Mercoledì 16 ottobre 2024 il Senato ha approvato definitivamente, con 84 voti favorevoli e 58 contrari, la legge che rende la maternità surrogata un reato universale, scontrandosi di fatto tra rilievi critici e profili di illegittimità costituzionale. Ma se già esiste una legge che la vieta, qual è la novità del provvedimento approvato dal Senato?
COSA SIGNIFICA REATO UNIVERSALE?
Il disegno di legge nasce dalla proposta della capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Giustizia della Camera, Carolina Varchi, approvata a Montecitorio nel luglio del 2023 con 166 sì, 109 no e 4 astenuti. Il testo Varchi riprendeva quello presentato da Giorgia Meloni nella precedente legislatura. In Italia la maternità surrogata è vietata già dal 2004, con la Legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita. Ma ora si inserisce nella Legge 40 la prescrizione che la proibizione riguarda anche la gestazione per altri praticata all’estero. Il testo appena approvato è formato da un solo articolo, che modifica l’articolo 12 della legge 40 che, al comma 6, prevede: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro.” A questa disposizione dunque si aggiunge un paragrafo per cui “se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana.”
Il primo problema riguarda il concetto stesso di “reato universale:” è una formula assolutamente inefficace ed imprecisa dal punto di vista giuridico. Nel linguaggio giuridico non esistono i reati “universali” , ma i reati punibili sotto il principio della giurisdizione universale, che permette ai tribunali nazionali di perseguire i più gravi crimini del diritto internazionale indipendentemente dal luogo in cui sono stati commessi e dalla nazionalità dei sospettati o delle vittime. Parliamo di reati come genocidi, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, che non c’entrano nulla con la gestazione per altri. L’Unione Europea considera la gestazione per altri una forma di traffico di esseri umani solo quando la donna gestante viene obbligata contro la propria volontà.
Un altro problema riguarda la punibilità di chi fa ricorso alla gestazione per altri all’estero. In Italia esiste già più di un modo: organi come la Corte di Cassazione o la Corte Costituzionale hanno definito la gestazione per altri una pratica degradante e offensiva nei confronti della dignità della donna in più di un’occasione, e al di là della giurisdizione universale il codice penale italiano prevede che si possa venire puniti in Italia per reati compiuti all’estero in due articoli: il 7 e il 9.
C’è poi il problema della “doppia incriminazione”: il fatto cioè che per essere punibile in Italia un certo atto debba essere considerato reato anche nel luogo in cui viene compiuto. Quello della doppia incriminazione è un principio giuridico implicito, che è stato in varie occasioni affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Questo principio vale anche per i due articoli del nostro codice penale che prevedono la punizione di reati compiuti all’estero, l’articolo 7 e l’articolo 9. Insomma, l’idea è che sia impossibile punire qualcuno per aver fatto ricorso ad una pratica legale in un altro Stato, per di più usando norme che riguardano reati completamente diversi dalla gestazione per altri.
IL PRINCIPIO DELLA DOPPIA INCRIMINAZIONE
La doppia incriminazione – cioè la punibilità se il fatto è previsto come reato sia nello Stato in cui viene commesso che nello Stato che intende perseguirlo – dovrebbe orientare le scelte punitive dello Stato limitando l’operatività del principio della extraterritorialità alle solo condotte che costituiscano reato anche secondo la legge di quel luogo. Sarebbe incongruo che un comportamento che viene compiuto in uno Stato dove questo è legale, venga poi perseguito da un tribunale italiano. La questione, inoltre, incide sull’effettività della previsione e, dunque, sulle reali chances di perseguibilità.
La giurisprudenza è unanime nell’escludere che integri il reato di alterazione di stato la trascrizione di un atto di nascita formatosi all’estero a seguito di un percorso di gestazione per altri, non potendosi considerare ideologicamente falso il certificato conforme alla legislazione del paese di nascita del minore, neppure nel caso in cui la procreazione sia avvenuta con modalità non consentite in Italia [Cass. Pen. n. 31409 del 13/10/2020].
Il 19 gennaio 2023, il ministero dell’Interno ha inviato ai prefetti – invitando a fare analoga comunicazione ai sindaci – una circolare volta ad ottenere una «puntuale ed uniforme osservanza degli indirizzi giurisprudenziali espressi dalle Sezioni Unite negli adempimenti dei competenti uffici». Il riferimento è alla pronuncia con cui la Cassazione ha escluso la trascrizione automatica di certificati di nascita esteri a seguito di gestazione per altri [Cass. Pen. n. 38162 del 30/12/2022].
E’ il principio della doppia incriminazione, che rappresenta la regola e informa i rapporti di cooperazione internazionale tra i diversi paesi, a partire dalla materia dell’estradizione. Se la doppia incriminazione è un requisito per l’applicabilità della legge penale italiana in rapporto ai fatti commessi dai cittadini all’estero, allora la surrogazione di maternità non è punibile se realizzata in uno Stato in cui è lecita. Le proposte di legge in esame mirano a derogare alla disciplina dell’art. 9, comma 2 c.p. e a rendere punibile il fatto commesso all’estero indipendentemente dalla richiesta del Ministro e dalla doppia incriminazione.
Esse mirano in altri termini a rendere applicabile, in luogo dell’art. 9, comma 2 c.p., l’art. 7 n. 5 c.p., secondo cui è punito secondo la legge italiana il cittadino (e anche lo straniero, nella proposta Varchi) che commette in territorio estero alcuni gravi reati a danno dello Stato o di interessi pubblici, ovvero altri reati per i quali speciali disposizioni di legge stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana. Il punto è questo: escludere che sia necessaria la richiesta del Ministro, quale condizione di procedibilità, ed escludere altresì che operi il principio della doppia incriminazione.
RISCHI DI DISCRIMINAZIONE
La perseguibilità del reato, di fatto, è solo nei confronti delle coppie arcobaleno posto che una coppia eterosessuale che realizzi la pratica all’estero nel rispetto della legge di quel paese non potrà neppure essere individuata – nel certificato di nascita in nessuna legislazione è prevista l’indicazione della madre surrogata, comparendo indicati solo i genitori di intenzione, se non all’esito di una rogatoria internazionale.
Coloro che vengono colpiti, al di là di un supposto effetto di deterrenza, in primo luogo sono i bambini che nascono, perché se l’introduzione della norma non dissuaderà di certo le coppie che non hanno altra possibilità dal ricorso alla metodica all’estero, si introduce soltanto un divieto senza prevedere nessun tipo di regolamentazione per tutelare i bambini già nati o che nasceranno da questa tecnica e torneranno in Italia, paese che li priverà giuridicamente di uno dei genitori.
In estrema sintesi, più che una legge a tutela delle donne, si tratta di un manifesto contro le nuove famiglie che colpisce in primis i minori e introduce una nuova condizione: quella dei figli nati da un reato.