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    Gen Z, diritti e sessualità: liberə di essere

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    Sebbene “destra” e “sinistra” non rappresentino più categorie confacenti all’odierno scontro politico, l’antica dicotomia continua a prosperare se calata in un meandro ben circoscritto: quello dei diritti. Nello specifico, stiamo qui considerando quella cavità – tanto profonda quanto subdola – in cui rientrano alcuni diritti civili, tra cui matrimonio egualitario e riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali. Esempi, questi, in cui le ideologie paiono tutt’altro che silenti. Il risultato? Allontanare chi, anziché preferire etichette fisse e prestabilite, auspicherebbe ancoraggio alla realtà e maggiore rappresentazione. In poche parole, le nuove generazioni.

    Pride Month e inclusione

    Roma, Milano, Genova, Napoli, Torino: folle che non si possono ignorare. Milioni di persone hanno sfilato per le piazze e le strade cittadine in occasione del Pride Month – letteralmente il “mese dell’orgoglio”- istituito a livello internazionale in seguito ai moti di Stonewall per onorare la comunità LGBTQIA+ e la sua lotta per i diritti. Con poca sorpresa, erano presenti moltissimi giovani: proprio loro che, con tenacia e resilienza, stanno portando avanti una vera e propria battaglia. Una battaglia per uscire da quell’oblio che marchia a fuoco chiunque, dopo un processo articolato secondo le norme democratiche della maggioranza, si ritrovi condannato a sostare in un angolo piuttosto angusto: quello della diversità e, talvolta, persino della devianza. 

    Come osserva IPSOS Generations Report 2024, la generazione Z è la prima che può essere considerata veramente globale; da qui si capisce la larga diffusione, nei giovani nati tra il 1995 e il 2010, di opinioni aperte e fluide sui temi della sessualità e del genere. Poco importa apparire stravaganti: ciò che conta è mostrare la propria personalità senza filtri né barriere, nella consapevolezza che, in una società in cui la trasparenza è tutto fuorché realmente tale, soltanto l’essere unici e sé stessi può porsi come primo, forse unico, contro-potere a ogni tipo di dominio e di prevaricazione.  

    Ma chi sono esattamente questi giovani? Sono i legittimi ereditieri di quelle generazioni nate e vissute sotto l’influenza dello status sociale e del “si è sempre fatto così”. Con essi, l’agognato risiko della canonicità da replicare pedissequamente è stato per la prima volta infranto, addirittura messo al bando e dichiarato proprio del secolo passato. Dipinti come rinunciatari, apatici, eccessivamente radicali, sono loro ad essersi attivati in nome dell’inclusività e della libertà d’espressione, declinata in qualsivoglia forma. 

    Estendendo questi ultimi punti all’esterno della generazione Z, il quadro rimane pressoché immutato: l’opinione pubblica presta molta più attenzione alla persona e al riconoscimento dei diritti. Sempre secondo IPSOS, il 58% degli italiani è favorevole al matrimonio egualitario e il 66% alle adozioni per le coppie LGBTQIA+. Non a caso, negli ultimi dieci anni, i partecipanti ai Pride di Milano e Roma sono aumentati dai 250.000 del 2014 ai a 1.350.000 del 2024.

    L’inclusione coinvolge anche i brand di moda e i media – televisione, cinema e pubblicità – dove la comunità LGBTQIA+ è sempre più attestata. Presenza, questa, che tuttavia non esula da critiche, alimentate soprattutto dalle generazioni più anziane: a mero titolo esemplificativo, va menzionato che solo il 6% della generazione X e il 5% dei Baby Boomer sarebbe disposto ad identificarsi come parte della suddetta comunità. 

    Appare dunque piuttosto evidente un gap generazionale, lo stesso che fin dagli anni dell’adolescenza pone figli e genitori su binari sempre più distanti tra loro. Pena la mancanza di un terreno comune tramite cui intendersi, sono tutt’oggi frequenti le occasioni in cui la famiglia viene del tutto subordinata alle amicizie, a maggior ragione quando il timore è quello di tradire le aspettative che ricadono sul singolo. Se a questo aggiungiamo il fatto che esistono parti d’Italia – specialmente il Sud e le piccole realtà di provincia – in cui l’identità di genere deve spesso scontrarsi con pregiudizi e retaggi culturali, il destino pare purtroppo già scritto: un aut aut tra il trasferimento in una grande città da cui ricominciare o una battuta d’arresto priva di alternative. Decisione, quest’ultima, che in molti casi induce gravi ripercussioni sulla salute mentale. Ma chi siamo noi per incanalare, o peggio ancora giudicare, le vite e gli orientamenti altrui? È possibile costringere qualcuno a un’esistenza priva di stimoli, se non quelli etero-diretti? 

    I diritti: una questione politica 

    Solamente negli ultimi anni la luce dei riflettori politici si è orientata verso la comunità LGBTQIA+: benché questo rinnovato interesse sia senz’altro positivo, il problema subentra con il fatto che il dibattito in merito vive attorno al binomio noi – loro; da un lato chi crede che i diritti non sianouna gentile concessione”, dall’altro chi postula una presunta dittatura woke come “pericolo per la civiltà occidentale”. In mezzo un’unica certezza: le manifestazioni indette dal Pride Month, pur essendo una straordinaria opportunità di incontro, non sono sufficienti; serve anzitutto un massiccio processo di sensibilizzazione attivo tutto l’anno. D’altronde, è bene ricordarlo, il compito di una democrazia è anche quello di tutelare le minoranze – qualunque esse siano – presenti. Si tratta di una salvaguardia che, inevitabilmente, passa anche per mezzo della via legislativa. 

    Molta la strada ancora da fare in questo senso: secondo il rapporto ILGA – Europe 2024 l’Italia si classifica al 35esimo posto su 49 Paesi europei relativamente ai diritti delle persone LGBTQIA+. Questo basso posizionamento è dovuto al fatto che i provvedimenti legislativi varati in materia risultano stagnanti da ben otto anni; ultimo segno di vitalità la legge Cirinnà del 2016. Allargando lo sguardo a ciò che accade al di là delle Alpi, a febbraio 2024, in Europa il matrimonio tra persone dello stesso sesso viene approvato e legalmente riconosciuto in 21 Stati. Dal 1° gennaio 2025 sarà ammesso anche in Liechtenstein. Altri dieci Paesi riconoscono invece una qualche forma di unione civile; tra questi ultimi, anche l’Italia.

    Inoltre, nel nostro Paese le coppie omosessuali non possono adottare figli, se non tramite la stepchild adoption, ovvero l’adozione dei figli del rispettivo partner. Come se non bastasse, emerge una preoccupazione diffusa per le violenze e le discriminazioni subite. A tal proposito, l’indagine ISTAT – Unar pubblicata nel 2022 evidenzia dati letteralmente incredibili per un qualunque regime democratico: il 26% delle persone occupate – o precedentemente occupate – che hanno dichiarato di essere omosessuali o bisessuali afferma che il proprio orientamento sessuale ha rappresentato uno svantaggio nella propria vita lavorativa, in almeno uno dei tre ambiti considerati: carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione. 

    Tanti problemi ma rarissime soluzioni. A placare la situazione aveva tentato, invano, il ddl Zan – il cui nucleo prevedeva una modifica all’articolo 604 – bis del Codice Penale e l’estensione della legge Mancino anche agli atti discriminatori fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità: una volta approvato dalla Camera nel novembre 2020, è stato accantonato dal Senato dato l’ostruzionismo di alcune forze parlamentari. 

    Cambio di mentalità 

    Fatto questo quadro, l’impressione dilagante è che certe battaglie, seppur sacrosante e legittime, in realtà siano estremamente elitarie. Insomma, proprie solo e soltanto di chi “se lo può permettere” in termini economici e di impegno fisico. Come intervenire? Senza entrare nel merito delle discussioni all’interno dei vari partiti, proviamo a tracciare qui una rotta di riferimento generale.

    Esistono fatti, questioni, urgenze sociali rivendicabili a priori: né di “destra”, né di “sinistra”. È questo il caso dei diritti civili. Dunque, fino a quando la classe politica continuerà a funzionare a compartimenti stagni e a rallentare la discussione nei rami parlamentari, nulla potrà mai effettivamente cambiare. Continueranno a susseguirsi giorni, mesi, anni di totale vacuità. Condizione, quest’ultima, certamente non nuova per molti aspetti della cosiddetta cosa pubblica; la stessa situazione che allontanerebbe ancora più i giovani dalla partecipazione civica e politica

    Che fine avrebbe fatto la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza se una simile dialettica tra maggioranza e opposizione – com’è naturale che sia, presente già nel lontano 1978 tra DC e MSI antiabortisti e Partito Radicale, PSI, PCI, PLI, PRI pro aborto – si fosse protratta oltre misura? Divenendo sterile, avrebbe di fatto respinto una vera e propria trasformazione culturale e sociale allora in atto. Questo dovrebbe essere sufficiente a capire che i diritti evolvono nel tempo, e continueranno ad evolvere, andando di pari passo con la convivenza sociale. 

    Se c’è una cosa che il Pride Month ha saputo trasmettere è il concetto di differenza come ricchezza. Ricchezza che probabilmente tutti noi senza volerlo calpestiamo, ignoriamo, lasciamo cadere nel vuoto come se fosse un suppellettile, dimenticando – in tutti questi casi – che un mondo piatto e privo di differenze è destinato all’estinzione. Comprendere questo implicito, sottile, passaggio significa tendere le mani ai giovani e alle loro istanze.

    Uno Stato in cui l’identità umana deve fare a gara con sentimenti quali paura e frustrazione – attestati oramai ovunque: per strada, sui mezzi pubblici, nel luogo di lavoro – non è pienamente libero. Sono condizioni, tutte queste, che cozzano persino con le volontà dei nostri padri costituenti, che all’articolo 3 scrivevano così: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. 

    Impossibile dire, ad oggi, quali e quanti provvedimenti verranno implementati in favore della comunità LGBTQIA+. La via, in ogni caso, sembra averla recentemente indicata Marina Berlusconi – figlia primogenita di Silvio Berlusconi, fondatore di Forza Italia, partito noto per la sua natura moderata: “sui diritti civili mi sento vicina alla sinistra di buon senso […] ognuno deve essere libero di scegliere, in particolare su aborto, fine vita e diritti LGBT.” 

    Nel frattempo, in attesa di maggiore pragmaticità, le nuove generazioni saranno sempre equiparate a granelli di sabbia in mezzo al deserto: fuor di metafora, godranno di percentuali di rappresentazione che si possono contare sulle dita di due mani.

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