Dal 5 marzo, per viaggiare nel Regno Unito, i cittadini europei possono richiedere l’ETA, l’Electronic Travel Authorization, obbligatorio dal 2 aprile prossimo.
Introdotto a novembre 2024 per Bahrain, Giordania, Kuwait, Oman, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, l’utilizzo dell’ETA è stato ampliato a inizio gennaio ad altri paesi non-europei come Stati Uniti, Canada e Australia, permettendo a circa un milione di visitatori di raggiungere la Gran Bretagna più agevolmente, almeno per quanto concerne i viaggi brevi.
Come funziona?
L’ETA sostituisce l’EVW (Electronic Visa Waiver), utilizzabile una sola volta, garantendo costi minori e maggiore flessibilità ai richiedenti. L’ETA non è un visto, quindi ufficialmente non permette l’ingresso nel Paese, ma autorizza un individuo ad effettuare il viaggio per arrivarvi. Servirà a persone di paesi come l’Italia, che fino allo scorso anno non avevano bisogno di visti per entrare in Gran Bretagna, mentre i cittadini di stati non visa-free entry hanno ancora la necessità di richiedere un visto.
Si può richiedere attraverso un’app, o per mezzo del sito governativo se non si ha uno smartphone, e la risposta è praticamente quasi sempre immediata (ma il Governo britannico consiglia di fare la richiesta almeno tre giorni prima di partire).
Il costo dell’ETA è di 10£, attualmente circa 12€, ma il Governo britannico vorrebbe aumentarlo a 16£. Permette di viaggiare per la durata complessiva di sei mesi nel corso di due anni, o fino allo scadere del passaporto del richiedente se la scadenza arriva prima, rendendo quindi possibili viaggi brevi e frequenti.
Per attivare l’ETA sono richieste informazioni biografiche e biometriche, e alla conclusione del procedimento di attivazione l’ETA è collegato digitalmente al passaporto del viaggiatore.
La politica alla base della misura
L’introduzione dell’autorizzazione elettronica si inserisce all’interno del piano di digitalizzazione delle frontiere – già iniziato in Finlandia nel 2023 – negli aeroporti britannici, programmato per concludersi nel 2025, con l’obiettivo di ridurre le file ai controlli.
In merito alla misura, la ministra per l’Immigrazione Seema Malhotra ha dichiarato che la sicurezza delle frontiere è alla base del Piano di Cambiamento (Plan for Change) dell’attuale Governo, e che la digitalizzazione del sistema migratorio è solo il primo tassello per una frontiera britannica “contactless”, che in futuro assicurerà ai visitatori un’esperienza di viaggio liscia come l’olio. Continua poi dicendo che l’espansione dell’ETA cementifica l’impegno del Governo al miglioramento della sicurezza attraverso la tecnologia e l’innovazione.
L’ETA non è ovviamente richiesto per:
- cittadini britannici e irlandesi;
- persone già dotate di visti o permessi per vivere, lavorare o studiare nel Regno Unito;
- coloro che viaggiano con passaporti di territori oltremare britannici, o residenti in Irlanda, Guernsey, Jersey o l’Isola di Man.
L’estensione dell’applicazione dell’ETA ai paesi dell’Unione europea è avvenuta in risposta alla politica comunitaria che permette ai cittadini britannici di viaggiare nel continente fino a 90 giorni in un periodo di 180 giorni.
Com’è cambiata l’immigrazione dopo la Brexit?
Politiche come quella dell’ETA sono necessarie nei confronti dei cittadini comunitari solo da quando il Regno Unito ha lasciato l’Unione europea dopo il voto del 2016: dal primo gennaio 2021 è infatti terminata la libera circolazione tra i paesi membri e la Gran Bretagna. La migrazione netta (ovvero la differenza tra le persone che arrivano e quelle che lasciano un luogo) nel 2024 ha subito un calo del 20% rispetto ai numeri dell’anno precedente, raggiungendo le 782 mila persone nel giugno 2024.
Il 4% era composto da cittadini britannici, il 10% da cittadini europei o norvegesi, islandesi, svizzeri e del Liechtenstein, e il restante 86% era costituito di individui provenienti da territori non facenti parte dell’Unione europea. Si tratta soprattutto di persone in età lavorativa, e solo una piccolissima fetta è composta da richiedenti asilo, arrivati regolarmente o meno (circa l’8% del totale). Nel 2024 sono stati 400mila i visti emessi per ragioni di studio (14% in meno dell’anno prima).
Tra il 2023 e il 2024, i cittadini europei che hanno abbandonato la Gran Bretagna sono stati 95mila in più rispetto a quelli che vi sono approdati, e vi sono stati più cittadini britannici che hanno lasciato il Paese (21 mila) di quelli che vi sono tornati.
Un grande problema legato ai visti…
Tra i britannici che tornano in patria ce ne sono molti che si ritrovano in una brutta situazione. Le persone che hanno partner stranieri (e dal 2016 anche cittadini europei) hanno descritto come i costi dei visti e le regole post-Brexit rendono praticamente impossibile vivere insieme nel Regno Unito. I cittadini britannici, o chi è legalmente residente in Gran Bretagna, devono guadagnare almeno 29mila sterline all’anno o avere 88,5mila sterline da parte in banca se vogliono poter portare il loro partner non britannico nel Paese.
Quindi innamorarsi fuori dal Regno Unito è un affare solo per ricchi. A conferma di ciò nel 2020 il Regno Unito si era classificato penultimo tra 56 nazioni per quanto concerne la facilità di rincongiungimento familiare, secondo il Migrant Integration Policy Index, superando solo la Danimarca (l’Italia era diciassettesima).
Alle richieste salariali e di risparmio bisogna aggiungere che costa circa 11mila sterline richiedere e rinnovare un visto matrimoniale. La cifra, che include una tassa di accesso al sistema sanitario nazionale, sale di quasi duemila sterline per ogni figlio della coppia. Inoltre i soggetti che vivono nel Paese con un visto matrimoniale non possono accedere ai benefit statali o usufruire dei contributi previdenziali nazionali obbligatoriamente versati.
Ci sono poi gli studenti e i giovani lavoratori…
Ad oggi per ottenere un visto lavorativo per il Regno Unito un giovane europeo deve avere un’offerta di lavoro da un datore britannico registrato presso l’Home Office, dimostrare competenze richieste nel mercato britannico, raggiungere uno stipendio di 26,2mila sterline annue, superare un test di lingua inglese e pagare sia le spese per il visto che un contributo aggiuntivo per il sistema sanitario nazionale (624£ all’anno). Tutto ciò esclude dall’equazione soprattutto settori come la ristorazione, il turismo e l’agricoltura.
Per iscriversi invece a un’università britannica, gli studenti comunitari devono ottenere un visto studentesco, che prevede come requisito quello di essere stati ammessi a un’università britannica riconosciuta, di dimostrare di avere fondi sufficienti al proprio mantenimento (che a Londra sono calcolati come un migliaio di sterline al mese), di pagare, come per i lavoratori, sia il visto sia il contributo all’NHS, nonché di dimostrare un livello medio-alto di conoscenza dell’inglese.
C’è poi però da calcolare che le tasse universitarie per gli studenti europei cresceranno nei prossimi anni. Infatti, se prima si pagavano le stesse tasse onerose dei cittadini britannici (tra le 9 e le 11 mila sterline annue), dal 2028 le rette degli studenti comunitari si allineeranno con quelle degli studenti internazionali, arrivando anche a toccare le 38 mila sterline per alcuni corsi.
Un passo in avanti di Keir Starmer
Una notizia di poche settimane fa vedrebbe il Primo Ministro Keir Starmer nel mezzo della valutazione di un accordo di mobilità giovanile con l’Unione europea, sulla scocca di quello che il Regno Unito intrattiene già con paesi come Australia, Nuova Zelanda e Canada.
Ciò permetterebbe l’accesso di giovani studenti e lavoratori under 30, e la possibilità per loro di lavorare anche in settori non attualmente approvati dal Home Office, donando loro un permesso di soggiorno di due anni, rinnovabile. Questo è solo uno dei segnali di una lieve riapertura attuati dall’attuale amministrazione.
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