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    Il popolo nascosto del nucleare italiano

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    La presentazione alla Camera di una proposta di legge popolare per la reintroduzione del nucleare nel mix energetico nazionale e il rapido raggiungimento delle oltre 72.000 firme richieste hanno mostrato che, nonostante i limiti dell’iniziativa, in Italia esiste un ‘popolo del nucleare’ composto da esponenti politici, accademici, giornalisti e divulgatori scientifici, ma anche e soprattutto giovani attivi sui social e con una provenienza geografica abbastanza definita. Tutti questi, più o meno esplicitamente, sostengono la reintroduzione dell’energia nucleare. 

    Nel presente articolo si mostrano dapprima alcuni tra i principali benefici di reintroduzione del nucleare in Italia, principalmente in termini di convenienza economica e impatto sui prezzi dell’energia, per poi passare ad esporre i principali problemi correlati al ritorno stesso. Infine, si presentano i risultati di una breve indagine svolta a partire dai dati del Ministero della Giustizia sui firmatari della proposta di legge, per cercare di scoprire qualcosa di più sul ‘popolo del nucleare’.

    Benefici economici del nucleare 

    Esistono numerosissimi studi che cercano di definire le strategie migliori per affrontare la transizione energetica ed arrivare alla neutralità carbonica: volendo restringere il campo ad alcuni dei lavori più autorevoli, essi sono concordi nell’affermare che il principale vantaggio della reintroduzione del nucleare sia la riduzione dei costi per imprese e consumatori, nonché la capacità di produrre energia elettrica in grandi quantità in modo continuativo, indipendente dalle condizioni atmosferiche e senza la necessità di immagazzinare l’energia prodotta. 

    Sarebbe questo il valore aggiunto del nucleare rispetto ad alcune fonti di energia rinnovabile con cicli di produzione intermittenti, sebbene queste ultime possano essere più competitive nel costo finale (a questo proposito, si consideri il caso in Europa dell’eolico onshore ed offshore rispetto al nucleare prodotto da nuovi impianti, o greenfield projects). 

    In particolare, il rapporto congiunto “Projected Costs of Generating Electricity 2020” dell’International Energy Agency (IEA) e della Nuclear Energy Agency (NEA) confronta i costi di generazione elettrica tra varie fonti (nucleare greenfield e brownfield, eolico onshore e offshore, solare con varie destinazioni, idroelettrico da riserve o da fiumi, biomasse e fonti fossili) a partire dai dati forniti da 243 impianti in 24 Paesi. In esso si osserva che il nucleare rappresenta una delle soluzioni più convenienti e affidabili perché, una volta ammortizzato l’investimento iniziale, presenta dei costi di gestione più bassi e produce energia continuamente, riducendo così il costo marginale. 

    Il rapporto evidenzia inoltre che, a parità di efficienza produttiva della centrale nucleare (capacity factor), sussiste un ulteriore e consistente vantaggio competitivo delle centrali, ossia una vita produttiva estesa di 10 e 20 anni (brownfield plants) proprio per la possibilità di ridurre l’investimento iniziale.

    Uno studio di Ernst & Young (EY) sul nucleare si concentra più nello specifico sulla filiera in Europa e sulle sue potenzialità di crescita in termini di prodotto e occupazione: in questa sede si afferma che la sua reintroduzione potrebbe portare ad un significativo aumento di domanda di posti di lavoro nell’ordine di 500.000 impieghi altamente qualificati nel settore, così come in settori altamente energivori per via dei minori costi dell’energia (manifattura, edilizia e trasporti), nonché in settori più innovativi. 

    Rispetto a quest’ultimo punto, potrebbero rientrare nella casistica summenzionata casi emersi recentemente, come quello dell’alimentazione dei data center per l’archiviazione dei dati in cloud e per lo sviluppo delle applicazioni di AI, che nello scorso anno hanno visto un notevole incremento degli investimenti in Italia.

    Si pone sulla stessa linea il più recente Rapporto Strategico 2024 elaborato dalla European House – Ambrosetti con Ansaldo Nucleare ed Edison che prevede una più moderata crescita dell’occupazione: 117.000 nuovi posti di lavoro tra addetti diretti nel settore, indiretti e indotti nel periodo 2030-35 e 2050, e un effetto totale sulla crescita del PIL di 45 miliardi. 

    Il nucleare può svolgere inoltre un ruolo chiave nella decarbonizzazione: l’ultimo report dell’IEA afferma che l’energia nucleare attualmente evita l’emissione di circa 1,5 gigatonnellate di CO₂ ogni anno, l’equivalente delle emissioni annuali di tutte le automobili circolanti negli Stati Uniti e in Europa messe insieme. 

    Considerati i dati di cui sopra, l’integrazione del nucleare nel mix energetico italiano potrebbe accelerare il raggiungimento degli obiettivi climatici previsti dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) e al tempo stesso ridurre la dipendenza dal gas naturale, attualmente responsabile di oltre il 40% della produzione elettrica nazionale, il cui prezzo contrattato sui mercati globali è soggetto a notevoli oscillazioni, causate per esempio dalla pandemia da Covid-19 e soprattutto dalla guerra in Ucraina. Per un’analisi accademica più approfondita delle varie implicazioni della reintroduzione del nucleare in Italia, si rimanda al seguente paper dell’Electric Journal.

    Alcune problematiche da considerare 

    Nonostante i potenziali benefici, esistono diverse criticità. La principale è legata ai già menzionati costi iniziali: il rapporto dell’OECD-NEA stima che il costo di costruzione di una nuova centrale nucleare di grande capacità (1.000 MW o superiore) vari tra 8 e 12 miliardi di euro, con tempi di realizzazione che possono superare i dieci anni. Non è sempre possibile, infatti, prolungare la vita utile di una centrale nucleare che, come visto, rappresenta l’opzione con un minore investimento iniziale. 

    A ciò si aggiunge la necessità di una gestione sicura delle scorie nucleari: a tal proposito riemerge la questione della realizzazione di un deposito nazionale unico per le scorie radioattive da parte del Governo, intervento richiesto dalla direttiva europea 2011/70 dell’EURATOM. Anche nel caso in cui il nucleare non venisse reintrodotto in Italia, questa costituisce un tassello fondamentale, poiché rimanda ad un’annosa questione irrisolta per via dell’opposizione delle comunità dei territori selezionati negli anni. L’opposizione ha origine dalla diffusa paura delle contaminazioni e dalla mancanza di fiducia verso i governi che, da parte loro, non sono stati sempre trasparenti, mancando sovente di coinvolgere gli enti locali nell’iter decisionale e di svolgere adeguate campagne di informazione sui reali rischi e opportunità di ospitare il deposito.

    Per avere una visione più completa sui principali argomenti a favore dell’energia nucleare e su quelli contrari, si rimanda al paper della Fondazione per lo studio del clima Friedrich Ebert.

    Profilo dei firmatari della proposta

    Alla luce di quanto detto sul probabile impatto della reintroduzione del nucleare in Italia e sulle criticità, la proposta di legge popolare rappresenta un tentativo di portare al centro del dibattito politico l’importanza del nucleare nella transizione energetica e nel rilancio della competitività. A partire dai dati disponibili sul sito del Ministero della Giustizia su età, genere e provenienza regionale dei firmatari – attestati a 72.613 al 13 gennaio 2025 – possiamo dedurre delle considerazioni interessanti sul loro profilo. 

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    Dai dati risulta evidente che l’iniziativa ha coinvolto principalmente giovani uomini nelle fasce d’età comprese tra 18 e 42 anni. Il campione raggiunto in termini anagrafici, a ben guardare, non sorprende, considerando che la campagna si è diffusa principalmente sui social anche grazie all’intervento dei divulgatori presenti nel comitato di promozione (in primis Nucleare e Ragione e l’Avvocato dell’Atomo). D’altro canto, sebbene fosse prevedibile una maggior adesione da parte dei giovani . i firmatari fino a 32 anni costituiscono il 64% del totale, fino a 42 anni l’82% – è invece più sorprendente la presenza di un divario di genere. 

    A graph of different colored lines

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    Da esso si deduce che i giovani uomini siano probabilmente gli utenti social che più seguono gli account di divulgazione scientifica attivi in merito, nonché quelli più attivi nel partecipare ad iniziative simili. 

    Al di là dei dati, potrebbe però esserci un bias sottostante, invisibile ai più: quest’ultimo potrebbe essere di natura ideologica o di interesse personale, oppure semplicemente legato alla maggiore partecipazione da parte dei giovani uomini ad alcuni network informali instaurati in virtù della facoltà universitaria frequentata e degli ambienti di lavoro; in entrambi i casi, infatti, l’attenzione al tema sarebbe maggiore, nonché diffusa tramite peer effect. 

    Di fatto, la differenza nella partecipazione tra uomini e donne è massima nella fascia 38-42 anni (89%), mentre si assesta tra il 84-85% nelle fasce d’età di maggiore partecipazione. Il minimo (72%) si ha invece nella fascia 58-62 anni, che registra però minori firmatari in valori assoluti.

    Per quanto riguarda la provenienza geografica, il numero dei firmatari rapportato alla popolazione regionale (calcolato a partire dai dati dell’ Osservatorio Demos Piemonte) mostra che c’è stata una maggiore mobilitazione nelle regioni settentrionali, in primis Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Piemonte, seguite dalle regioni centrali e infine dalle regioni meridionali e dalle isole, ove vi sono partecipazioni più basse.

    Per avere una visione più chiara del peso della mobilitazione relativa in ogni regione, si confronta il peso % dei firmatari di ogni regione rispetto ai firmatari totali con il peso % della popolazione regionale rispetto a quella nazionale ( Firmatari nella regione X su Totale dei firmatari Italia meno Popolazione della regione X su Popolazione totale Italia ): i valori più elevati evidenziano una rappresentazione maggiore della regione rispetto alla sua popolazione.

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    Il resto dell’analisi confronta la percentuale delle donne firmatarie per ogni regione con i dati sulla mobilitazione: da ciò si comprende che la partecipazione femminile sia stata minore, concentrata nelle stesse fasce d’età dei coetanei, nonché originata dalle stesse dinamiche sottostanti la partecipazione maschile, con l’eccezione di Sardegna, Basilicata e Piemonte dove invece risulta una maggiore mobilitazione relativa delle firmatarie. 

    Conclusione

    La reintroduzione del nucleare è un tema tornato al centro del dibattito pubblico principalmente per il suo ruolo potenzialmente decisivo nella transizione energetica e nel rilancio della competitività data la sua capacità di produrre energia in modo conveniente, stimolando così la crescita di altri settori economici, sia più tradizionali che innovativi. 

    Le effettive possibilità di sviluppo del nucleare in un paese devono essere studiate nel dettaglio e in riferimento al caso specifico, in modo tale da verificare con maggiore precisione le specifiche potenzialità (come evidenziato dal rapporto IEA-NEA) tenendo conto delle possibili sinergie che si possono creare con le fonti energetiche rinnovabili.

    La proposta di legge popolare sulla reintroduzione del nucleare mostra come esista in Italia un certo sostegno al nucleare stesso diffuso principalmente tra giovani uomini, specialmente studenti e giovani lavoratori che vivono nel Nord del paese. Quest’ultimo si è diffuso e rafforzato principalmente attraverso i social e altre reti informali. 

    Questa analisi intende, seppur modestamente, far avvicinare al tema tutti coloro che solitamente ne sono meno coinvolti, così da poter trasversalmente coinvolgere in futuro una maggiore fetta di popolazione. 

    A cura di

    Riccardo Gori – Consensus Rivista

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