L’America di Trump ha ufficialmente attaccato l’Iran bombardando i suoi tre siti nucleari: Natanz, Esfahan e Fordow. La notizia è stata confermata direttamente dal presidente americano, che in un discorso pubblico ha celebrato l’attacco definendolo come un grande successo per l’esercito americano.
È una risposta alle continue tensioni nell’area e alle azioni di Teheran considerate provocatorie da Washington. L’attacco, ancora in corso di valutazione per estensione e danni, rappresenta un’escalation significativa che dimostra la determinazione statunitense nel voler contenere il programma nucleare iraniano e nell’inviare un messaggio forte e chiaro al regime: la resa incondizionata e la pace. La risposta iraniana ora è attesa ed allo stesso tempo temuta dalle potenze mondiali che non vogliono essere coinvolte e toccate in questo teatro di guerra.
Natanz: il bersaglio simbolo
Il sito di Natanz, cuore del programma di arricchimento dell’uranio iraniano, è stato colpito in modo mirato. Nato come centro principale di arricchimento, Natanz è da anni al centro dei dossier dell’AIEA, dei negoziati internazionali sul nucleare e delle preoccupazioni per quanto riguarda la proliferazione. Le infrastrutture sono state danneggiate irreparabilmente, sebbene finora il governo di Teheran ha mantenuto il silenzio. L’attacco chirurgico sembra volto a ritardare il più possibile la produzione di uranio arricchito, senza però provocare la dispersione di scorie radioattive. Si segue la logica, già adottata in passato da Israele e Stati Uniti, di attacchi dissuasivi: colpire oggi per impedire un’escalation domani. L’idea di Trump è di lasciare ora lo spazio alla diplomazia internazionale prima che si arrivi ad un punto di non ritorno.
Esfahan e Fordow: centri strategici
Anche Esfahan, città industriale e centro per la produzione di combustibile nucleare, è stata attaccata nella notte. Gli impianti nella periferia della città sono considerati essenziali per la produzione di componenti legati all’arsenale missilistico dell’Iran. Il danneggiamento di queste infrastrutture punta a colpire le fondamenta tecnologiche del programma nucleare, rendendo sempre più difficile il suo sviluppo e più costosa la sua ricostruzione.
Fordow, altro sito chiave per il regime, è un centro sotterraneo fortificato in modo tale da resistere agli attacchi convenzionali. In questo caso l’attacco non sarebbe avvenuto solo attraverso i bombardamenti dei B-2, ma anche con attacchi informatici, già utilizzati in passato, e interferenze elettroniche. L’impiego di queste tattiche è simbolo di un’evoluzione della guerra per come la conosciamo, la dottrina militare americana ci ha mostrato che nell’epoca odierna si combatte tanto nei cieli quanto nelle reti digitali, tra blackout, sabotaggi e blocchi operativi.
Le prime reazioni: diplomazia, alleanze e propaganda
Nel giro di poche ore sono arrivate le reazioni delle potenze internazionali. La Cina ha criticato l’uso della forza, condannando attraverso il suo ministro degli Esteri l’attacco sferrato dagli Stati Uniti e ha chiesto la moderazione al più presto possibile, sottolineando i rischi della destabilizzazione del Golfo. Pechino teme ricadute sui propri interessi energetici e mira a proporsi come attore di equilibrio e mediazione. Forte e decisa invece la Corea del Nord, che ha definito l’attacco “una palese aggressione imperialista” e ha offerto sostegno politico all’Iran.
Pyongyang, in piena fase di rilancio del proprio programma missilistico, sfrutta la crisi per rinsaldare l’asse con Teheran e per legittimare la propria dottrina nucleare difensiva. Anche la Russia ha espresso grave preoccupazione, condannando fermamente l’attacco, che secondo il ministro degli Esteri russo può minare ulteriormente la situazione regionale e globale in corso .
In parallelo, l’AIEA ha chiesto accesso immediato ai siti colpiti e ha confermato, almeno per ora, l’assenza di aumenti nei livelli di radiazione. Ma il timore è che l’Iran possa sospendere la cooperazione con l’Agenzia, come già accaduto in passato in risposta a pressioni esterne.
L’Europa resta in allerta
L’impatto dell’attacco non è limitato al Medio Oriente. In Europa, in particolare in Italia, Francia e Germania, i servizi di intelligence hanno alzato il livello di allerta, temendo possibili ritorsioni ibride da parte dell’Iran o di gruppi alleati. Si temono soprattutto attacchi informatici contro infrastrutture critiche, campagne di disinformazione mirate, tentativi di destabilizzazione sociale e azioni di sabotaggio. In ambienti riservati, si parla anche del rischio di attivazione di cellule dormienti, in particolare nelle grandi città europee.
Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha invitato alla “massima prudenza” e ha auspicato un “coordinamento europeo per gestire una crisi che non può essere affrontata in ordine sparso”. Nel frattempo, le cancellerie europee si interrogano sulle intenzioni di Trump e sulle possibili conseguenze di una politica estera sempre più imprevedibile. La domanda che molti si pongono è se questo attacco segni l’inizio di una nuova fase di confronto frontale, o se resterà un colpo isolato a scopo dimostrativo.
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