Apprezzato o criticato, il sistema delle spoglie è ormai una regola consolidata nel funzionamento della Pubblica Amministrazione italiana. Tipico del contesto statunitense e approdato in Italia negli anni Novanta, esso, come è noto, prevede che i ruoli apicali dell’apparato amministrativo siano riservati a soggetti nominati dal potere politico. Necessario corollario della regola è, dunque, che, ad ogni mutamento, detti uffici vedano cambiare la propria composizione. Si pensi alla cronaca dell’ultimo periodo, dove il caso delle dimissioni del Dott. Spano ha catalizzato l’attenzione dei media. Egli, infatti, era stato nominato dal nuovo – e discusso – Ministro della Cultura come Capo di Gabinetto del relativo dicastero, uno degli incarichi più ambiti da chi svolge una carriera nella dirigenza pubblica. Ebbene, con le dimissioni del Prof. Sangiuliano seguite al terremoto del Bocciagate, il Presidente del Consiglio dei Ministri, nel conferire l’incarico ad un nuovo soggetto, ha messo in discussione tutti i rapporti di lavoro dirigenziali fino a quel momento detenuti dai fidati dell’ex Ministro. È questa, infatti, l’essenza dello spoil system: i più stretti collaboratori del politico ne seguono la sorte, se non rinnovati dal suo successore. Prescindendo dalla problematicità delle dimissioni cui accennavamo in apertura, certamente poco commendevoli in una democrazia avanzata come quella in cui crediamo di essere, il presente articolo si propone di analizzare la questione. È giusto lo spoil system?
IL QUADRO
Per affrontare il quesito è d’uopo collocare la questione nel quadro che le appartiene. La premessa imprescindibile è di rilievo costituzionale e si sostanzia nell’articolo 97 della Carta, a mente del quale la via maestra per l’accesso agli impieghi della PA è il temuto e venerato concorso pubblico, ferme le eccezioni dalla legge stabilite. E proprio di un’eccezione trattiamo. I collaboratori diretti dell’organo politico vengono scelti da quest’ultimo, stante l’essenziale esigenza che sussista tra di loro un profondo rapporto di fiducia reciproca, fattore di efficienza del buon andamento. In sostanza, trattandosi di soggetti che cooperano, consigliano, attuano, coadiuvano, è importante che la politica possa fidarsi di loro. Bisogna, ora, ricordare una caratteristica dell’ente più significativo per il nostro discorso: il Ministero. In un periodo più risalente, relegato al secolo trascorso, il Ministro era al contempo vertice politico e amministrativo dell’apparato di cui era titolare, presentando problemi di non poco momento. Certamente, infatti, vi era una discrasia manifesta tra lo status quo ante e il principio dell’imparzialità, cardine dell’agire amministrativo. Dare tale compito a chi, legittimato da un mandato figlio di una determinazione elettorale, opera inseguendo gli interessi di una parte, appariva quantomeno problematico. Ecco, quindi, che il paradigma è stato innovato. Si è provveduto a separare la politica dall’amministrazione, senza però chiudere le necessarie vie di comunicazioni tra le due. La copula, quindi, è stata individuata nella dirigenza: organi amministrativi di nomina politica che, nell’esercizio delle proprie funzioni, non sono sottoposti al potere d’ordine del Ministro, ma a quello, più morbido, di indirizzo.
L’ARGOMENTO
Ora ragioniamo, tornando al quesito. A favore di un tale sistema abbiamo le argomentazioni sopra esposte, riassumibili nell’armonia che deve vigere perché i dirigenti non solo siano capaci di attuare l’agenda politica del governo, ma anche animati dalla volontà di farlo, garantita poiché legati da affinità partitica e ideologica. È il momento, quindi, di guardare agli aspetti sfavorevoli. Viene subito alla mente che la regola possa prestarsi a divenire utile strumento per il clientelismo politico, storico vizio della nostra cultura risalente addirittura all’epoca romana. Il pericolo, certamente molto tangibile data l’essenza della nostra classe politica, è che si arrivi ad affidare posizioni delicate solo come ricompensa per la fedeltà dimostrata o come viatico per supporti futuri. E che le persone scelte siamo improponibili accoliti inadeguati e con scarse competenze, inidonei a gestire a livelli così alti la cosa pubblica. Ma vi è di più. Data la costante brevità della durata dei nostri esecutivi, annoso e italianissimo problema di stabilità governativa, ci troviamo ad avere continui passaggi di testimone non solo tra i Ministri, ma anche tra i più alti funzionari che seguono il sistema delle spoglie. Il rischio è, allora, lo stesso sotteso ai repentini mutamenti politici: la frammentarietà. Ogni cambiamento comporta una interruzione, ogni interruzione uno stallo, ogni stallo un ritardo. La macchina, quindi, viaggia con continue soste e numerosi cambi di conducente, ognuno col proprio stile, ognuno col proprio itinerario. Sembra, dunque, che per garantire la fiducia interpersonale tra organi si debba accettare la lentezza del sistema e il rischio di storture clientelari.
CONCLUSIONI
Giunti a questo punto, dopo la sintetica esposizione, che spera di presentarsi completa ed esaustiva, bisogna dare risposta all’interrogativo da cui il nostro focus è scaturito. Vive, in chi scrive, la permanente convinzione che il modo migliore per stimolare il lettore sia quello di non prendere una netta posizione tale da operare un surrettizio indottrinamento con lo strumento dello scritto. Per garantire la massima neutralità, la risposta, come sempre, rimane aperta. Se lo spoil system sia un bene incontestabile, un male necessario, un errore modificabile o qualsiasi altra cosa, sarà valutazione che deve necessariamente seguire l’articolo e non concluderlo.