Stando agli ultimi tragici accadimenti, i numeri dei femminicidi rimangono allarmanti. Presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale, il Servizio Analisi Criminale si occupa, tra le altre cose, di analizzare tutti gli episodi delittuosi riconducibili alla violenza di genere; ciò avviene anche attraverso l’estrazione di dati statistici. Il documento che ne consegue offre una panoramica precisa: nel periodo 1 gennaio – 31 marzo 2025, il numero degli eventi è in diminuzione, da 80 a 57 (-29%).
La mancanza di numeri certi
Quando ci troviamo ad affrontare il fenomeno dei femminicidi ci troviamo a fare i conti con una banca dati inesistente. I dati pubblicati sul fenomeno sono piuttosto datati: è sufficiente notare che l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) non ha più condotto un’indagine approfondita dal 2014. Quest’ultima avrebbe potuto fornire una visione complessiva, grazie all’integrazione di informazioni provenienti da diverse fonti, tra cui ISTAT, il Dipartimento per le Pari Opportunità, vari Ministeri, le Regioni, i Centri Anti violenza, le Case rifugio e altri servizi, come il numero di pubblica utilità 1522.
La mancanza di dati tali da delineare il fenomeno nella sua totalità non è certo un segnale positivo. Possiamo però fare riferimento a diversi tipi di fonti: da una parte, i dati diffusi dall’Istat, dall’altra quelli forniti dall’Osservatorio di “Non una di meno”, movimento femminista che si batte ogni giorno contro ogni forma di violenza di genere, oppure ancora quelli diffusi dal Ministero dell’Interno, il quale ha dato nota del fatto che, a differenza dei report settimanali fino ad ora pubblicati, la cadenza diverrà trimestrale.
Ad oggi, non esiste un registro aggiornato che monitori il numero di donne vittime di violenza, e questa è una carenza notevole. Tutto ciò denota una certa complessità nella gestione del fenomeno, nonché scarso interesse nella formulazione di interventi mirati e concreti.
Normativa e politiche di prevenzione
Nel 2020, il Senato della Repubblica ha approvato il disegno di legge in materia di statistiche per delineare correttamente quelle che sono le informazioni certe relative ai casi di femminicidio, al fine di prevenire e contrastare con interventi mirati la questione, assicurando un effettivo monitoraggio del fenomeno.
Si legge nell’articolato che: “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 3 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, al fine di supportare le politiche e le azioni di contrasto alla violenza di genere, la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità per la conduzione di indagini campionarie si avvale dei dati e delle rilevazioni effettuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e dal Sistema statistico nazionale (SISTAN).
L’ISTAT e il SISTAN realizzano, con cadenza triennale, un’indagine campionaria interamente dedicata alla violenza contro le donne che produca stime anche sulla parte sommersa dei diversi tipi di violenza, ossia violenza fisica, sessuale, psicologica, economica, anche alla presenza sul luogo del fatto dei figli degli autori o delle vittime, e atti persecutori in riferimento a comportamenti che costituiscono o contribuiscono a costituire reato, fino al livello regionale. L’ISTAT e il SISTAN pubblicano gli esiti di tale indagine e li trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità”. Le informazioni cosi prodotte sono in grado di assicurare la totale omogeneità dei dati raccolti relativi agli episodi di violenza di genere, facendo altresì obbligo alle strutture sanitarie pubbliche di “fornire i dati e le notizie relativi alla violenza contro le donne”.
In particolare, stando all’articolo 4, comma 2, le informazioni statistiche devono essere prodotte assicurando l’individuazione della relazione tra autore e vittima di reato rilevando: “la tipologia di violenza, fisica, sessuale, psicologica o economica, esercitata sulla vittima; se la violenza è commessa in presenza sul luogo del fatto dei figli degli autori o delle vittime e se la violenza è commessa unitamente ad atti persecutori”.
L’importanza di un quadro informativo chiaro
Come sviluppare politiche di prevenzione adatte a contrastare il fenomeno se non si dispone di dati sufficientemente chiari in grado di delinearne il profilo? Si tratta di informazioni che vanno raccolte non solo per ideare programmi di prevenzione mirati, ma anche per attenersi all’obbligo di informazione stabilito dalla Convenzione di Istanbul.
La Corte Europea dei diritti dell’Uomo, nel 2018, ha condannato l’Italia per «inadeguatezza nella tutela delle donne che denunciano», e lo ha fatto con riferimento al caso “Landi contro Italia” il quale ha visto un bambino perdere la vita a causa della violenza esercitata dall’uomo.
«Ancora una volta la Corte EDU evidenzia l’inadeguatezza della valutazione del rischio nel sistema giudiziario, come osservato già dal GREVIO – il Gruppo di esperte sulla violenza contro le donne è l’organismo indipendente del Consiglio d’Europa che monitora l’applicazione della Convenzione di Istanbul in tutti i paesi che l’anno ratificata», sostiene l’associazione “D.i.Re”- donne in rete contro la violenza. Un fenomeno, dunque, che necessita di un intervento su più fronti, culturale, politico, e prima di tutto familiare.
L’inefficienza della severità delle pene
Non è adeguato porre l’accento sull’inasprimento delle pene, né lasciare che sia l’apparato punitivo a dover correggere la complessità di un fenomeno che non necessita un trattamento di questo tipo. Siamo proprio sicuri che il contrasto al fenomeno del femminicidio passi solamente attraverso l’inasprimento delle pene? La soluzione è prevenire a monte queste azioni, affinché non si arrivi a dover parlare dell’ennesima vittima.
Introdurre l’ergastolo come pena per un delitto come il femminicidio è pressoché inutile poichè l’ergastolo viene già irrogato essendo previsto per tutti quei fatti riconducibili a tale fenomenologia, in virtù delle aggravanti esistenti.
Per affrontare in modo efficace questo fenomeno, è possibile adottare diverse strategie. Innanzitutto, si potrebbe cambiare il linguaggio utilizzato, ma è fondamentale anche combattere la vittimizzazione secondaria e la colpevolizzazione delle vittime da parte delle autorità o la banalizzazione del problema. Spesso si tende a cercare nei comportamenti delle vittime di violenza un pretesto per giustificare o attenuare le azioni dell’aggressore.
In un contesto così complesso, non sarebbero sufficienti i corsi di educazione all’affettività se non accompagnati da misure sufficientemente concrete. Un lavoro, dunque, che non può essere demandato ad un solo fronte piuttosto che all’altro.
I segnali da non sottovalutare
Nella maggior parte dei casi l’omicidio è preceduto da una serie di segnali inequivocabili. Si può osservare un’escalation di violenza, che inizia spesso con forme di abuso psicologico, per poi progredire verso aggressioni fisiche e danni a beni e persone. Prima di un femminicidio, possono manifestarsi minacce, maltrattamenti, atteggiamenti persecutori e percosse.
È fondamentale intervenire tempestivamente, proteggendo le vittime attraverso le misure cautelari previste dalla legge. Tuttavia, è purtroppo frequente che tali provvedimenti non vengano concessi dai giudici, e questo può costituire un’ulteriore problema. Bisogna capire da dove partire, prima ancora di decidere dove arrivare: solo in questo modo potremo comprendere quali azioni politiche siano realmente efficaci da mettere in atto.
20250130