L’imminente insediamento del presidente eletto Donald Trump ha riportato in Europa lo spettro dei dazi. In campagna elettorale il Tycoon ha spesso dichiarato di voler applicare tariffe generalizzate su tutti i prodotti importati negli Stati Uniti e di voler perseguire un’agenda ‘America First‘. Gli effetti di una tale politica commerciale non possono essere ignorati, soprattutto per paesi come l’Italia, dove le esportazioni costituiscono una parte rilevante del prodotto interno lordo.
Le cifre dei rapporti commerciali tra Italia e USA
Nel 2023 il valore complessivo dell’export italiano verso l’estero ha raggiunto quota 626 miliardi di euro, circa il 35% del PIL. Gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale dell’Italia, la quale ha esportato beni per un valore complessivo di 67,3 miliardi di euro nel 2023, principalmente nel settore manifatturiero e agroalimentare. I dati sono in crescita costante da circa un decennio e le proiezioni mostrano un ulteriore incremento nei prossimi anni.
L’Italia è un paese fortemente interconnesso con l’economia globale grazie all’export, di conseguenza se la rete di libero scambio fosse messa in discussione ci sarebbero gravi ripercussioni sul tessuto produttivo italiano.
Per decenni il nostro Paese ha beneficiato dell’apertura dei mercati, che ha favorito le nostre imprese. L’Italia può considerarsi uno dei paesi vincitori della globalizzazione, nonostante quest’ultima abbia subito gravi colpi negli ultimi 15 anni. Ora però questo sistema, che ha retto sin dalla fine della seconda guerra mondiale, rischia di essere in parte compromesso, per la seconda volta, dal prossimo presidente degli Stati Uniti.
I possibili effetti del protezionismo americano sull’Italia
In campagna elettorale Trump ha promesso di applicare dazi del 10/20% su tutti i prodotti importati negli Stati Uniti, con l’obiettivo dichiarato di favorire le attività produttive domestiche e contrastare la concorrenza sleale. Già nel suo primo mandato introdusse pesanti dazi alla Cina e tariffe del 25% su alluminio e acciaio prodotti nell’Unione Europea. L’agenda commerciale del suo secondo mandato potrebbe dunque impattare in modo non trascurabile sull’economia dei paesi europei.
Un rapporto firmato da Goldman Sachs calcola danni per più di 150 miliardi di euro all’economia europea e un generale rallentamento della crescita. In poche parole: un’Europa complessivamente più povera e più debole sul piano internazionale. Le economie più a rischio sono quella tedesca, soprattutto per l’export del settore automotive, e quella italiana: come già detto, infatti, gli Stati Uniti sono un importantissimo partner commerciale per l’Italia.
C’è da dire che tutto sommato gli effetti dei dazi durante la prima amministrazione Trump furono abbastanza marginali per il nostro Paese. Si riuscì, per esempio, ad evitare i dazi sul Parmigiano attraverso una complessa operazione di lobbying. Fare una stima precisa rimane complicato per via degli effetti della pandemia da coronavirus, tuttavia come già accennato l’export italiano è cresciuto a ritmo sostenuto negli ultimi anni.
Il second term di Trump sarà però diverso: avrà molto più spazio di manovra, dato che la sua prossima amministrazione sarà composta principalmente da personalità a lui fedeli. Di conseguenza maggiore sarà il rischio di una politica commerciale più radicale della precedente.
Se gli Stati Uniti adottassero dazi del 10% sulle importazioni, l’Italia potrebbe pagare costi aggiuntivi dai 4 ai 7 miliardi di euro, in settori dall’alto valore aggiunto come la meccanica e altri importanti come moda e agroalimentare. Chiaramente si tratta solo di previsioni: occorrerà comunque attendere l’insediamento di Trump, il quale è notoriamente imprevedibile sia in politica estera che interna.
L’Italia può evitare i dazi?
Trump non ha mai nascosto il suo disprezzo per il rispetto delle regole, e ha messo in discussione i valori del libero scambio sui quali si era basata la diplomazia americana negli ultimi trent’anni.
Il suo agire in politica estera è guidato principalmente dalle affinità personali con i vari leader piuttosto che sul rispetto delle alleanze storiche. Il caso dei suoi rapporti con Vladimir Putin e il principe ereditario Saudita Mohammed Bin Salman sono un perfetto esempio. Inoltre il Tycoon ha sempre preferito di gran lunga i rapporti bilaterali piuttosto che quelli multilaterali.
Per questo motivo il governo Meloni cercherà di porsi come interlocutore privilegiato degli Stati Uniti in Europa, assieme al primo ministro ungherese Viktor Orbàn. La premier può vantare affinità politiche con Donald Trump e buoni rapporti con Elon Musk. Il rapporto tra i due leader sarà determinante nei futuri rapporti transatlantici.
Privilegiare le interlocuzioni bilaterali con gli USA potrebbe però mettere a rischio l’unità di azione europea e rendere vani gli sforzi della commissione e degli altri membri. Già durante l’ultimo summit della Comunità Politica Europea il presidente francese Macron ha richiamato alla coesione gli Stati europei e ha auspicato un rafforzamento delle prerogative comunitarie sulla base del rapporto Draghi sulla competitività.
Conclusioni
La Commissione dispone comunque di molti strumenti di rappresaglia nel caso Trump decidesse di applicare i dazi. L’UE potrebbe a sua volta colpire con tariffe mirate i prodotti che gli Stati Uniti esportano di più nel continente, massimizzando gli effetti e dissuadendo il Tycoon dal provocare una vera e propria guerra commerciale.
Allo stesso tempo gli Stati europei potrebbero accordarsi con gli Stati Uniti sull’import di attrezzature militari e gas naturale americani in cambio della non applicazione dei dazi, una sorta di do ut des su scala commerciale allargata. L’ipotesi migliore resta comunque una risposta coordinata a livello europeo e comunitario.