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    Hayao Miyazaki: la guerra per lo Studio Ghibli

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    Spesso, quando partoriamo un’idea, capire da dove essa provenga può essere un processo odiosamente macchinoso; possiamo spendere ore a tentare di ricondurla ad avvenimenti della nostra vita o media che consumiamo. Le idee rispecchiano la nostra esperienza e visione del mondo, e il mondo che vede Miyazaki è un mondo in guerra. Questo è il tema chiave dal quale sembrano diramarsi buona parte delle idee e delle trame della filmografia di Hayao Miyazaki.

    Nausicaä nella valle del vento (1984)

    E’ in parte vero che, parlando dello Studio Ghibli e di guerra, l’unico film che andrebbe obbligatoriamente citato è “Una tomba per le lucciole” di Isao Takahata, ma la storia antimilitarista di questo studio va ricondotta a qualche anno prima. 

    Intendiamoci, non tutte le sue pellicole hanno come tema centrale il conflitto armato; “Il mio vicino Totoro” e “Kiki – Consegne a domicilio” ne sono un esempio lampante: trattano temi come le amicizie in età infantile o il ritorno alla vita pastorale, facendo trasparire dolcemente quello che in realtà è per Miyazaki un vero e proprio rigetto nei confronti della modernità.

    Resta però il fatto che sin dai suoi primissimi lungometraggi traspaiano l’ecologismo e il pacifismo tipici di tutte le opere che sarebbero seguite.

    Sin dal primo momento ci viene presentato il mondo di Nausicaä come devastato dalla guerra termonucleare, dove la natura è putrescente e le poche colonie umane rimaste si scontrano ancora tra di loro per la supremazia su un mondo che, ormai, non ha più nulla da offrire. Il barlume della rinascita della civiltà umana è rappresentato dalla “protagonista prescelta” che, attraverso i suoi tentativi di ristabilire la pace, interpreta la volontà del regista di convivenza tra le culture e di pacifismo tra le nazioni.

    Porco rosso (1992)

    “Piuttosto che diventare un fascista meglio essere un maiale”.

    Così replica il protagonista Marco quando gli viene chiesto di rientrare nell’aeronautica italiana a cavallo tra gli anni ‘20 e ‘30. L’amore incondizionato che prova per i velivoli non sarà mai sufficiente da non condannarne l’utilizzo bellicoso, e non c’è donna che lo amerà abbastanza da farlo sentire redento dal peccato di non essere morto per aria assieme ai suoi compagni; ci sarà sempre una presenza che ricorderà a Marco l’orrore della morte: la sua faccia di maiale. E se in un primo momento la critica di Miyazaki era riferita alla guerra in generale, qui decide di mirare con precisione e condannare un’ istantanea chiara della storia del Giappone; quella di “Porco Rosso” non è una sommaria critica ai regimi, ma una precisa condanna rivolta all’impero collaborazionista giapponese degli anni ‘40. Nonostante il dibattito sull’utilizzo del termine “fascista” per definirlo sia ancora aperto, per Miyazaki non ci sono dubbi; questo scempio rimarrà per sempre impresso nelle pagine della storia del Giappone. 

    La principessa mononoke (1997)

    “Dannati luridi umani, avrete a conoscere la mia sofferenza e il mio odio”.

    La distruzione della natura, qui più spiritica che mai, in favore dell’uomo sono leitmotiv del più violento dei film dello Studio Ghibli: mutilazioni, ingenti perdite di sangue, animali che vanno a fuoco, spiriti della foresta che esplodono… un’assoluta carneficina. Non sorprende che i dissapori con i distributori americani siano cominciati qui. Perchè la MIRAMAX potesse distribuire questo film, avrebbe dovuto rispettare la politica no tagli” di Miyazaki, che, tramite il produttore Toshio Suzuki, avrebbe addirittura fatto recapitare ad Harvey Weinstein una katana con allegato un biglietto che recitava le parole “no cuts”.

    La storia della guerra tra umani e spiriti modella il tipo di interazione necessaria ad evitare che il conflitto stesso possa avvenire.

    La città incantata e Il castello errante di Howl (2001 e 2004)

    Appurati il suo disprezzo per l’America (e anche per la Disney data la pessima distribuzione che fecero dei suoi film) e il suo pacifismo assolutista, non è difficile comprendere il perché della sua assenza alla premiazione degli Oscar per “La città incantata”: un tentativo di boicottaggio della cerimonia, in segno di protesta nei confronti di un paese che aveva cominciato e stava portando avanti con convinzione una guerra contro l’Iraq. Le parole spese da Miyazaki a riguardo sono molte e allo stesso modo più di una volta ha criticato la rappresentazione propagandistica che Hollywood faceva della guerra in Vietnam, paragonandola a dei “videogame” e prendendo di mira film come “Salvate il soldato Ryan”, “Apocalypse Now”  e “Indiana Jones”, a proposito del quale dichiarò: “Nei film di Indiana Jones c’è un uomo bianco che spara alle persone, giusto? I giapponesi che pensano che questo sia divertente, sono incredibilmente imbarazzanti. Non capiscono che sono loro quelli che vengono colpiti. Guardare questi film senza alcuna consapevolezza storica è incredibile. Non puoi capire come vieni visto da un paese come l’America”.

    Non a caso il suo film successivo, “Il castello errante di Howl”, è una rappresentazione della futilità e letalità di una guerra nata su false pretese. Inizialmente non ci è chiaro che tipo di battaglia stia venendo combattuta e ci sembra un concetto distante, quasi astratto, ma che assume sempre più sostanza man mano che si approfondisce la relazione tra la protagonista Sophie e lo stregone Howl, che tenta segretamente di porre fine al massacro con le sue sole forze, rientrando nel suo castello più debole e ferito ogni volta che esce in missione.

    Con una vena più romanzata qui è l’amore puro ad essere concepito come cura alla violenza che incancrenisce le anime degli uomini

    Si alza il vento (2013)

    “Quello di voler librarsi nel cielo è il sogno dell’umanità, ma è anche un sogno maledetto”.

    La scelta di non marcare un confine vero e proprio tra il bene e il male, togliendo quel tipico dualismo netto occidentale tra buoni e cattivi, è forse la più rilevante all’interno del film. La passione per l’aviazione di un ingegnere aeronautico in contrasto con l’uso fatto delle sue meravigliose creazioni fanno di Jiro un personaggio meraviglioso e complesso. Si tratta di una storia estremamente realista: Jiro vive nel suo mondo dove la bellezza degli aeroplani fa da padrone e dove gli unici momenti felici sono o quelli spesi con sua moglie o quelli trascorsi a progettare aerei, ma allo stesso tempo svolge un lavoro che lo porta dove lo portano i soldi, che negli anni ‘30 e ‘40, venivano impiegati nell’industria bellica, relegandolo quindi al ruolo di fabbricante di armi e tormentandolo nel tentativo di vivere le sue passioni.

    Potremmo pensare che fosse destino per Miyazaki legarsi a questi temi, dopotutto ha vissuto l’infanzia tra l’attacco a Pearl Harbor e lo sgancio degli ordigni nucleari, ma al di là di fantasiose supposizioni possiamo solo osservare con occhi meravigliati e sommessi come uno dei più grandi artisti mai esistiti non fallisca mai nel conciliare delicatamente l’orrore del mondo per come è realmente con il pacifismo e la serenità bucolica del mondo per come dovrebbe essere.

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