Non è un mistero come il governo Meloni voglia fare dell’Italia una potenza chiave nel quadrante mediterraneo. Infatti, è dalle elezioni del 2022 che sentiamo risuonare le parole “Piano Mattei” sui giornali e sui canali di comunicazione legati al principale partito di governo. Nonostante non si sia ancora ben capito di cosa si tratti, dato che per stesso volere del Presidente del Consiglio si parla di tale piano in contesti del tutto diversi tra loro come quello delle migrazioni o delle energie fossili, un tassello fondamentale di questo progetto potrebbe essere il rapporto con la Libia.
È dai tempi di Berlusconi che l’Italia ha perso il ruolo di protagonista nell’ex patria di Gheddafi, con addirittura il mancato sostegno del tentato raid americano al dittatore. Da quando il paese del Nord Africa è stato diviso, con sfere d’influenza turche e russe, il nostro paese viene menzionato unicamente per missioni umanitarie. Peggio ancora quando sono i nostri politici a parlarne, usata come rafforzativo di una propaganda pro o contro immigrazione.
Indipendentemente dai piani di politica estera del nostro esecutivo, si farebbe bene ad osservare attentamente il nostro vicino d’oltremare, questo perché il decennale stallo in cui versano Tripoli e Benghazi sembra stia terminando.
Tra politici e militari regnano i banchieri
Attualmente, semplificando molto, potremmo dividere la Libia in due parti: l’ovest, la Tripolitania, in mano al governo riconosciuto dall’ONU di Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh; e l’est, la Cirenaica, in cui si trova la Camera dei Rappresentanti, il parlamento auto esiliatosi a Tobruk. La realtà dei fatti però, è molto più complessa di così. Infatti, in Cirenaica fa da padrona la famiglia Haftar,che ha il controllo dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) – che a dispetto del nome si tratta di una milizia privata. A fare da mediatore tra le due parti sono sempre state tutte quelle compagnie, statali e private, che hanno un interesse concreto, come quello delle concessioni dei pozzi petroliferi. Ma il vero re della Libia oggi sembra essere Sadik Al-Kabir, governatore della Banca Centrale Libica (CBL), colui che destina i proventi del petrolio all’azione dei due governi paralleli.
A fare da contorno a tutto ciò ci sono gli interessi delle potenze straniere. Riducendo ai minimi termini, possiamo affermare che mentre il mondo occidentale e i suoi alleati sostengono Tripoli, con una particolare presenza militare turca che impedisce al generale Haftar di impossessarsi dell’intero paese, l’est trova i favori della Russia di Putin.
Lo stallo politico e militare che durava ormai da anni sembra aver trovato fine, per due casi specifici: lo spostamento dell’asse “neutrale” di Al-Kabir verso Benghazi, la capitale de-facto della Libia di Haftar; e un generale movimento di truppe dalla Cirenaica al confine occidentale con l’Algeria. Mentre il secondo avvenimento ha trovato una conclusione tutto sommato pacifica, soprattutto per gli interessi di Mosca nei confronti tanto della Cirenaica quanto dell’Algeria, il primo assomiglia spaventosamente all’inizio di un’ostilità che difficilmente troverà pace.
È da anni che Al-Kabir sta spostando lentamente i suoi interessi verso Benghazi. Le motivazioni sono numerose ma le due più probabili sono strettamente collegate. Infatti, c’è la possibilità che Al-Kabir si sia stancato delle eccessive spese di Tripoli e che, contestualmente, avesse paura di essere sostituito (ricordiamo che è in carica dalla caduta di Gheddafi) nell’ottica di un accentramento di potere nelle mani di Dbeibeh.
Ciò ha significato una sostanziale rottura con l’ovest che ha portato, per mano del Consiglio Presidenziale (il triumvirato che momentaneamente svolge le funzioni di capo di stato), al licenziamento del governatore. Decisione che Al-Kabir ha deciso di respingere affermando che si trova sotto la giurisdizione del nuovo governo di Benghazi, il ramo politico che serve gli Haftar.
L’ingerenza cinese
Sembra che il numero di attori coinvolti nella questione libica sia in continua crescita, dimostrato dal sequestro, lo scorso 18 giugno, di componenti per due droni militari di fabbricazione cinese operato dai finanzieri di Gioia Tauro e diretti verso la Cirenaica. Sembra che i droni fossero camuffati come materiali per pale eoliche, il tutto in sei container diversi. I velivoli a guida autonoma che sembrano essere degli Wing Loong II, una volta assemblati, hanno un peso di oltre 3 tonnellate per una lunghezza di oltre dieci metri ed una apertura alare di circa venti metri.
L’intromissione di Pechino potrebbe di certo significare che il paese orientale ha dei concreti interessi nel sostenere e influenzare la Libia di Haftar. Oppure, ipotesi molto più interessante, potrebbe star sfruttando la condizione di generale sofferenza dell’alleato russo per poter prendere in mano i suoi affari.
Cosa può fare l’Italia?
Abbiamo già visto come la Russia, da poco raggiunta anche da Pechino, faccia da padrona nell’est. Ovviamente, non è difficile capire come a Mosca risultasse scomoda la vecchia posizione di Al-Kabir, quella di soggetto neutrale ma molto potente. Secondo molti analisti però, il vero ruolo di antagonista della pace in Libia sarebbe del capo dell’esecutivo Dbeibah. D’altronde, abbiamo già visto come la situazione di stallo che aveva assicurato un cessate il fuoco generale sia stata smossa da Tripoli. In realtà, il governo di Dbeibah sarebbe dovuto terminare anni fa a seguito di elezioni democratiche, le quali non essendo mai state indette gli hanno assicurato un mandato virtualmente perpetuo.
Secondo Karim Mezran, direttore della North Africa Initiative delle Rafik Hariri Center & Middle East Programs dell’Atlantic Council, Roma potrebbe assicurarsi un ruolo di primo piano dialogando con la Turchia per l’indizione di nuove elezioni. In questo modo Dbeibah sarebbe costretto a lasciare il posto a un nuovo capo del governo che, con un po’ di abilità e fortuna, riporterebbe la CBL in una posizione di neutralità. In questo modo ci sarebbe il triplo vantaggio di dare voce al popolo libico che ormai da troppo tempo non ha possibilità di esprimersi, togliere numerosi fondi ad Haftar per assicurare un equilibrio tra est e ovest, scalzare l’influenza russa (e cinese) in Libia. Un’attività che troverebbe il benestare di Washington, di certo più favorevole a un’influenza italiana e NATO a quella cinese e russa, e comprovata dal fatto che a suggerire ai finanzieri di perquisire quei container furono proprio i servizi segreti a stelle e strisce.