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    Il concetto di ergastolo e l’applicabilità delle aggravanti nel diritto penale

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    È del 3 dicembre la sentenza che ha condannato in primo grado all’ergastolo Filippo Turetta per il femminicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023 a Fossò, in provincia di Venezia. La sentenza della Corte d’assise di Venezia è stata letta nel pomeriggio dal presidente del Collegio, Stefano Manduzio, dopo cinque ore di camera di consiglio, senza l’ascolto di testimoni e senza ulteriori consulenze. Escluse le aggravanti della crudeltà e dello stalking, ma per conoscerne le motivazioni bisognerà attenderne il deposito che avverrà entro 90 giorni.  

    ERGASTOLO NON È CARCERE A VITA

    È bene ricordare però che l’ergastolo rappresenta l’extrema ratio detentiva secondo il legislatore, poiché il nostro ordinamento si fonda sulla funzione rieducativa e risocializzante della pena ed è per questa ragione che trova applicazione solo in caso di reati particolarmente gravi e sulla valutazione della speciale pericolosità sociale dell’autore che li ha commessi. 

    Nonostante l’ergastolo sia una pena detentiva perpetua questo non vuol dire che si tratti di una pena che dura per tutta la vita. L’ergastolano potrà essere ammesso, se ritenuto non pericoloso e dopo l’espiazione di almeno dieci anni di pena, ai permessi premio, nonché, dopo vent’anni, alla semilibertà e dopo ventisei anni alla liberazione condizionale. Tale limite può essere ulteriormente abbassato a ventuno anni se il detenuto ha tenuto una buona condotta, grazie all’istituto della liberazione anticipata

    Dopo aver ottenuto la liberazione condizionale, l’ergastolano è sottoposto per cinque anni ad un regime di libertà vigilata, con prescrizioni e obblighi da rispettare. Se la sua condotta rimane buona, al termine di questo periodo la pena è considerata definitivamente estinta e l’ergastolano torna ad essere un cittadino libero. I 26 anni saranno calcolati da quando il soggetto ha iniziato a scontare l’ergastolo, a nulla rilevando la pena eventualmente espiata per altri delitti commessi antecedentemente al delitto per cui è stato condannato all’ergastolo. Pertanto nonostante si sia sempre parlato della pena in esame quale “pena perpetua” in realtà i benefici suddetti ne mitigano la durata. L’ergastolo è una pena prevista solo per alcuni reati considerati particolarmente gravi.

    Ne sono un esempio l’omicidio aggravato dalla premeditazione; l’attentato al Presidente della Repubblica; il sequestro di persona a scopo di estorsione da cui discende la morte del sequestrato; infine la violenza sessuale o lo stalking da cui discende la morte della vittima. I condannati all’ergastolo sono destinati a scontare la pena presso specifiche Case Circondariali ma, a differenza di quanto avviene nel caso dell’ergastolo ostativo e del 41 bis, possono godere di alcuni tipi di benefici. Si tratta di misure alternative alla detenzione, ovvero l’affidamento in prova, la semilibertà e la liberazione anticipata, di cui è possibile godere dopo 26 anni e solo in presenza di determinati requisiti. In ossequio all’art. 27 Cost., le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” e per questo motivo devono tendere alla rieducazione e al reinserimento del reo nella società.  

    Attualmente,  l’ergastolo permette al condannato di poter godere di alcuni mutamenti detentivi che risultino essere meno afflittivi se dimostri il ravvedimento e la resipiscenza della propria condotta. Il riconoscimento dei propri errori sorretto da una retta condotta del detenuto testimonia il successo della finalità rieducativa della pena. Proprio in quest’ottica si instaura la celebre pronuncia della Corte Costituzionale, sentenza 27 settembre 1983, n. 274 che ha riconosciuto l’importanza della finalità rieducativa e risocializzante della pena anche ai condannati all’ergastolo e, per questa ragione, costituzionalmente ingiustificata la loro esclusione da eventuali trattamenti mitigatori della pena. 

    REATI PER I QUALI È PREVISTO L’ERGASTOLO 

    Parliamo di casi riconducibili a fattispecie di omicidio aggravato (art. 575-577 c.p.) commesso per eseguire od occultare altro reato; per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato; commesso per motivi abietti o futili; adoperando sevizie o con crudeltà verso le persone; nei casi di omicidio premeditato; commesso da colui che fa parte di un’associazione per delinquere, sempre per sottrarsi all’arresto, alla cattura o alla carcerazione; commesso in occasione di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, pornografia minorile, prostituzione minorile, oppure commesso contro l’ascendente o il discendente, anche per effetto di adozione di minorenne, contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l’altra parte dell’unione civile o contro la persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva

    Prima dell’avvento della Legge 12 aprile 2019, n. 33, ovvero il provvedimento che ha reso inapplicabile il rito abbreviato ai reati puniti con l’ergastolo, veniva previsto che, ai sensi dell’articolo 442 c.p.p., potesse essere richiesta la commutazione della pena perpetua dell’ergastolo con la pena della reclusione pari a 30 anni. Con la recente riforma, tuttavia, è stata eliminata tale possibilità, per cui non è possibile chiedere il giudizio abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo.

    LA CONDANNA A PIÙ ERGASTOLI 

    Ciò è possibile ma non all’interno dello stesso processo. Secondo la legge italiana, al colpevole di più delitti, per ciascuno dei quali è previsto l’ergastolo, si applica la detta pena con l’isolamento diurno da sei mesi a tre anni. È invece possibile condannare una persona a più ergastoli, ma in separati processi

    L’autore di più reati per i quali sia prevista la pena dell’ergastolo, se giudicato per tutti nello stesso processo, non può essere condannato a “più ergastoli”. In questo caso ne viene comminato soltanto uno, ma sono possibili forme più rigide di condizioni, come ad esempio l’isolamento diurno da 6 mesi a 3 anni. 

    L’AGGRAVANTE DELLA CRUDELTÀ 

     Il fondamento dell’aggravante di aver agito con crudeltà è ravvisabile in una maggior meritevolezza di pena lì dove le circostanze concrete dell’azione consentano di identificare un effettivo superamento della “normalità causale” determinante l’evento, con volontà di infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive rispetto a quelle “ricomprese” nella ordinaria incriminazione del fatto tipico. Ciò perché il sistema penale non consente di considerare punibile più di una volta (anche sotto il profilo circostanziale) la medesima condotta causativa dell’evento preso di mira e tipizzato dalla norma incriminatrice (divieto del ne bis in idem sostanziale come corollario del più generale principio di tassatività e determinatezza delle incriminazioni.) 

    Motivo per cui non vi è, da parte della giurisprudenza la fissazione di un preciso limite “numerico” dei colpi inferti, oltrepassato il quale l’omicidio può dirsi aggravato dall’aver agito con crudeltà, essendo invece necessario l’esame delle modalità complessive dell’azione e del correlato elemento psicologico del reato posto in essere. Più specificamente – secondo i supremi giudici – nella sentenza n. 8613 del 24 febbraio 2015 l’aggravante della crudeltà sussiste quando, indipendentemente dal numero dei colpi inferti, si manifesta la volontà di infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive rispetto a quelle relative all’azione omicidiaria

    La Cassazione ha affermato che: “nel delitto di omicidio volontario, la mera reiterazione dei colpi inferti (anche con uso di arma bianca) non può determinare la sussistenza dell’aggravante dell’aver agito con crudeltà se tale azione non eccede i limiti connaturali rispetto all’evento preso di mira e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a sé stessa”. Nel caso di Giulia Cecchettin, i giudici potrebbero aver valutato che le ripetute coltellate inflitte da Turetta alla vittima fossero finalizzate solo all’omicidio della ragazza, con esclusione, dunque, dell’aggravante, dal momento che – ha osservato la Cassazione – non può stabilirsi “un preciso limite ‘numerico’ dei colpi inferti, oltrepassato il quale l’omicidio può dirsi aggravato dall’aver agito con crudeltà, essendo invece necessario l’esame delle modalità complessive dell’azione”.

    IL DELITTO DI STALKING 

    Riguardo allo stalking – giuridicamente conosciuto come “atti persecutori” (art 612-bis c.p.), esso si configura se le condotte persecutorie sono ripetute e provocano nella vittima uno stato permanente di ansia o di paura, tale da indurre la vittima stessa a modificare le proprie abitudini di vita.

    L’insieme degli elementi raccolti durante le indagini, potrebbero verosimilmente aver portato i giudici a ritenere insussistenti gli elementi costitutivi degli atti persecutori, con conseguente esclusione dell’aggravante. Il delitto di stalking è un reato di evento e non solo di condotta. Ne consegue che la condotta senza l’evento non è punibile. Gli atti persecutori si integrano quando le condotte moleste e le minacce reiterate sono tali da infondere nella vittima: un fondato timore per la propria incolumità, un perdurante e grave stato di ansia, e un cambiamento delle proprie abitudini di vita

    CONCLUSIONI

    In Italia nei primi sei mesi del 2024 sono state commesse oltre 2.900 violenze sessuali, in gran parte nei confronti di donne, e più di 8.500 atti persecutori. Sono state più di 23 mila le donne ascoltate nei centri della Rete nazionale antiviolenza. Oltre 32 mila le chiamate al numero 1522. In Italia quest’anno i femminicidi hanno appena toccato quota 100, come ci riportano i dati pubblicati dall’Osservatorio Diritti

    Gli ennesimi casi, la ‘solita’ storia che si ripete. Segno che lo stato, forse, per contrastare il fenomeno della violenza contro le donne non sta facendo abbastanza. Perché se è vero che questa passa attraverso la prevenzione, inasprire le pene non basta, potenziare le misure cautelari non basta, lavorare sulle conseguenze non è sufficiente. 

    Bisogna insegnare a ragazzi e ragazze cosa è violenza e cosa no, educare loro a riconoscerla, l’educazione al consenso è fondamentale, comprendere l’ importanza del rispetto è necessario in ogni relazione. Ed è necessario che ciò avvenga primariamente all’interno del principale sistema educativo di una persona, la famiglia. Educare alla sessualità e all’affettività significa promuovere la consapevolezza delle proprie emozioni per riconoscerle e imparare a gestirle, ma l’Italia in questo è indietro. 

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