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    Grandi opere tra dubbi e promesse: il rebus del Ponte sullo Stretto

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    La recente approvazione del progetto definitivo del Ponte sullo Stretto divide come non mai esperti, politici e cittadini. Una grande opera che solleva grandi interrogativi: cattedrale nel deserto o infrastruttura strategica per il Mezzogiorno?

    Tra i temi più caldi che infiammano l’agenda politica estiva vi è sicuramente l’approvazione del CIPESS (comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) del progetto definitivo del Ponte sullo Stretto avvenuta lo scorso 6 Agosto. Un progetto tanto imponente (si tratterebbe del ponte a campata unica più lungo al mondo) quanto divisivo per i suoi notevoli costi e per le difficoltà tecniche. Il completamento dell’opera è previsto nel 2032 secondo il Ministero dei Trasporti.

    Un passato ancora presente

    Come è ben noto, non è la prima parte volta che il dibattito pubblico si anima per la costruzione del Ponte sullo Stretto: un primo progetto esecutivo fu elaborato dalla Stretto di Messina S.p.A. tra gli anni Ottanta e Novanta e venne appaltato nel 2003 dall’allora Governo Berlusconi. 

    Tra ritardi, congelamenti per motivi economici, iter autorizzativi non conclusi, il progetto tramonta definitivamente nel 2013 con il decreto “Salva Italia” adottato dal Governo Monti, principalmente per insostenibilità finanziaria del momento. Con l’insediamento del Governo Meloni ed il ripristino della società Stretto di Messina S.p.A. il Ponte è tornato con dirompenza in auge nel dibattito pubblico. 

    Storico cavallo di battaglia del centrodestra, il progetto definitivo fortemente voluto dal vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, dopo aver incassato il via libera dal CIPESS, è ora in attesa della bollinatura della Corte dei conti che dovrà convalidarne la spesa (relative coperture finanziarie) e l’iter amministrativo. Si prevede che i primi cantieri preliminari vedranno la luce entro la fine dell’anno, per concludersi nel 2032, quando l’isola più grande e popolosa del Mediterraneo sarà collegata al resto della penisola. L’opera sarà realizzata dal consorzio Eurolink che unisce prestigiose realtà internazionali, tra cui il gruppo italiano Webuild.

    Nel dettaglio il progetto prevede la realizzazione di una struttura sospesa per circa 3.300 metri (per una lunghezza complessiva pari a 3.666 metri), rendendolo così il ponte a campata unica più lunga al mondo con una capacità di transito di 6.000 veicoli l’ora e 200 treni al giorno, abbattendo notevolmente i tempi di attraversamento: per i veicoli di passerebbe dagli attuali 70-100 minuti ai 10-15, per i treni dagli attuali 120-180 minuti ai 15-20. 

    Il tutto avrebbe un costo stimato di circa 13,5 miliardi di euro, di cui circa 5,4 miliardi per la costruzione del ponte in senso stretto, i restanti 8 per progettazione, costi tecnici e per opere infrastrutturali di collegamento funzionali e non funzionali al ponte. 

    Un’opportunità per il sud 

    Secondo le stime preliminari, sarebbero consistenti i benefici economici che deriverebbero dalla realizzazione di una simile opera: decine di migliaia di posti di lavoro creati durante la fase di costruzione del ponte (secondo lo studio commissionato da Unioncamere Sicilia a Uniontrasporti si fa riferimento a circa 36/37.000 posti di lavoro stabili) e le ricadute sul Pil sarebbero consistenti, con un moltiplicatore  pari a circa 1,7 euro generato per ogni euro speso, l’incremento di prodotto interno lordo ammonterebbe a circa 23 miliardi di euro. Inoltre, secondo le stime riportate dal Mit, vi sarebbe un risparmio di circa 140 mila tonnellate annue di CO2 dovuti ai minori tempi di attraversamento ed al superamento dell’attuale sistema di trasporto.

    Più in generale il finanziamento pubblico di opere ed infrastrutture rientra in un contesto di programmazione economica di tipo interventista che vede il Governo effettuare investimenti in zone del Paese economicamente fragili e meno infrastrutturare dove il libero mercato, non riesce autonomamente a generare ed attrarre sufficienti investimenti. Oltre al già citato effetto moltiplicativo sul Prodotto interno lordo, il Ponte sarebbe capace di rendere la Sicilia un fiorente hub mediterraneo in grado di attrarre investimenti e favorire la nascita di nuovi poli industriali e turistici, garantendo sviluppo, occupazione e crescita nel medio lungo periodo.

    Proposte alternative

    Non si sono fatte attendere delle voci fortemente critiche rispetto al progetto del ponte, attingendo all’immagine di un’opera che – se pur mai realizzata – sia già costata centinaia di milioni ai contribuenti e che sia il simbolo dell’immobilismo italiano. Numerose le associazioni (WWF, Legambiente, Greenpeace) che hanno promosso una serie di azioni legali volte a contrastare l’avanzamento dell’opera ritenendola dannosa da un punto di vista ambientale ed insostenibile per le finanze pubbliche. 

    Sebbene le relazioni tecniche definitive parlino di una capacità di resistenza del ponte a forti venti (fino ad oltre 200 km/h) ed a terremoti fino a 7 gradi di magnitudo (Richter), si adduce l’estrema fragilità geomorfologica del territorio come principale ostacolo. Il ponte si troverebbe, infatti, su diverse faglie attive che congiungono la placca africana a quella euroasiatica caratterizzando quella dello Stretto come una zona a sismicità elevata. Inoltre, la singolare conformazione orografica del territorio rende la zona soggetta a forti venti.

    Le critiche non si soffermano solo su ragioni di carattere ambientale ma spaziano anche su tematiche economiche e di sviluppo organico dell’isola. Infrastrutture carenti e vetuste e gestione idrica non ottimale in Sicilia sono solo alcuni dei temi portati al centro del dibattito politico, evidenziando anche la possibilità di un eventuale potenziamento ed efficientamento dell’attuale sistema di trasporto come alternative più efficienti ed economiche al Ponte. 

    Insomma, la paura più grande è che un siffatto progetto diventi una cattedrale nel deserto e che non riesca a rappresentare quel volano economico tanto decantato. Ed anche quell’effetto moltiplicativo sull’economia reale andrebbe ad annacquarsi in caso di ritardi nel cronoprogramma e di debito pubblico troppo elevato (in quanto il debito da finanziare per sostenere una maggiore spesa pubblica aumenterebbe i tassi di interesse, rendendo più sconvenienti gli investimenti privati nell’economia azzerando, di fatto, i benefici complessivi sul prodotto interno lordo.)

    Quale futuro per lo stretto

    Sebbene siamo consapevoli che il dibattito sul ponte sia ben lontano dall’essere chiuso, è evidente quanto la realizzazione di un’opera così complessa rappresenti un banco di prova internazionale sulla capacità dell’Italia di coniugare la tutela del territorio con la capacità di progettare e mettere a terra investimenti pubblici di tale portata.   

    L’opera, infatti, continua a muoversi su un equilibrio precario tra sostenibilità ambientale ed economica e la forte volontà del Governo di andare fino in fondo. Il suo successo sarà misurato dalla capacità di gestire in modo efficiente le risorse a disposizione, di inquadrare tale progetto all’interno di uno schema di investimenti infrastrutturali più ampi che coinvolgano le regioni interessate e che riconoscano al Sud un ruolo propulsivo nell’economia italiana. 

    Fino ad allora il Ponte oscillerà tra l’essere una delle soluzioni al divario infrastrutturale esistente nel Paese o una promessa simbolica da mantenere a qualunque costo.

    20250325

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