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    Paolo Volponi e l’Italia tra gli anni Settanta e Ottanta

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    Paolo Volponi, oltre ad essere stato uno dei maggiori intellettuali del Novecento italiano, ha incarnato anche la figura del politico e dirigente d’azienda visionario, influenzato dallo strettissimo contatto con giganti del Novecento come Olivetti e Pasolini. Nel presente lavoro si è deciso di prendere in esame la sua figura in quanto testimone diretto di quel mutamento, o meglio stravolgimento, avvenuto nella politica italiana durante gli anni Novanta del Novecento.

    Volponi e la parola nella poesia e nella politica

    Per Volponi politico, la parola ha lo stesso identico ruolo che quest’ultima ha assunto nel corso di tutta la sua vita nella poesia. La poesia fu il mezzo tramite il quale riuscì a dare forma alle sue irrefrenabili pulsioni; si trae dunque una forma da un magma cosmico di sensazioni giovanili. È infatti notevole, e non privo d’ingenuità e della meccanicità dell’apprendistato letterario, lo sforzo di appropriarsi di alcune costanti stilistiche e linguistiche tipiche dell’usus dei poeti più maturi. 

    La poesia fu per Volponi cosa naturale, approccio ordinario d’espressione, prima forma letteraria. Egli stesso ha sempre affermato di averla sentita come ordinarietà linguistica, mentre l’approdo alla narrativa fu evoluzione stilistica e tecnica. La poesia per il giovane Volponi però è anche un rifugio sicuro. «Nello stesso Liceo “Raffaello”, dove Giovanni Pascoli studiò ed eccelse, suscitando il vivo entusiasmo dei suoi docenti, Volponi si sente estraneo, oppresso da un senso di claustrofobia»1. E ancora dallo stesso Volponi: «Ho passato anni di terrore in quel ginnasio, di vero dolore; anche perché non capivo nulla e nulla diventava mio»2

    Volponi e l’esordio politico

    Il discorso scolastico si lega proprio a uno dei suoi interventi parlamentari più noti, quello del febbraio 1985 sulla riforma della scuola. Volponi sviluppa la sua retorica partendo dall’imperativo scientifico di Salvator Rosa: «Tacere o parlare dicendo cose migliori del silenzio»3. Per parlare della scuola pubblica, il poeta procede partendo dall’esperienza personale, di cui in precedenza si è già parlato. 

    Strutturalmente l’intervento è impostato sull’andirivieni tra esperienza autobiografica e discorso pubblico: Volponi era annichilito dalla personale esperienza liceale connotata esteticamente dai mezzi busti di Pascoli e Serpieri, dai banchi ottocenteschi, dalle scritte in latino, tutto frutto della tracotante retorica fascista degli anni Trenta: «Molti di questi spazi erano addirittura finti, impenetrabili come le regole di discipline impossibili. Anche la latrina m’intimidiva al punto da lasciarmi a metà perfino nella soddisfazione del bisogno. Ancora ho paura del preside austero e silenzioso, scrutante in modo più che scientifico attraverso il lampo degli occhiali d’oro, all’inizio del corridoio. Ho passato anni di terrore in quel ginnasio, di vero dolore; anche perché non capivo nulla e nulla diventava mio. La professoressa di materie letterarie mi prendeva in giro e proclamava che i miei temi, anche quelli fatti in classe, erano copiati. Finché alla fine della seconda ginnasio fui respinto»4

    Nel discorso pronunciato in Parlamento, Volponi si chiede con una serie di domande e risposte cosa l’abbia salvato da quel dolore. La risposta è secca, non c’è retorica: «la inalterabile, inattaccabile luce della matematica e i lirici greci che trattavano in modo diretto le verità materiali dell’uomo»5.

    L’Italia del boom economico

    Volponi politico va però contestualizzato, quale era l’Italia dell’epoca? Nel 1983, quando venne eletto in Senato, l’Italia stava subendo una rivoluzione totale; quello che aveva preannunciato Pasolini si era ormai attuato, il modello individualista e capitalistico era divenuto preponderante e l’Italia stava imboccando la via del nostro presente.

    Nel medesimo anno concluse la sua esperienza parlamentare Sciascia, che nel 1979 si era occupato dell’inchiesta sul caso Moro6. «Lo Stato italiano è resuscitato. Lo Stato è vivo, forte, sicuro e duro. Da un secolo, da più che un secolo, convive con la mafia siciliana, con la camorra napoletana, col banditismo sardo. Da trent’anni coltiva la corruzione e l’incompetenza disperde il denaro pubblico in fiumi e rivoli di impunite malversazioni e frodi»7. Questo uno dei passi più celebri dell’opera di Sciascia su Moro

    L’affaire Moro venne pubblicato nell’autunno del 1978, qualche mese dopo l’orribile strage che coinvolse Aldo Moro e la sua scorta. Il libro venne letto distrattamente da tanti; si può affermare che ad una prima lettura quest’ultimo apparve frutto di una mente delirante, dopo che stampa e tv erano riuscite a convincere l’opinione pubblica che le lettere di Moro non erano state scritte da lui in persona8. Sciascia finì di scriverlo, come si evince dalla data del dattiloscritto, il 24 agosto 1978. L’autore fu infangato dai media e giornali dell’epoca; un gigante come Sciascia uscì tramortito dall’esperienza politica. Ciò fece riflettere molto Volponi, che, invece, si apprestava a questa nuova esperienza. 

    Gli anni del craxismo

    Il 4 agosto 1983 si insediò il primo governo Craxi, il cui obiettivo fondamentale fu la rapida modernizzazione del Paese. La parola “modernizzazione” in quegli anni fu abusata sia dal centro-destra che dal centro-sinistra. Sono questi gli anni in cui si esalta l’individualismo e con esso la forma privata dell’appropriazione, mentre la politica si spettacolarizza. Segue di qui l’affermazione delle televisioni private e dei teatrini politici in diretta televisiva. 

    I congressi socialisti, per celebrare il proprio segretario-star, Bettino Craxi, utilizzano la maestria delle scenografie di Filippo Panseca. Nel congresso di Verona del 13 maggio 1984 Berlinguer venne fischiato, poiché ritenuto incapace di modernizzare il Paese come Craxi. Questi sono gli anni in cui Tina Anselmi pubblicò l’inchiesta che scosse l’Italia intera, quella sulla Loggia P2, su Licio Gelli e le trame segrete e oscure della politica. Nel 1985 a Pertini subentrò Cossiga come Presidente della Repubblica. 

    Fra il 1982 e il 1984 l’Italia è tormentata da scandali: dalla morte sospetta di Calvi sotto il Blackfriars Bridge di Londra al fallimento del Banco Ambrosiano9, passando per mezzo delle morti del generale Dalla Chiesa, del segretario del PCI siciliano La Torre, del giudice Montalto e del giornalista Fava; l’Italia intera sembrava inabissarsi nel malaffare. Va detto, però, che in concomitanza con questi tragici e loschi eventi, l’Italia stava vivendo uno dei periodi economici più floridi della sua storia: la Borsa di Milano aumentò di quattro volte il suo capitale, la piccola borghesia artigianale divenne industriale, sorsero due figure di imprenditori rivoluzionari, Gardini e Berlusconi. Questa era l’Italia dell’euforia economica. 

    Non va dimenticato che questi sono gli anni in cui il boom economico venne ancor più enfatizzato dal cinema italiano: il primo Vacanze di Natale è infatti del 1983; quest’ultimo stereotipizza in pieno quella borghesia arricchitasi in poco tempo. Il cinepanettone mette in evidenza, esalta e sbeffeggia l’Italia allora corrente.

    Gli anni dell’esordio senatoriale volponiano vedono però sconvolgimenti non solo su scala nazionale, ma anche a livello globale: dalla caduta del Muro di Berlino allo scoppio della Guerra Del Golfo. In Polonia l’affermazione di Solidarnosc sancì l’inizio della disgregazione del colosso sovietico. Sono questi gli anni del disastro di Chernobyl

    L’esperienza politica volponiana

    La rivoluzione in Italia fu soprattutto legata alla liberalizzazione delle reti televisive private avvenuta nel 1979. C’è allora da chiedersi come Volponi decise di impostare la sua esperienza senatoriale in un’epoca di così grandi cambiamenti. Da poeta, egli decise di impostare tutto sulla forza della parola: una lettera indirizzata a Franco Fortini risulta illuminante da questo punto di vista. In essa, scritta all’indomani della propria elezione, dichiara di voler impostare i suoi rapporti con la politica «da scrittore, per poter tentare di organizzare una verità sociale come romanzo o poema»10

    La produzione letteraria di Volponi, proprio come quella dell’amico Pasolini, ha in sé una forza sociologica, motivo per cui nella sua esperienza senatoriale non fa altro che mettere in pratica ciò che aveva già sperimentato mediante la scrittura. La scrittura diagnostica volponiana deriva proprio dal suo essere partecipe di due mestieri: lo scrittore, da una parte, e il dirigente-politico, dall’altra. Questi due mondi non si possono però immaginare divisi in compartimenti stagni, sono lo specchio di un unico modo di vedere. 

    Presso l’Olivetti, tra il 1956 e il 1971, Volponi non fece solo esperienza dirigenziale, ma incontrò anche Adriano Olivetti, un imprenditore illuminato, rivoluzionario e culturalmente preparato. Questo incontro lo permeò profondamente e molti degli insegnamenti dell’imprenditore vennero poi applicati in politica durante l’esperienza senatoriale. A seguito della duplice espulsione dall’industria, dall’Olivetti nel 1971 e dalla Fiat nel 1975, lo scrittore-dirigente diverrà scrittore-senatore, confermando la sua duplice vocazione. 

    Gli anni del PCI

    Va però detto che la vena politica si formalizzò sì con l’elezione in Senato nel 1983, ma iniziò molti anni prima, con il dichiarato appoggio agli ideali anticentralistici per una reale valorizzazione di tutte le potenzialità periferiche e marginali; tutto ciò è chiaramente esplicitato nella sua scrittura. Il primo impegno dal basso fu l’iniziativa meridionalista varata da Olivetti negli anni cinquanta, basata sulla Scuola romana per assistenti sociali (CEPS) e sui fondi americani per i Paesi distrutti (UNRRA); Volponi partecipò a questa avventura per sei anni spostandosi tra Basilicata, Abruzzo, Sicilia e Calabria. A ciò si aggiunge la sua esplicita e dichiarata appartenenza al PCI, che lo portò a rompere con gli Agnelli e ad allontanarsi dalla Fondazione Agnelli, di cui dal 1971 al 1975 ne era stato presidente. 

    Prima dell’esperienza senatoriale, Volponi poeta e dirigente si “fece le ossa” nel consiglio comunale di Urbino, ove fu eletto nel 1980. 

    Per quanto concerne l’esperienza senatoriale, è interessante prendere quest’ultima in considerazione nella sua totalità, partendo proprio dalla candidatura come indipendente e dalla sua campagna elettorale capillare svolta nel nord delle Marche. La candidatura da indipendente significa molto: è indicativa del fatto che già nel 1983 non si riconosceva più totalmente nel PCI. Un risvolto opposto si ebbe, invece, negli anni Novanta, quando il suo impegno politico fu caratterizzato da quella che sembrerebbe una paradossale “ortodossia” marxista, in particolare a partire dal 1989, dopo la morte del figlio Roberto nel disastro aereo di L’Avana

    Il poeta urbinate in poco tempo moltiplicò le occasioni di dialogo con quello che restava della “grande marea comunista”: alle feste de l’Unità locali si spese come tribuno del popolo11, ritornò a discorsi ritmicamente più poetici, così come al senso dell’onesta verità, e riempì gli interventi di excursus riguardanti l’esperienza diretta, proprio come aveva fatto nell’intervento senatoriale del 1985 contro la riforma scolastica. 

    Inoltre, è proprio in questo periodo che visse drammaticamente, quasi come un dissenso interiore, lo scioglimento del PCI e la nascita del Pds. Nel 1991 si tesserò per la prima volta nel PCI: vale la pena ricordare, infatti, che era stato eletto senatore come indipendente, questo poiché volle partecipare all’ultimo congresso del partito a Rimini; fu inoltre tra i primissimi aderenti del Movimento di Rifondazione comunista. 

    Inizialmente, il poeta ripose molte speranze nel nuovo partito, ma queste si frantumarono in poco tempo. Il poeta visse la malattia e il funerale della parola “comunismo” che, con lo sgretolamento del socialismo reale, divenne prima desueta e poi impronunciabile. A ciò fecero seguito l’apertura liberale di Craxi e l’ascesa politica berlusconiana, che spensero definitivamente gli ideali volponiani. 

    Conclusioni

    Paolo Volponi politico e senatore è un personaggio estremamente complesso, proprio come lo è il suo essere scrittore e poeta. La sua ascesa politica è quasi tardiva rispetto ai suoi ideali, ed è per questo che già alla fine del suo primo mandato senatoriale egli si ritrova in un mondo politico lontano da sé, che non rappresenta più nulla del suo credo. 

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    1. S. Ritrovato, All’ombra della memoria. Studi su Paolo Volponi, Pesaro, Metauro Edizioni, 2013, p. 10. ↩︎
    2. P. Volponi, Introduzione a I. De Martino, Enciclopedia della gestione della scuola, Milano, Teti, 1977, pp. 4-5. ↩︎
    3. P. Volponi, Parlamenti, a cura di E. Zinato, Roma, Ediesse, 2011, p.77. ↩︎
    4. P. Volponi, Introduzione a I. Di Martino, Enciclopedia della gestione della scuola, Milano, Teti, 1977, pp. 4-5. ↩︎
    5. P. Volponi, Parlamenti, a cura di E. Zinato, Roma, Ediesse, 2011, p.77. ↩︎
    6. L. Sciascia, L’affaire Moro, Milano, Adelphi, 2017. ↩︎
    7. Ivi., p. 64. ↩︎
    8. L. Sciascia, La palma va a Nord, Milano, Gammalibri, 1982, p. 61. ↩︎
    9. C. Bellavite Pellegrini, Storia del Banco Ambrosiano: fondazione, ascesa e dissesto 1896-1982, Roma, Laterza, 2002, p. 516. ↩︎
    10. G. C. Ferretti – E. Zinato, Volponi personaggio di romanzo. Con tre testi inediti, Lecce, Manni, 2009, p. 89. ↩︎
    11. E. Zinato, Paolo Volponi, in Studi novecenteschi, XIX, n. 43-44, giugno-dicembre 1992, p. 48. ↩︎

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