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    Guida alle elezioni americane 2024

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    Siamo onesti: le elezioni americane sono tutt’altra cosa rispetto a quelle italiane. La copertura mediatica è totale, l’attenzione massima, gli spunti di dibattito notevoli. Alcuni potrebbero controbattere affermando che l’affluenza alle presidenziali è sempre stata bassissima rispetto alle competizioni europee. Ciò ha una spiegazione. Innanzitutto, negli USA, per votare bisogna iscriversi ai registri governativi elettorali. In altre parole, la tessera elettorale non arriva comodamente a casa al compimento dei 18 anni. Inoltre, si vota il martedì successivo al primo lunedì di novembre, una scelta che nel XIX secolo permetteva di non perdere la preghiera della domenica e di viaggiare il lunedì verso le poche sezioni di voto del proprio Stato.

    Siamo abituati a vedere gli americani enfatizzare qualunque cosa od evento. Il Superbowl, il giorno del ringraziamento, i fast food e perfino le enormi taniche di latte che si trovano in qualunque supermercato. Stessa cosa accade per le elezioni USA, che sono tra gli eventi più seguiti nella storia della televisione americana.

    Road to 270

    Il sistema elettorale americano è rimasto invariato nel corso dei suoi 250 anni di storia. A ciascuno Stato viene assegnato un numero di grandi elettori sulla base della popolazione residente. Per vincere i grandi elettori di ciascuno Stato, il candidato deve ottenere il 50% +1 dei voti, ovvero la maggioranza assoluta. Alcuni Stati hanno regole speciali per le quali i seggi vengono assegnati su base proporzionale oppure il rispettivo territorio viene suddiviso in piccoli collegi, sempre con il sistema maggioritario.

    Molti Stati sono caratterizzati da una solida tradizione democratica (tra questi, la California) o repubblicana (come la maggior parte degli Stati centrali). La partita si gioca quindi negli swing states, ovvero Stati contendibili da entrambi i candidati. Quest’anno gli swing states sono Michigan, Wisconsin, Pennsylvania, Nevada, North Carolina, Georgia e Arizona. Il primo candidato a raggiungere i 270 grandi elettori vince la presidenza.

    I dibattiti

    Generalmente i dibattiti riguardano sia i candidati presidenti, che vicepresidenti. Si tengono tra la fine di settembre e inizio ottobre in rapida successione, a circa dieci giorni di distanza l’uno dall’altro. La scenografia è ormai la stessa da alcuni anni. I due candidati parlano dal proprio podio con dietro un pannello raffigurante i vari articoli della Costituzione. I giornalisti pongono le domande e moderano il dibattito, arrivando ad interrompere anche il Presidente in carica. Le domande vertono su tutti gli argomenti della campagna; il tempo a disposizione permette ai candidati di esprimere la propria opinione o il semplice ragionamento.

    Il dibattito dei vicepresidenti ha sicuramente meno importanza, ma permette comunque di attirare non poco consenso. Questi vengono solitamente scelti per mobilitare quegli elettori insoddisfatti del candidato presidente del proprio partito. Oppure, in base al consenso che possono portare nel loro Stato d’origine, in questo caso chiave per la vittoria delle elezioni.

    C’è anche da dire che Donald Trump ha, per ora, escluso di confrontarsi di nuovo con la sua avversaria.

    Il dibattito riesce a spostare milioni di voti, ma vincerlo non garantisce la scrivania nello studio ovale: vista la grande visibilità della campagna elettorale, l’esito non è mai scontato. Infine, vale la pena ricordare come in Italia l’ultimo confronto televisivo tra i più importanti leader politici sia avvenuto ormai 18 anni fa su Rai 1. Il dibattito tra Berlusconi e Prodi condotto da Bruno Vespa fu il secondo scontro. Il primo si tenne sempre sul primo canale a fine marzo condotto da Clemente Mimun. Ad oggi, non sono stati più concordati e trasmessi altri dibattiti di tale livello. Vi sono stati altri importanti trasmissioni, come lo scontro tra i due Matteo, Renzi e Salvini, di ottobre 2019.

    Sondaggi, sondaggini e sondaggioni

    Qui la differenza è mastodontica. Il flusso di sondaggi che viene condiviso ogni giorno è incessante; decine di sondaggi differenziati per Stato, istituto, sponsor, tipo e specifica caratteristica del campione. Quasi ogni sondaggio presenta una spaventosa suddivisione del campione. Età, regione (urbana, suburbana, periferica), genere, partito di affiliazione, gruppo etnico, livello di reddito e di educazione. Questa precisione sondaggista non riguarda solamente le elezioni presidenziali o dei rami legislativi, ma anche le elezioni dei singoli governatori.

    Si fanno sondaggi su chiunque e su qualunque cosa per cercare di intercettare l’elettorato. Ciò permette di elaborare delle tecniche di comunicazione ancora più raffinate e dettagliate. Il confronto con i sondaggi nel nostro paese è impietoso. In primis, perché non esiste alcuna regola sulla par condicio che vieti di pubblicare sondaggi a ridosso del voto (tra gli addetti ai lavori, vengono comunque diffusi attraverso Whatsapp o Telegram). In secundis, la maggior parte dei sondaggi si concentra nelle ultime tre settimane di campagna elettorale, ma senza raggiungere il grado di affinità statunitense.

    Sul sito cook political è possibile simulare l’andamento delle elezioni sulla base delle preferenze di voto dei diversi gruppi demografici o semplicemente per classi di età. Oppure, si può optare per modificare la partecipazione al voto e vedere come potrebbe cambiare la corsa presidenziale. A mero titolo esemplificativo, una debole partecipazione al voto da parte del gruppo demografico ispanico (dal 49 al 46%) farebbe perdere a Harris lo Stato dell’Arizona.

    Le simulazioni

    Nate Silver è uno dei sondaggisti più considerati negli USA. Il network americano ABC gli ha dedicato una intera sezione del proprio sito in cui aggiorna quotidianamente le varie previsioni. Da notare come, a differenza dei nostri sondaggisti, l’esito elettorale non si calcola in base alla media dei sondaggi pubblicati, da cui desumere il numero dei seggi per ciascun partito, bensì sulla base di un certo numero di simulazioni.

    Nel concreto, Silver elenca il risultato di 1000 simulazioni della stessa elezione. C’è una possibilità su 1000 di un cappottone di Kamala Harris con 479 grandi elettori. Lo stesso vale per Trump con 437. Al 5 ottobre 2024, Kamala Harris vince la Casa Bianca in 545 simulazioni con un numero di grandi elettori intorno ai 300, oppure ai 320. Donald Trump, invece, ricopre la carica di Presidente in 452 simulazioni con un’alta probabilità, in caso di vittoria, di ottenere all’incirca 300 grandi elettori, e quindi vincere con un bel distacco.

    Le “chiamate” delle televisioni

    Un’altra bella differenza riguarda la copertura televisiva che forniscono i media la notte delle elezioni. Questa inizia alcune ore prima della chiusura dei seggi per poi seguire l’inizio dello spoglio. A differenza dei media italiani, sono le televisioni, sulla base di propri dati statistici, a ‘chiamare’ la vittoria dei vari Stati. Queste, quindi, aggiornano e prevedono il vincitore senza basarsi sui dati reali che vengono man mano raccolti dalle istituzioni governative. I primi Stati che di solito vengono chiamati alle 19.00 di Washington, 1.00 italiane, sono Kentucky, West Virginia, Vermont e Indiana. Lo spoglio e gli annunci proseguono per tutta la notte, con nuovi aggiornamenti circa ogni 30 – 60 minuti.

    Too early to call sono quegli Stati per cui si dispongono ancora pochi dati e dove, quindi, non è possibile accertare matematicamente la vittoria di un candidato. Too close to call, invece, è quando le cose si fanno interessanti. Si tratta di una chiamata che accade molto spesso negli swing states: i due candidati sono testa a testa, per cui bisogna aspettare che si crei un margine più netto per proclamare un vincitore. Infine, projected winner è la situazione in cui una emittente annuncia la vittoria di uno Stato da parte di un candidato. La frenesia elettorale aumenta man mano che si chiamano gli Stati sicuri. Per poi arrivare a quelli più contesi, dove si gioca il tutto per tutto.

    Bonus simulazione

    Se proprio non vedete l’ora che arrivi novembre e non sapete come passare il tempo, ecco un gioco-simulatore sulle elezioni americane. The new campaign trail vi permette di mettervi nei panni del consulente politico dei vari candidati alla presidenza dal 1848 ad oggi. Nell’arco di 25 turni dovrete scegliere le migliori risposte da dare alle domande che vi verranno poste sugli eventi peculiari di ogni campagna elettorale. Potrete decidere dove tenere i vari comizi nei diversi Stati man mano che i sondaggi si aggiornano. Inoltre, è possibile creare dei veri e propri scenari what if in cui cimentarsi.

    Come sarebbe cambiata la campagna elettorale democratica del 2016 se Hillary Clinton avesse scelto come suo running mate il dinamico Bernie Sanders, invece del più moderato Tim Kaine? Provate a vincere la disperata campagna repubblicana del 1976 per la rielezione di Gerald Ford.

    Dopo alcune partite, il giocatore comprende il sottile meccanismo che si replica anche nella vita reale: è possibile essere in vantaggio in tutti gli Stati chiave il giorno prima delle elezioni, ma ciò non garantisce la vittoria nel giorno della consultazione elettorale.

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