Sono probabilmente tramontati i tempi del Piano Marshall, quando gli Stati Uniti perseguivano con determinazione la diffusione, attraverso anche aiuti economici, dei valori democratici della bandiera a stelle e strisce in Europa. Oggi, il fulcro delle dinamiche geopolitiche non è più rappresentato dalla sola influenza, bensì da un ristretto gruppo di elementi della tavola periodica che costituiscono il “petrolio” della nuova era tecnologica.
Questi materiali strategici, noti come terre rare, sono diventati un nodo cruciale per il controllo delle filiere industriali avanzate del mondo high-tech. È in questo contesto che l’Ucraina si è trovata a dover negoziare una pace che, a conti fatti, sembra sempre di più un compromesso.
Ma cosa sono le terre rare?
Le terre rare rappresentano un gruppo di 17 elementi della tavola periodica, tra cui spiccano lantanio, cerio, praseodimio e neodimio, fondamentali per le moderne tecnologie. A questi si affianca il litio, che pur non essendo formalmente classificato tra le terre rare – appartenendo al gruppo dei metalli alcalini – condivide con esse un ruolo strategico cruciale nelle dinamiche geopolitiche e nei mercati globali.
Questi elementi si configurano come il nuovo terreno di competizione tra le potenze mondiali, alimentando un mercato in rapida espansione che si prevede raggiungerà i 21,7 miliardi di dollari entro il 2031, con un tasso di crescita annuo stimato del 7,4%. Tali cifre non solo attestano la solidità economica del settore e la promessa di rendimenti elevati, ma sottolineano altresì l’impatto determinante che queste risorse esercitano sugli equilibri geopolitici, con le principali superpotenze impegnate in una corsa sfrenata per garantirsi l’accesso e il controllo di questi materiali strategici.
L’importanza delle terre rare e del litio trascende la mera produzione di dispositivi di consumo come chip, batterie, computer e smartphone – tra cui, probabilmente, il dispositivo che stai utilizzando in questo momento. Questi elementi, infatti, rivestono un ruolo chiave anche nei settori della difesa e della sicurezza cibernetica. Il litio, in particolare, è essenziale per la realizzazione di droni, satelliti e sistemi d’arma avanzati, strumenti indispensabili sia per la protezione che per l’offesa in scenari bellici. Le moderne piattaforme militari, come gli aerei da combattimento di ultima generazione, richiedono un’ingente quantità di tecnologia avanzata per ottimizzare la raccolta e l’analisi dei dati durante le loro operazioni nei cieli. Inoltre, l’evoluzione della cosiddetta “guerra ibrida“, ampiamente adottata nei corridoi del Cremlino, si basa su sofisticate infrastrutture tecnologiche, indispensabili per plasmare il nuovo fronte del conflitto tra Stati.
Trump-Zelensky: un compromesso per la pace?
Con l’Occidente che vacilla e un’Unione Europea incapace di offrire risposte concrete alla crisi che bussa alle porte del continente, l’amministrazione statunitense ha rivolto il proprio sguardo alle terre rare ucraine. Solo nel 2023, la Casa Bianca ha investito oltre 190 milioni di dollari per l’acquisizione di queste risorse strategiche dall’estero. I principali concorrenti globali degli Stati Uniti in questo settore sono la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping, che già controlla circa il 60% della produzione mondiale e manifesta chiare ambizioni su Taiwan.
Questo scenario spiega i toni accesi del presidente Trump nei confronti del leader ucraino Volodymyr Zelensky. I due, infatti, si sono recentemente incontrati nello Studio Ovale per discutere del futuro dell’Ucraina e delle implicazioni geopolitiche legate allo sfruttamento delle sue risorse naturali. Washington pretende che Kiev offra garanzie concrete per ripagare l’ingente supporto militare ed economico fornito dagli Stati Uniti nella difesa contro l’invasione delle forze russe. È anche da questa divergenza di visioni che è scaturito l’acceso confronto di venerdì, culminato in un litigio, proprio nei corridoi della Casa Bianca.
Un nulla di fatto?
L’Ucraina, pur mostrandosi inizialmente disponibile a sottoscrivere un accordo – che probabilmente rimarrà lettera morta, visti i recenti fatti – per lo sfruttamento congiunto dei giacimenti di terre rare, gas e petrolio ha successivamente irrigidito la propria posizione. La proposta prevedeva la creazione di un fondo comune, con una partecipazione paritetica del 50% tra i due Paesi, finalizzato allo sviluppo delle infrastrutture logistiche e all’estrazione delle risorse. Tuttavia, il punto di maggiore frizione emerso durante le trattative è stata la richiesta avanzata da Zelensky per l’istituzione di un contingente di peacekeeping sul territorio ucraino orientale, con l’obiettivo di prevenire ulteriori incursioni da parte di Mosca.
La reazione del Cremlino a questa proposta è facilmente prevedibile: qualsiasi presenza militare occidentale nei territori contesi viene percepita da Putin come una provocazione diretta e una minaccia alla sicurezza nazionale russa.
Trump-Putin, un derby sulle terre rare
Lo zar è ufficialmente pronto a negoziare sulle terre rare, soprattutto alla luce degli eventi di venerdì scorso. “Gli americani hanno bisogno di terre rare e noi ne abbiamo molte. Questo apre prospettive piuttosto ampie per la cooperazione”, ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, segnando un possibile cambio di rotta nella postura diplomatica russa. Questa realtà, ormai ineluttabile, impone una curiosa riflessione: il presidente Trump, con le sue recenti dichiarazioni, ha di fatto legittimato la riapertura dei dialoghi, economici e non, con Vladimir Putin.
Non a caso, il presidente russo ha sottolineato: “la Russia è uno dei leader mondiali indiscussi nelle riserve di metalli rari e terre rare. Certamente abbiamo molte più risorse, e voglio sottolinearlo, rispetto all’Ucraina”, lasciando intendere come Mosca sia disposta a utilizzare queste risorse come leva diplomatica. Tale proposta include non solo i giacimenti minerari situati entro i confini riconosciuti della Federazione Russa, ma anche quelli presenti nei territori occupati militarmente durante l’invasione ucraina. Tuttavia, un nodo rimane irrisolto e rappresenta un ostacolo insormontabile: per Mosca, la presenza di truppe NATO o di contingenti europei in Ucraina costituisce una minaccia diretta alla sua sovranità e un elemento destabilizzante per il proprio equilibrio geopolitico nell’Europa orientale. Questo punto, che l’amministrazione Trump sembra deliberatamente ignorare, resta il principale motivo di attrito nelle trattative.
Alla luce di questi sviluppi, emergono interrogativi fondamentali e ancora senza risposta: quali saranno i nuovi confini dell’Ucraina? Quale futuro attende chi ha subito le atrocità del conflitto? E soprattutto, chi si farà carico della ricostruzione di Kiev e delle altre città devastate dai bombardamenti ordinati da Vladimir Putin?
Conclusioni
Il presidente Emmanuel Macron ha recentemente incontrato il premier portoghese Luís Montenegro in una conferenza bilaterale, durante la quale il fulcro del dibattito è stato il futuro dell’Europa alla luce del conflitto in Ucraina. L’Eliseo ha ribadito la necessità di adottare soluzioni concrete per garantire la sicurezza di Kiev, sollecitando gli Stati membri dell’Unione Europea a intensificare gli sforzi affinché l’Ucraina possa continuare a difendersi dall’aggressione e dalle ingerenze russe. Un’aggressione che non ha avuto inizio con l’invasione su larga scala del 2022, ma affonda le sue radici nei fatti del 2014, con l’annessione illegale della Crimea.
Sarà forse l’evoluzione verso una maggiore integrazione continentale, attraverso la creazione di uno Stato federale europeo o di un esercito comune, a restituire all’Europa un ruolo autonomo e decisivo nella tutela della propria sicurezza? E, soprattutto, sarà questa la strada per rendere giustizia non solo all’Ucraina, ma anche alla straordinaria determinazione e al coraggio dimostrati dal presidente Volodymyr Zelensky e dal suo popolo?
Quel che, quindi, appare evidente è che il futuro dell’Europa sarà, ora più che mai, determinato dagli europei stessi.
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