverate. Il problema è che, spesso, queste idee discriminatorie e violente non si celano solo dietro al termine neonazismo, ma sono anche presenti implicitamente nella propaganda e nei discorsi di potenti personaggi pubblici.

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