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    Quale futuro per le concessioni balneari?

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    Venerdì 9 agosto si è svolto un insolito sciopero negli stabilimenti balneari, caratterizzato da una serrata di due ore. Gli ombrelloni sono stati aperti solo alle 9:30, due ore dopo l’orario ufficiale, in segno di protesta contro la mancata risposta del Governo alla richiesta di un intervento normativo riguardante la questione irrisolta delle concessioni. Più specificatamente, i balneari hanno deciso di scioperare per evitare che le concessioni balneari, in scadenza alla fine del 2024, vengano messe a gara. L’estate del 2024 sarà ricordata per gli sforzi di molte organizzazioni a tutela dell’oceano e dei bagnanti, nonché per le diverse e creative forme di disobbedienza civile sulle spiagge italiane. Nel corso dei mesi, infatti, molti attivisti hanno organizzato varie “occupazioni della battigia”, portando ombrelloni, sdraio e una notevole dose di determinazione, al fine di rendere noto che le concessioni balneari sono scadute e gli ombrelloni a pagamento dei lidi sono pertanto illegittimi. Di conseguenza, gli italiani potrebbero stenderci liberamente i propri asciugamani e nessuno potrebbe dire loro nulla, né chiedere un pagamento dei servizi da spiaggia né allontanare le persone dai lidi. Quello che stiamo vivendo è un vero e proprio conflitto sulla civiltà, sulla cultura giuridica e sul riconoscimento dei diritti. Le concessioni balneari prolungate sono da considerarsi scadute. La confusione nasce dalla proroga delle concessioni decisa dal Governo Meloni, dichiarate illegali da tre decisioni del Consiglio di Stato. Questo genera un conflitto istituzionale tra il Governo italiano e il Consiglio di Stato, supportato dalla Commissione Europea, con un concreto rischio di avvio di una procedura di infrazione. Inoltre, l’Autorità Antitrust ha già iniziato a inviare le prime diffide ai Comuni a causa delle proroghe.

    La situazione attuale

    Nel contesto attuale, nonostante le sentenze del Consiglio di Stato e le osservazioni della Commissione Europea, il Governo sostiene che le concessioni attualmente in vigore rimarranno valide fino al 31 dicembre 2024o fino alla fine del 2025in presenza di motivazioni oggettive che ostacolano la conclusione delle gare. Tuttavia, il nuovo regolamento prevede l’introduzione di criteri differenti per le future gare. Nel testo è prevista una prima proroga, fino al 31 dicembre 2025, ma questa mediazione potrebbe non essere considerata sufficiente. Inoltre, la cartografia costiera dovrebbe essere ripresa con una prima versione che integri dati disaggregati e qualitativi su base regionale, come richiesto dalla Comunità Europea. Ma non basta elencare le spiagge libere: occorre verificare se sono realmente accessibili e se possono interessare a potenziali nuovi concessionari. Tale mappatura dovrà essere adottata con DPCM entro il 30 aprile 2025 per definire con precisione l’entità dell’espansione per regione.

    Nelle zone in cui la percentuale di superficie coperta da concessioni è ancora inferiore al 25%, le concessioni attualmente in vigore dovrebbero essere prorogate fino al 31 dicembre 2027. Per le regioni con quota inferiore al 25% la proroga, invece, si estende fino al 31 dicembre 2029. Le vecchie concessioni verranno messe a bando solo dopo la scadenza di tali termini. In sostanza, la posizione del Governo italiano sarà quella di affermare la teoria secondo cui le attuali concessioni possono essere prorogate per un periodo di tempo più lungo se “le risorse naturali scarseggiano“. Se questo limite venisse superato, le autorità locali potrebbero nel frattempo mettere a gara le parti libere della spiaggia. Tuttavia, questa posizione non è stata apprezzata dalla Commissione europea in diverse occasioni, da ultimo quando il Governo ha inviato una risposta alla questione con pareri fondati che hanno indirizzato la procedura di infrazione verso una direzione rischiosa. Questo segna l’inizio di un ricorso alla Corte di Giustizia dell’UE.

    Concessioni scadute: cosa succede e perché?

    Le spiagge appartengono al demanio e sono pertanto considerate beni pubblici. In Italia le spiagge libere sono sempre meno: a mero titolo esemplificativo, va citato che alcune regioni, in particolare Liguria e Campania, hanno più del 70% delle strutture occupate, e in alcuni comuni più del 90%. La sentenza del Consiglio di Stato chiarisce che la mancata gara viola le norme europee e che l’estensione delle concessioni marittime del Paese è illegale. In violazione delle norme comunitarie, la proroga da parte del Governo italiano è stata concessa senza bando di gara ed è stata limitata alle “proroghe tecniche”, cioè quelle con licenze ancora valide.

    L’attuale gestione delle concessioni balneari è contraria alle normative europee che richiedono una procedura di gara pubblica trasparente che garantisca la massima partecipazione di tutti gli operatori economici. Uno dei maggiori problemi giuridici dell’Italia è una legge sinonimo, introdotta nel 1992, che prevede il rinnovo automatico delle concessioni ogni sei anni, salvo esplicita rinuncia da parte del titolare. Questo meccanismo ha ostacolato il ricambio economico del settore costiero e ha trasformato le spiagge italiane in imprese familiari senza possibilità di nuovi bandi. Riconoscendo questa grave violazione dei diritti delle persone, che non si limita agli interessi della spiaggia, le istituzioni europee hanno affrontato la questione nel 2006 con la Direttiva Bolkestein, che mira a promuovere il libero scambio, la concorrenza e la tutela dei consumatori, in particolare per quanto riguarda le vendite pubbliche e le aste per affrontarlo. Tuttavia, il Parlamento italiano continua ad estendere le concessioni balneari. Sia il Consiglio di Stato che l’Unione Europea hanno respinto queste proposte, sottolineando che le concessioni sono in ritardo e che il settore deve essere aperto al mercato attraverso appalti pubblici e nuove liberalizzazioni.

    Le spiagge libere stanno scomparendo

    La Direttiva Bolkestein, i permessi e gli scioperi legati alle coste: questi i temi principali che animano il dibattito attualmente al centro dell’attenzione mediatica a causa del conflitto tra l’Unione Europea e il Governo Meloni riguardo alle concessioni costiere. Tuttavia, mentre ci si interroga su chi debba gestire le spiagge italiane, le nostre coste subiscono silenziosamente l’impatto di un’ondata di liberalizzazioni e privatizzazioni incontrollate. Le spiagge occupate in Italia coprono “il 33% della superficie disponibile“, suggerendo che ci siano opportunità non solo per confermare le concessioni attuali, ma anche per rilasciarne di nuove. Tuttavia, questi dati indicano piuttosto che l’Italia è ancora in ritardo nel fornire una mappatura adeguata delle sue spiagge.

    In conclusione, se le concessioni sono scadute, le spiagge sono diventate libere? In teoria, se una concessione è scaduta e non è stata prorogata, il gestore non dovrebbe più occupare l’area, e quindi la spiaggia dovrebbe tornare ad essere libera in attesa di una nuova gara.
    Questo scenario genera un clima di grande incertezza sulle spiagge italiane, con possibili conseguenze che potrebbero gravare soprattutto sui bagnanti dell’estate 2025.

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