È oggi nostra ospite l’On. Sabrina Pignedoli, europarlamentare per il Movimento 5 Stelle, da sempre attiva nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata.
Sappiamo che dal marzo 2019 è diventata consulente a tempo parziale della Commissione parlamentare antimafia. Con riferimento al suo libro “Operazione Aemilia: Come una cosca di ‘Ndrangheta si è insediata al Nord”, riguardante il maxi-processo che ha visto coinvolte le organizzazione di ‘Ndrangheta in Emilia Romagna, rilevano ulteriori sviluppi circa l’attività delle organizzazioni criminali in questi territori?
Io credo che l’operazione Aemilia abbia avuto un enorme merito, quello di aver reso nota la situazione della ‘Ndrangheta anche al Nord Italia, in una regione operosa che sembrava esente dalle questioni mafiose. Quello che è emerso è secondo me molto importante e andrebbe capito in tutti i territori in cui si insediano queste cosche: è il fatto che la ‘Ndrangheta, come tutte le mafie, non si insediano nel “vuoto”, ma devono avere un appoggio nel mondo economico, politico, istituzionale e anche sociale, altrimenti l’insediamento è difficile. Sono poi dell’idea che non sia corretto dire che si insediano in un territorio che era “pulito”, “vergine”, perché devono comunque inserirsi in luoghi dove vi sia già una sorta di malaffare: vi spiego, potrebbe essere solo un malaffare economico, o false fatture, magari ci sono degli scambi clientelari della politica, ma queste sono tutte strutture che su un territorio servono da punto di appoggio e da servizio per le mafie, che poi a loro volta diventano servizio per gli imprenditori, per aiutarli a fare delle false fatture, nel senso di recupero crediti o altre cose genere. L’idea però che le mafie si insinuino in un territorio “sano” o “vergine” è fin troppo poetica, ci deve essere un malaffare diffuso. Il problema è che l’operazione Aemilia ha avuto un grandissimo merito, ma si è fermata ad un livello piuttosto basso. Ha toccato la ‘Ndrangheta, alcuni agganci che aveva con l’economia, ma non è arrivata al livello superiore, ossia agli agganci che aveva con le istituzioni. Su questo ci sono alcuni cenni nell’operazione Aemilia, per quanto riguarda alcune tornate elettorali a livello amministrativo, c’è un intero capitolo che parla di questo, però poi non si sono sviluppate veramente: quando si toglie solo il ramo, il ramo poi ricresce, bisogna estirpare le radici. Il problema è che ci sono altre mafie che si stanno inserendo prepotentemente, penso ad esempio alla quarta mafia, che sta incominciando a fare affari piuttosto rilevanti, nonostante vi siano le forze dell’ordine che stanno tenendo monitorato il territorio. Questo avviene anche in altre parti d’Europa, non solo chiaramente nel Nord Italia, con una differenza sostanziale: che in Italia abbiamo una normativa, quindi c’è il 416 bis e la questione del sequestro dei beni e nel resto d’Europa questa normativa non c’è, ed è quindi più difficile un contrasto più reale ed efficace alle organizzazioni mafiose.
Alcune settimane fa ha fortemente criticato la legge bavaglio, additandola come minaccia per il libero giornalismo e, dunque, per lo stato di diritto. In che modo continuerete a portare avanti questa battaglia?
Sicuramente a livello italiano so che i miei colleghi si stanno dando da fare su questo, nonostante essendo minoranze risulti difficile. Io ho presentato un’interrogazione per chiedere se quella legge rispetti lo Stato di diritto, adesso stiamo aspettando una risposta dalla Commissione, ma io credo che questa sia una legge che va assolutamente contro il rispetto dello Stato di diritto. Sapete che uno dei pilastri della valutazione dello Stato di diritto, è proprio quello di una stampa libera e indipendente, per altro, a livello europeo, abbiamo raccolto molto materiale, sia per quello che riguarda l’istruzione del Parlamento, sia per quello che riguarda i testi della Commissione, in cui viene sottolineato che i cittadini dovrebbero avere la possibilità di farsi un’opinione sui fatti direttamente dalle fonti, quindi dai documenti diretti. Le ordinanze di custodia cautelare non sono documenti riservati o segreti, ma sono documenti pubblici nel momento in cui vengono a conoscenza delle parti: questo era anche uno degli elementi che, quando facevo la giornalista, veniva valutato. È chiaro ed è molto importante che si sottolinei che quello che emerge dalle ordinanze cautelari non è già una condanna, è un fatto, che poi può essere valutato a livello giudiziario in un modo o nell’altro, bisogna sempre tenere distinta la verità giudiziaria dalla verità oscura. In una riunione video-filmata per un processo molto importante a livello italiano dove c’era un imprenditore che diceva: “Ditemi quanto volete per farmi gestire questa determinata cosa”, chiaro elemento di corruzione direte voi, ma, a livello giudiziario, per un motivo o per l’altro, questa persona è stata semplicemente archiviata. Permettetemi, a livello di cittadino, questa cosa la vorrei sapere, soprattutto se questo imprenditore vince tanti appalti nel mio comune per esempio, non è un corruttore per la legge, ma io la vorrei sapere, credo che sia di pubblico interesse. Non ci deve essere una “gogna” mediatica, ma la conoscenza di quello che è successo.
Da diversi giorni si sta discutendo in Parlamento del piano Mattei. Quali potranno essere quindi i possibili risvolti di tale piano negli equilibri tra l’Italia e il continente africano?
Io mi sono andata a leggere quello che dice il ministero sul piano Mattei: potevano non scomodare Mattei, è un tema delle elementari di un bambino che spera che i problemi dell’Africa si risolvano schioccando le dita, per altro, mi pare che anche la controparte, ossia il continente africano, non sia stato particolarmente contento di come è stato presentato. Hanno rilevato il fatto che non sono stati minimamente consultati sulle esigenze che ci sono. Il problema dell’Africa è un problema enorme, è chiaro che l’obbiettivo è quello di aiutare le persone nella loro terra, con la formazione e con lo sviluppo di attività economiche. Non possiamo pensare che l’Africa sia semplicemente dare soldi, che vengono utilizzati immediatamente per sfamare tante persone e poi comunque non si crea un’economia all’interno dell’Africa. Il problema è un altro, ossia la politica vera e propria, di rapina, che attua l’Occidente nei confronti dell’Africa. Se cominciassimo ad evitare quindi di insediare tante multinazionali, non solo occidentali – so che anche la Cina sta facendo grossissimi affari in Africa – perché ricordiamo che è una terra ricca di risorse, se sottobanco si alimentano le guerre e le divisioni tribali, diventa molto difficile poi formare le persone. La commissaria europea ha parlato di “formazione all’origine”, che è estremamente positiva, anche perché è uno dei primi elementi che possono aiutare a creare dei corridoi umanitari, per poi portare in Europa i lavoratori di cui abbiamo bisogno. Una formazione all’origine in certi paesi come si fa? Qual è il problema di sviluppare questi corridoi solo con chi ha formazione? Che poi le persone che stanno peggio in alcuni Paesi, restano nel loro Paese e non hanno la possibilità di usufruire di questi corridoi umanitari. Io credo che il problema dell’Africa dovrebbe essere non una cosa bilaterale, ma che deve essere affrontata in maniera seria a livello europeo. La mia idea però chiaramente capisco non sia facile da realizzare in tutti i Paesi, sarebbe di inserire degli “hub” gestiti dall’Europa, per poi creare dei canali di immigrazione sicura, anche al di là dell’immigrazione, cercare per quanto possibile, di appacificare i paesi e sviluppare un’agricoltura che all’inizio può essere di sussistenza ma che poi può diventare anche di eccellenza. Fermo restando che Paesi come l’Africa in cui c’è tantissimo sole e anche l’energia rinnovabile può essere un opzione utile per sviluppare alcuni territori, dovremmo pensare anche ad uno sviluppo tecnologico dell’Africa: è chiaro che mancano le infrastrutture, però secondo me ci sono dei Paesi che possono avere delle potenzialità e guardando le piattaforme, ci sono delle piattaforme che sono sviluppate anche in Africa. Io credo che ci sia una possibilità di sviluppare quel continente, però non con il “temino” delle elementari, è una cosa molto difficile e molto lenta, che deve partire dal non rapinare le risorse dell’Africa.
Spostandosi, invece, sul conflitto tra Israele e Palestina, si è ripetutamente appellata al dialogo tra i due Paesi e alla necessità di liberare i territori palestinesi. In che modo crede sia raggiungibile tale obiettivo? Cosa pensa potrebbe accadere se tale conflitto si ampliasse in zone come il Libano e la Siria?
Il rischio di ampliamento del conflitto mi sembra abbastanza evidente e molto preoccupante, io credo che l’Europa debba giocare un ruolo di primo piano nel dialogo con gli altri paesi arabi della zona. Per decenni si è voluto non risolvere questo problema, ci sono già accordi internazionali tra i due stati, bisognerebbe semplicemente far rispettare questi accordi.
Il problema è che in questi decenni l’Occidente se ne è sostanzialmente “lavato le mani”, perché uno dei contraenti è più forte dell’altro e quindi i palestinesi si sono ritrovati ad avere un territorio sempre più marginale e sconnesso tra le due parti, per altro, già prima del conflitto, l’Onu aveva sottolineato lo stato di apartheid che si viveva all’interno dei territori palestinesi.
Quindi credo che il ruolo dell’Occidente e dei paesi arabi sia fondamentale per cercare di far sì in modo semplice che il diritto internazionale e gli accordi già sottoscritti vengano attuati: sicuramente con questo governo di Netanyahu non credo sia possibile, dato che è un governo estremista, un governo che si è auto dichiarato fascista, perché è un suo ministro ad aver detto “sono fascista e sono omofobo”. Vorrei sottolineare come una parte del popolo di Israele non sopporta questo governo e questo conflitto. La diplomazia credo possa esse applicata sempre, dipende come. Chiaramente non è facile, ricordiamo che ora si dice che non si può parlare con Putin, per decenni abbiamo dialogato con Putin, che era un dittatore anche quando ha ammazzato Anna Politkovskaja, però “andava tutto bene” e si poteva parlare e fare affari con lui. Adesso ci siamo resi conto che finanziare questa guerra è sostanzialmente insostenibile, gli stessi Stati Uniti si sono resi conto che essa non porta nulla a livello elettorale e quindi adesso stanno evitando di continuare a mandare risorse.
In Europa c’è stato un consiglio molto acceso all’inizio di febbraio, per lo scostamento di bilancio di circa 64 miliardi, di cui ben 50 vanno per l’Ucraina: sono assolutamente favorevole ad aiutare l’Ucraina a riprendersi e a ristabilire le proprie infrastrutture distrutte dalla guerra, ma prima bisogna fermare la guerra, che è una cosa essenziale. È chiaro che per fare questo ci vorrebbe una diplomazia europea che possa mettere d’accordo i due paesi, però dobbiamo renderci conto che pensare che il territorio dell’Ucraina possa rimanere quello “ante guerra” mi sembra abbastanza utopistico. Secondo me dovremmo pensare a due province autonome, Donbass e Crimea, una magari sotto l’egida russa, che è la Crimea, avendo da sempre un contatto molto più vicino con la Russia e il DonBass sotto l’egida ucraina: questo potrebbe essere un primo passo, è chiaro che i contraenti, soprattutto dal lato di Kiev, non hanno la benché minima intenzione di fare questo passo. Continuare a dare questi soldi, porterà ad un risultato diverso? Io non credo che continuando a dare soldi all’Ucraina si riesca ad ottenere un risultato diverso da quello di adesso, dovremmo renderci conto invece di quale è la realtà e cercare di trovare un accordo. Se l’Europa avesse avuto una posizione di diplomazia tra i due paesi, probabilmente l’Ucraina non avrebbe avuto una perdita a livello territoriale, ma vi sarebbero state due province autonome, sotto l’egida dell’Ucraina, entrambe con altri risultati.