Era il non troppo lontano 2009 quando i fratelli Liam e Noel Gallagher misero la parola fine all’esistenza della band. Si lasciavano alle spalle record d’incassi, concerti incredibili e una fanbase accanita. Oggi, dopo quindici anni, sono finalmente tornati insieme annunciando un tour, ma le loro rinnovate promesse hanno generato non poche polemiche, da sempre legate al destino del gruppo mancuniano. Date le circostanze in cui i fratelli hanno tirato avanti dallo scioglimento della band fino ad oggi, la loro reunion non poteva che essere chiacchierata.
Part of the queue
Prima della vendita generale di sabato, i biglietti erano stati resi disponibili la sera precedente per i “vincitori” delle prevendite. Il sistema così strutturato (per provare a vincere era necessario rispondere a una domanda sulla formazione originaria della band) ha generato pesanti critiche e una lotta online tra i giovani fan della band e i veterani presenti fin dagli esordi, con sprazzi di ageismo ben poco necessari soprattutto nei confronti delle new entry. Il prezzo di alcuni biglietti è fin da subito schizzato alle stelle, raggiungendo la somma di ben 6.000 sterline. La corsa ai biglietti, fatta a qualsiasi costo, sembra paradossale perché nasce proprio in un clima di crisi per la nazione, che deve affrontare il disastroso aumento del costo della vita. Il problema sembra essere ignorato, almeno temporaneamente, per riuscire a vedere la band suonare dopo quindici anni.
Il tour potrebbe far ricavare circa 400 milioni di sterline alla band: i tabloid scandalistici speculano che sia proprio il profitto economico la ragione che si cela dietro al ritorno improvviso dei fratelli Gallagher, soprattutto dopo il costosissimo divorzio di Noel. Ma non sono solo i membri della band a incassare cospicue somme: chi ne beneficia enormemente sono i rivenditori, tra cui soprattutto Live Nation – il grande colosso statunitense del settore – che possiede anche Ticketmaster. Questo perché, ormai, vi è la tendenza delle multinazionali a prezzare i biglietti in base alla richiesta (dynamic pricing), con variazioni incredibili del costo di base del prodotto (succede con i concerti, ma anche con i biglietti aerei). Dopo il Covid i fan sembrano disposti a spendere di più per vivere l’esperienza della musica dal vivo, e inevitabilmente le aziende riescono ad approfittarsene. Ma non tutti hanno apprezzato il fatto che i biglietti siano arrivati a costare dieci volte quello che costavano inizialmente; in molti online hanno definito scandaloso il metodo di vendita utilizzato.
L’indignazione è arrivata a punti così alti da spingere il governo britannico a intervenire. Keir Starmer ha promesso di discutere in Parlamento riguardo al dynamic pricing e al fenomeno delle rivendite truffaldine. L’obiettivo è quello della creazione di un sistema più equo, in collaborazione con gli artisti, l’industria e i fan. Ticketmaster ha provato a difendersi, dichiarando che il prezzo dei biglietti non è loro responsabilità; questo difatti appartiene all’organizzatore dell’evento, che stabilisce una cifra in base al valore di mercato del concerto. Nonostante le estreme difficoltà, milioni di persone in fila, siti in down e prezzi extraterrestri (aumentati con il trascorrere delle ore in cui Ticketmaster non funzionava a dovere), tutte e diciassette le date del tour anglo-irlandese sono andate sold-out.
Ma le polemiche si spingono oltre…
Sin dagli anni Novanta il Regno Unito è spaccato a metà in quelle che sembrano essere fazioni più resistenti e bellicose persino di quelle medievali. L’eterna faida tra Blur e Oasis domina pure le dinamiche del ritorno dei fratelli Gallagher. Anche all’epoca, prendere posizione per l’una o l’altra band era una mossa politica. Da un lato i Blur, borghesi originari del Sud del paese, dall’altro gli Oasis, decisamente settentrionali e appartenenti alla working class: ascoltare una delle due non si fermava alla semplice musica e non ha ancora mai smesso di farlo. I fan degli Oasis venivano – e tutt’ora vengono – assimilati a trogloditi senza gusto, appassionati di una band ritenuta la brutta copia senza talento dei Beatles.
Come se non bastasse una simile equiparazione, nel tempo entrambi i fratelli hanno rilasciato dichiarazioni poco politicamente corrette, di certo non ignorate dai media e da chi non li ama, e perciò li odia. C’è da chiedersi se dietro a tutto questo accanimento non ci sia un’amara verità: chi critica il poco interesse nella politica o nell’autopromozione della band, sta in realtà criticando il fatto che i suoi frontman appartengano alla working class, ma a quella sbagliata: problematica e senza peli sulla lingua, quindi scomoda per chi vorrebbe poterla trattare dall’alto in basso. Quest’ultimo punto rappresenta peraltro uno dei motivi dello straordinario successo del gruppo: gli Oasis hanno rappresentato la working class che, nonostante gli errori, ce l’ha fatta; tutto questo senza rinnegare le proprie origini, senza sbattere l’acquisito benessere in faccia al proprio pubblico. Hanno condiviso con quest’ultimo la dura scalata al successo che parte da un passato di abusi domestici e arriva allo stadio di Wembley, passando per mezzo del dominio delle classifiche e conquistando i cuori delle nuove generazioni. Generazioni che, come tante altre precedenti, hanno reso veri e propri inni canzoni come Don’t Look Back in Anger o Wonderwall.