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    Tensioni nel Kashmir: cosa sta succedendo nella terra contesa? 

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    La questione del Kashmir rappresenta uno dei nodi internazionali più complessi, che affonda le sue radici nel 1947, anno della Partition, ovvero l’indipendenza e la conseguente fine dell’imperialismo britannico nel subcontinente indiano. Fin da allora, la regione del Kashmir è al centro di una contesa tra India e Pakistan, in cui la posta in gioco non è rappresentata esclusivamente dal controllo di un lembo di terra e delle due risorse, ma dalla supremazia culturale insita ai due contesti. 

    Le basi del conflitto

    Ciò che oggi appare come una mera contesa territoriale è, in realtà, l’espressione di dinamiche ben più profonde legate alla costruzione dell’identità nazionale dei due Stati. La Partition del 1947, che sancì la nascita dell’India e del Pakistan, fu la scintilla che innescò una lunga serie di conflitti, nei quali — al di là degli schieramenti — le vittime principali sono sempre stati i civili. Quindi, ridurre le origini di tale separazione a una disputa per il controllo delle risorse, sebbene strategicamente rilevanti, in particolare quelle idriche, significa ignorare l’intreccio più profondo che riguarda la struttura stessa delle due società.

    India e Pakistan sono infatti segnate da divergenze culturali e sociali radicali. Il Pakistan, fondato come Stato culturalmente musulmano, ha costruito la propria identità sulla base di valori islamici, che — tra le altre cose — rifiutano il sistema delle caste, centrale nella tradizione sociale indiana. Nella visione coranica, ogni essere umano è uguale davanti a Dio, e questo principio ha contribuito a rafforzare la percezione di un’incompatibilità con l’ordine gerarchico dell’India induista. Attraverso questa lente, il conflitto indo-pakistano non è soltanto una lotta di contesa per il Kashmir, ma una battaglia tra due modelli di civiltà, due concezioni opposte di società, due mondi tanto vicini quanto lontani. 

    La notte tra il 6 e il 7 maggio

    Martedì 22 aprile un brutale attentato ha colpito l’India, precisamente Pahalgam, città situata nel Jammu, e Kashmir, sotto il controllo politico e amministrativo del governo di Nuova Delhi. Il gruppo terroristico “Fronte della Resistenza”, una milizia armata affiliata a Lashkar-e-Taiba, ha rivendicato l’attacco, costato la vita a 26 persone. La risposta del governo indiano non si è fatta attendere: Nuova Delhi ha immediatamente sospeso i visti, dichiarato persona “non grata” il ministro della Difesa pakistano e introdotto misure restrittive sul piano economico, bloccando in primis l’importazione di petrolio dal Pakistan, impedendo l’accesso ai porti indiani e interrompendo tutte le comunicazioni postali bilaterali.

    Tuttavia, fenomeni di questo tipo non sono nuovi nel contesto indo-pakistano. Fin dal 1947, anno della Partition, i conflitti che hanno contrapposto i due Paesi sono stati numerosi: la prima guerra del 1948, la guerra del 1965, l’intervento indiano nella guerra d’indipendenza del Bangladesh nel 1971 e l’occupazione pakistana del Kargil nel 1999. Da allora fino al 2019, anno della strage di Pulwama, si sono registrati numerosi attentati e attacchi riconducibili a organizzazioni terroristiche, che hanno colpito sia civili sia forze armate.

    La ripresa degli scontri

    Poche ore fa, l’esercito indiano ha effettuato un attacco missilistico mirato contro strutture individuate da Nuova Delhi come sedi operative di gruppi ritenuti terroristici, localizzate all’interno del territorio pakistano e considerate direttamente collegate all’attentato del 22 aprile in Kashmir. L’operazione, denominata “Sindoor”, prende il nome dal pigmento vermiglio che le donne indù sposate applicano sulla fronte. Il tutto si collega al modo in cui, durante l’attentato, gli aggressori avrebbero separato gli uomini dalle donne, uccidendo i primi e lasciando vedove queste ultime.

    Pericolo escalation e guerra dell’acqua 

    Come già accennato, questa regione non è nuova a episodi di tale portata, avendo registrato numerosi attacchi nel corso degli ultimi vent’anni. Tuttavia, oltre alla distruzione di infrastrutture terroristiche — o presunte tali, secondo il governo indiano — si segnalano anche vittime civili e attacchi indiscriminati a moschee e luoghi di culto, segno palpabile di quanto queste tensioni siano ancora protagoniste nello scontro.

    Ma la preoccupazione maggiore per la popolazione pakistana non risiede unicamente nella minaccia militare, bensì nella capacità dell’India di esercitare un controllo strategico sulle risorse idriche vitali per l’economia e la sicurezza alimentare di Islamabad. Nuova Delhi, infatti, detiene il potere di “chiudere i rubinetti” che alimentano l’agricoltura, la produzione energetica e l’approvvigionamento idrico del vicino, attraverso le infrastrutture idroelettriche costruite sui fiumi che attraversano il Kashmir. 

    Le acque dolci del sistema fluviale dell’Indo e dei suoi affluenti, infatti, rappresentano circa l’80% del fabbisogno agricolo e industriale del Pakistan. Tuttavia, molte di queste risorse dipendono dalla volontà del governo indiano, che ha la possibilità tecnica di regolare, deviare o addirittura impedire i flussi destinati ai territori pakistani.

    Secondo l’Indus Waters Treaty (IWT), firmato nel 1960 grazie al supporto diplomatico della Banca Mondiale, al Pakistan è riconosciuto il diritto esclusivo di utilizzo delle acque dei fiumi Indo, Jhelum e Chenab, mentre all’India spettano i fiumi Ravi, Beas e Sutlej. Nonostante questo accordo, sul sistema fluviale controllato dal governo indiano sorgono oggi oltre 5.000 centrali idroelettriche, che dispongono della capacità operativa e infrastrutturale di deviare i flussi idrici. Un eventuale blocco, oltre a generare una crisi agricola ed energetica senza precedenti, verrebbe interpretato da Islamabad come un atto ostile paragonabile a un’azione bellica, in quanto destinato ad assetare e affamare milioni di persone.

    Come finirà?

    È difficile stabilirlo. Finora, le tensioni sono state gestite attraverso canali diplomatici, evitando l’escalation. In questo contesto, non è da escludere il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, che negli ultimi anni hanno intensificato i rapporti con l’India e con l’amministrazione Modi, sia sul piano economico che geopolitico in chiave anticinese. Allo stesso tempo, anche l’intermediazione diplomatica di Pechino appare ragionevole, considerando l’interesse del Presidente Xi nel garantire la stabilità del CPEC (China-Pakistan Economic Corridor). Il governo cinese, infatti, ha investito ingenti risorse nella realizzazione di opere strategiche in Pakistan, cruciali per l’approvvigionamento energetico e per il trasporto merci.

    Conclusioni

    La presenza di armamenti nucleari in entrambi gli arsenali rappresenta desta forte preoccupazione. Tuttavia, è plausibile che questa crisi rientri, almeno per ora, nel ciclo ricorrente di tensioni che caratterizza da decenni il complesso scenario geopolitico dell’Asia meridionale.

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