Un’isola dimenticata agli occhi del mondo si è svegliata, nel cuore dell’Oceano Indiano, sotto un nuovo ordine. Il Madagascar, già teatro di instabilità ciclica, ha vissuto in questi giorni un passaggio di potere tanto repentino quanto ambiguo: un passaggio di natura militare, formalmente negato ma percepito da molti osservatori internazionali come un vero e proprio colpo di Stato sotto la regia del colonnello Michael Randrianirina.
Mentre i media si interrogano sul ruolo della cosiddetta “rivolta Gen Z”, l’esercito sta raccogliendo i frutti di una transizione sbocciata tra incertezze, proclamando una nuova presidenza in nome della “stabilità”.
Rivolta generazionale o regia silenziosa?
Tutto è iniziato con una mobilitazione spontanea, guidata da giovani studenti, disoccupati, lavoratori precari e universitari. Una “rivolta Gen Z” come l’ha definita la stampa internazionale. Le piazze di Antananarivo, la capitale, sono state prese d’assalto con cartelli, cori e proteste contro la corruzione, la disoccupazione e il progressivo smantellamento delle garanzie democratiche. Il presidente uscente, Andry Rajoelina, accusato di autoritarismo e clientelismo, ha visto crollare il suo potere nel giro di poche settimane.
Ma se l’impulso originario era popolare e giovanile, la conclusione è stata di tutt’altro segno. A raccogliere l’onda del malcontento non sono stati né partiti, né movimenti civici, bensì l’esercito. Il colonnello Randrianirina, con un discorso tanto conciliante quanto concreto, ha assunto il controllo della transizione, dichiarando il 18 ottobre di voler “garantire l’ordine repubblicano”. Lo stesso colonnello ha prestato giuramento come Presidente, nel palazzo del Governo, di fronte a una folla silenziosa e un’opposizione disorientata.
Costituzione sospesa e legalità disarmata
Il nuovo Presidente del Madagascar ha tenuto a precisare che non si tratta di un golpe. “Nessun colpo di Stato è stato compiuto” ha dichiarato, sottolineando la legittimità dell’intervento delle forze armate in un momento di “vuoto istituzionale”. Tuttavia, la rapidità con cui il potere è passato in mani militari e la totale assenza di una consultazione popolare o parlamentare destano perplessità anche tra gli osservatori più cauti.
La Corte costituzionale non si è espressa con chiarezza, e il silenzio delle istituzioni internazionali contribuisce a rendere l’intera vicenda una zona grigia tra insurrezione e autoritarismo. Il Madagascar, per la quinta volta in trent’anni, attraversa una fase di transizione istituzionale fuori dai canali ordinari della rappresentanza democratica, evidentemente mai pienamente consolidata.
Silenzio europeo, pragmatismo africano
Le reazioni internazionali sono state quasi nulle, come spesso accade in contesti geopolitici periferici. L’Unione africana ha chiesto moderazione, mentre l’Unione europea non ha rilasciato commenti ufficiali, limitandosi a monitorare la situazione da lontano. Anche la Francia mantiene una prudente distanza, consapevole dell’erosione progressiva della sua influenza nella regione.
La Cina, silente ma presente, osserva. Gli investimenti del Dragone in Madagascar riguardano prevalentemente i settori minerario e infrastrutturale — trasporti, energia, costruzione — in coerenza con il modello di penetrazione cinese in regioni strategiche dell’Oceano Indiano. In un contesto in cui la forma prevale sulla sostanza, la stabilità sembra valere più della legittimità democratica, almeno agli occhi di molti attori regionali.
Il peso geopolitico del Madagascar
Pur marginale nell’immaginario occidentale, il Madagascar riveste un ruolo geo-strategico non indifferente. La sua posizione nel canale del Mozambico, crocevia di rotte commerciali tra Africa, Asia e Oceania, lo rende un punto d’interesse non solo per le grandi potenze, ma anche per il sistema di sicurezza dell’area indo-pacifica. Il controllo di questa isola significa, in prospettiva, influenza sul commercio e sulle risorse marittime della regione.
Non sorprende, dunque, che l’instabilità politica venga gestita più con diplomazia silenziosa che con condanne ufficiali. È il pragmatismo delle relazioni internazionali, dove gli equilibri, spesso, contano più dei principi.
Un futuro incerto sotto l’uniforme
A guidare il Paese sarà ora un uomo in divisa, circondato da consiglieri militari e una burocrazia che ha imparato ad adattarsi a ogni regime. Randrianirina promette riforme, stabilità e dialogo con i giovani. Ma la storia recente dell’isola suggerisce prudenza. La retorica del “ritorno all’ordine” ha talvolta preceduto un consolidamento autoritario, più che una rifondazione democratica.
Resta il paradosso: una generazione che si solleva nel nome del cambiamento, e un esercito che incassa il dividendo politico. Il malcontento ha trovato una voce, ma non ancora una rappresentanza. E in un Paese dove la democrazia è ciclicamente sospesa, la libertà rischia di trasformarsi in un’illusione ricorrente.
20250409

