Inutile girarci troppo attorno, in Italia non c’è spazio per i giovani. Cosa se possibile ancora più grave, questo spazio non lo si intende nemmeno creare, in quella palude viscida e stagnante che è la società odierna.
Dalla politica all’imprenditoria, passando per mezzo dell’alta finanza e dell’editoria, oggi più che mai sembra valere l’antico principio darwiniano sull’evoluzione delle specie: la selezione naturale intrisa di sgomitate. Vuoi per invettiva personale, vuoi per opportunità effettive a disposizione, il salato prezzo da pagare è sempre indicato nella carta d’identità. Stiamo parlando dell’età anagrafica, unità di riferimento piuttosto ambivalente, rispetto a cui si attiva una sorta di ‘doppia morale’; tanto bassa quanto rumorosa e problematica. Considerata questa amara prospettiva, quale futuro per il nostro Paese?
Paternalismo senza freni
Parlare di spazio, in Italia, è un’impresa piuttosto ardita, densa di insidie. Anzitutto, è bene specificare la multidimensionalità di questo concetto: spazio personale, in rapporto al capitale umano; materiale, in correlazione con il substrato economico-sociale che ci ospita; finanche psicologico, la percezione di potere fare la differenza attraverso la propria condotta sociale. Ciò detto esso, tanto con i solidi quanto con i liquidi, viene occupato, per il semplice fatto che uno spazio vuoto, finora, non è stato ancora attestato. Infine, è altresì malleabile, progettabile su misura, tenendo conto di particolari esigenze. Tra queste ultime, occorre annoverarne una facente capo a varie realtà pubbliche e private italiane: ostacolare quelli che dovrebbero essere accessi più che legittimi e, contemporaneamente, accettare di buon grado interne invasioni di campo.
Il suddetto funzionamento ‘due pesi due misure’ collima con quell’irrazionale paura che tanto prende di mira la classe dirigente. Sì, ma quale paura? La paura di vedere crollare lo status quo e, con esso, tutti i propri privilegi. L’uomo è per sua natura gruppista1: non appena intravede una minaccia all’orizzonte, si cementifica nei grandi numeri della folla. Se poi aggiungiamo che la nostra attività cerebrale, sempre più improntata all’economia cognitiva, considera positivamente visioni e prospettive altrui solo se allineate a quelle di partenza, allora pare proprio che il collasso sociale sia dietro l’angolo.
Tra passato e presente
A ben guardare, fin dai tempi più remoti, ciò che è nuovo ha sempre suscitato ansie e malumori. Lo spiega bene una scena de Gli anni più belli, pellicola di Gabriele Muccino tesa a rappresentare una versione veritiera della stessa natura umana. Tre amici d’infanzia che si ritrovano per caso talmente disillusi, corrotti e disincantati da non poter fare altro che prendersela con le nuove generazioni, deridendone i rispettivi comportamenti. Qui la svolta: “già duemila anni fa Plinio diceva che i giovani non c’avevano futuro, vedeva tutto nero. Se c’avesse avuto ragione, l’umanità se sarebbe estinta da ‘n pezzo. La verità è che i vecchi hanno sempre parlato male dei giovani, e i giovani a quel punto …. è ‘na ruota, hanno sempre parlato male dei vecchi.” Ma siamo sicuri sia sempre andata cosi? In realtà, non esattamente.
Benché il mismatch tra generazioni sia cosa da tempo nota, vi sono comunque stati tentativi di amalgamazione e di intesa comune. Facciamo riferimento alla storia: per quanto concerne l’Italia, possiamo per esempio citare il 1976, anno in cui una generazione di quarantenni d’assalto sconvolse la politica italiana. Nel corso del Comitato centrale del PSI, svoltosi all’Hotel Midas di Roma dal 12 al 16 luglio, venne eletto segretario il quarantaduenne Bettino Craxi, delfino di Pietro Nenni. A quel punto, i notabili del partito bollarono con sufficienza e paternalismo il neo-eletto, alludendo ad un repentino tramonto. Craxi, molto rapidamente, snobbò tutti quanti e in poche falcate conquistò il partito. Un salto generazionale come quello poc’anzi citato mise i socialisti nella condizione di interpretare al meglio il desiderio di cambiamento della società italiana, nonché crescere elettoralmente.
In tempi più recenti, impossibile dimenticare l’ascesa del trentanovenne Matteo Renzi alla Presidenza del Consiglio; a lui dobbiamo la “rottamazione” della ‘polvere’ accumulata nelle sedi più disparate e, soprattutto, in quello che allora era il suo partito (si consideri l’esilio politico dei vari Cuperlo, Bersani, Civati e Letta). Questi due episodi definiscono una parentesi lungimirante, creata con l’avvallo dei veterani, una volta assodate le capacità personali e le condizioni contestuali.
Traslando invece al presente, la situazione è ben diversa: l’intreccio virtuoso tra generazioni subisce uno stallo a tratti sfiancante, a tratti persino riluttante. Troppe giovani progettualità vengono represse prima ancora di vedere luce, troppo poche menti possono effettivamente dirsi volte al futuro. Complice l’eterno provincialismo, si è costretti ad anteporre alle proprie generalità una qualsivoglia qualifica – di studio o professionale – prima di ricevere un’adeguata considerazione.
In aggiunta, per quanto possa risultare fuorviante ‘fare di tutta l’erba un fascio‘, va evidenziata la tendenza a sminuire traguardi conquistati dalle nuove generazioni, a prescindere dal periodo storico. Gli stessi traguardi che non solo hanno permesso importanti pagine della storia nazionale – a titolo esemplificativo, citiamo il referendum sul divorzio e sull’aborto – bensì quelli senza i quali non staremmo vivendo l’odierna quotidianità.
Le suddette condizioni vengono esacerbate nel caso in cui l’interlocutore del rapporto tra mercato e lavoro sia di genere femminile: il rapporto OCSE Education at a Glance mostra come le giovani donne ottengano risultati scolatici migliori rispetto agli uomini. Tuttavia, il quadro si ribalta completamente nel mondo del lavoro: le donne con un titolo di studio universitario guadagnano in media il 58% in meno del salario destinato ai colleghi di genere maschile; il più grande divario retributivo di genere nell’intera area OCSE. Aspetto da non sottovalutare è il binomio donna-politica, oppure donna-imprenditoria: le probabilità di subire discriminazioni in tali casi aumentano a dismisura.
Primum vivere
Quell’autonomia di cui il segretario socialista parlava, necessaria per rilanciare la strategia politica allora in sofferenza, oggi pare latitare: non più autonomia, ma asfissia. Una mancanza di spazio, appunto, aggravata da un mercato del lavoro precario, dal divario tra Nord e Sud del Paese e dalla mancanza di opportunità. Basti pensare che il nostro Paese vanta il triste record di ospitare la Regione più anziana d’Europa: stiamo parlando della Liguria; qui l’età media tocca cifra 49,5 anni. Quest’ultima si ripercuote negativamente sull’attrattività delle città e del lavoro: molti i giovani liguri che emigrano nella vicina Lombardia alla ricerca di opportunità più accattivanti.
Oggi, il problema risiede nella mentalità con cui ci si appresta a frequentare la società: dovremmo, forse, prendere ispirazione dal funzionamento dei vasi comunicanti per capire che, laddove vi siano potenzialità, queste possano essere usate per colmare uno scarto esistente. Evitare l’intermittenza tra giovani e meno giovani è dunque possibile soltanto prevedendo l’intervento dell’intera società civile e delle istituzioni. Molta la strada ancora da fare in questo senso.
‘Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, e non sa quel che trova’ recita un antico proverbio. D’altro canto, quando il sentiero che si è soliti frequentare inizia a mostrare segni di cedimento, bisognerebbe intervenire. Le soluzioni, tendenzialmente, sono due: riparare quanto in essere, presupponendone validità ed efficacia in assoluto, oppure tentare l’ignoto affidandosi all’istinto. A dirla proprio tutta, esiste anche una terza via, decisamente praticata soprattutto in Italia: l’immobilismo, il silenzio (ma senza assenso), il centrismo volto a fiutare l’aria per poi assumere la posizione più conveniente. Che siano proprio questi ultimi punti a motivare l’inverno demografico e la corrente emigrazione giovanile?
- Di Gregorio L., War Room. Attori, strutture e processi della politica in campagna elettorale permanente. Rubbettino Editore, 2024 ↩︎