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    Italiani d’Europa: focus sulla cittadinanza europea

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    Tanto importanti quanto interessanti, le ormai concluse elezioni europee hanno segnato una data fondamentale nel nostro calendario politico. L’appassionata campagna elettorale, abitata da idee e visioni antitetiche, sembra averci chiesto di prendere posizione sulla misura del nostro essere europei. Più o meno Europa?

    Seguendo questa linea di ragionamento, ci sembra opportuno approfondire gli esiti ai quali è pervenuto il processo di integrazione comunitaria. Tra questi, in particolare, uno status giuridico che riguarda ognuno di noi: la cittadinanza europea.

    COS’È LA CITTADINANZA?

    Questione preliminare da affrontare, prima di passare al tema principale, è la definizione della cittadinanza. Si tratta di una posizione giuridica complessa, composta da situazioni soggettive attive, i diritti, e passive, i doveri. Nel nostro ordinamento nazionale essa è attribuita a chiunque sia nato da almeno un genitore italiano, indipendentemente dal fatto che la nascita sia avvenuta sul suolo della Repubblica; è un criterio basato sul jus sanguinis. Storica terra di emigrazione, l’Italia ha voluto mantenere un legame giuridico con coloro che lasciavano il Paese alla ricerca di fortuna e di migliori opportunità.

    Importante, poi, è non confondere la cittadinanza con la nazionalità. La prima, come già messo in evidenza, è uno concetto giuridico; la seconda, invece, un dato etnico, culturale, storico e linguistico. Ci accorgiamo di come la nostra Repubblica li abbia voluti scindere introducendo la categoria dei cosiddetti italiani non appartenenti alla Repubblica’. Questi ultimi non detengono lo status giuridico di cittadini italiani – e, come vedremo, ‘europei’- ma, sulla base di quanto dispone l’articolo 51 della nostra Costituzione, è possibile che la legge li parifichi ai cittadini per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive. Certamente, però, ciò comporta non poche difficoltà dal punto di vista pratico. Ma non è questa la sede più opportuna per proseguire tale discorso.

    L’EUROPA DI MAASTRICHT

    Nel 1992 – anno di profondi e incisivi cambiamenti nel panorama italiano – uno dei motivi di novità fu, tra gli altri, la riforma dell’ordinamento comunitario.

    Con il Trattato di Maastricht, infatti, nasce la Comunità Europa e tutti i cittadini dei Paesi membri ne acquistano la cittadinanza. Come diretta ed ovvia conseguenza, volenti o nolenti, tutti noi siamo già ‘europei’ e sembra abbastanza improbabile che tale dato possa mutare all’indomani del rinnovo degli organi elettivi dell’UE. Occorre, a scanso di equivoci, però, precisare che i due status di cittadinanza dei quali godiamo non sono in un rapporto gerarchico – nel quale l’uno è subordinato all’altro – ma poggiano sullo stesso piano, vivendo di una stringente complementarità. Quanto appena detto può, in definitiva, tranquillizzare coloro che non desiderano calpestata la nostra identità italiana.

    Ma cosa comporta la cittadinanza europea?

    LA CITTADINANZA EUROPEA

    Una conseguenza tangibile la ritroviamo nei nostri documenti. Abbiamo, infatti, un passaporto che presenta la dicitura: ‘Unione Europea. Repubblica Italiana’. Al di là del dato materiale, comunque, essa comporta la libertà di circolazione su tutto il territorio dell’Unione e diritti di tipo politico particolarmente interessanti in questo momento. Un ‘europeo’ non italiano che risiede nel nostro territorio, infatti, gode dei diritti elettorali attivi e passivi per le elezioni comunali. Sulla base del solo dato della costante presenza, quindi, egli è considerato parte integrante della comunità locale cui appartiene e, per tale motivo, legittimato ad essere determinante nell’amministrazione. Oltre ad esprimere il voto, può anche essere eletto alla carica di consigliere comunale e finanche diventare assessore. Gli è precluso, però, di poter diventare sindaco o vicesindaco. La ratio del divieto è chiara e condivisibile: ruoli connessi all’esercizio di funzioni imperative di pubblico interesse sono riservati agli italiani. A corroborare tale logica, infatti, esistono le disposizioni sul pubblico impiego, in forza delle quali alcuni rapporti di lavoro non possono essere costituiti con soggetti non italiani. Dunque, a mero scopo esemplificativo, un ‘europeo’ francese potrebbe diventare insegnante, ma non magistrato, in quanto quest’ultimo è preposto alla cura di interessi massimamente importanti nel nostro ordinamento.

    Altri diritti politici, poi, riguardano proprio le elezioni europee. È ben possibile, infatti, che un italiano si candidi in una circoscrizione di un altro Stato membro o che un cittadino di un altro Stato membro si candidi in una circoscrizione italiana. Certo è che non potrà esprimere un voto per sé stesso.

    CONCLUSIONI

    In questo breve approfondimento abbiamo avuto, dunque, la possibilità di notare che, ad oggi, non possiamo prescindere dal ragionare in una logica europea. Ferventi sostenitori o convinti detrattori, l’UE determina e continuerà a determinare la nostra politica, la nostra storia e, di conseguenza, la nostra identità. Già il dato della cittadinanza è icastico: l’UE siamo noi. Tenendo a mente questa situazione, fotografia dell’oggi, possiamo pensare al domani europeo che più desideriamo. Le proposte non sono mancate e non mancano, ma, non volendo esprimere in questa sede un giudizio che potrebbe riverberarsi in una presa di posizione politica o in un commento sui risultati elettorali, lasciamo il lettore alle sue valutazioni.

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